inoltro: dall'Iraq una voce del movimento operaio



Care tutte e tutti,

vi invio un articolo, che mi sembra particolarmente utile, apparso sul
giornale inglese The Guardian il 18 Febbraio di Hassan Juma'a Awad,
esponente del sindacato iracheno Southern Oil Company Workers' Union, che
si è recato recentemente in Gran Bretagna per incontrare i rappresentanti
dei sindacati britannici. Il leader dei lavoratori del petrolio ha
focalizzato il suo discorso sulla occupazione in Iraq, ed è intervenuto
alla conferenza nazionale della coalizione Stop the War e alla conferenza
di solidarietà organizzata dal congresso dei sindacati. In Scozia ha
inoltre incontrato i rappresentanti dei sindacati e i deputati socialisti
del parlamento scozzese.

Buona lettura.

Un abbraccio,

Luisa Morgantini



			Lasciate il nostro paese ora

			Sin dal primo giorno dell'invasione anglo-americana in Iraq, gli operai
del petrolio hanno resistito all'occupazione straniera Hassan Juma'a
Awad
 Venerdi 18 Febbraio 2005

			The Guardian <http://www.guardian.co.uk/>


			Abbiamo vissuto dei giorni bui sotto la dittatura di Saddam Hussein.
Quando il regime è caduto, le persone reclamavano una nuova vita, una
vita senza catene né terrore; una vita nella quale avremmo potuto
ricostruire il nostro paese e godere delle sue ricchezze naturali.
Invece, le nostre comunità sono state attaccate con cluster bombs e
armi chimiche e la nostra gente torturata, violentata e uccisa nelle
proprie case.



			La polizia segreta di Saddam usava arrampicarsi furtivamente sui tetti
per entrare nel cuore della notte dentro le nostre case; le truppe di
occupazione adesso sfondano le nostre porte alla luce del giorno. I
media non mostrano neanche una minima parte della devastazione che ha
inghiottito l'Iraq. I giornalisti che hanno osato raccontare la verità
su quanto sta accadendo sono stati rapiti dai terroristi. Tutto ciò è
funzionale al programma di occupazione che mira a eliminare i testimoni
dei suoi crimini.

			Subito dopo l'invasione di Basra da parte delle forze di occupazione
britanniche, gli operai dei pozzi di petrolio dell'Iraq Meridionale si
sono velocemente organizzati. Abbiamo fondato il nostro sindacato, il
Southern Oil Company Union, 11 giorni dopo la caduta di Baghdad
nell'Aprile del 2003. Quando le truppe di occupazione rimasero lì a
guardare e anzi permisero di far bruciare e saccheggiare gli ospedali,
le università e i servizi pubblici di Basra, mentre loro si occupavano
di difendere esclusivamente i pozzi e il ministero del petrolio, noi
capimmo che avevamo a che fare con una forza brutale, preparata a
imporre il suo volere senza nessun riguardo nei confronti della
sofferenza umana. Sin dall'inizio, non abbiamo avuto nessun dubbio
riguardo al fatto che gli Stati Uniti e i suoi alleati fossero venuti
per impadronirsi delle nostre risorse petrolifere.
 Le autorità occupanti hanno mantenuto in vita molte delle leggi
repressive di Saddam, inclusa la legge del 1987 che ha cancellato i
nostri diritti sindacali di base, compreso il diritto allo sciopero.



			Ancora oggi, non abbiamo nessun riconoscimento ufficiale come
sindacato, ciò nonostante contiamo 23,000 membri in dieci compagnie di
petrolio e gas a Basra, Amara, Nassirya e nella provincia di Anbar.
Sono stati i lavoratori stessi a riconoscere la nostra legittimità, e
non il governo. Noi crediamo che i sindacati debbano operare senza
tenere conto dei desideri del governo, almeno fino a quando le persone
non saranno in grado di eleggere in maniera affidabile, trasparente e
indipendente il governo iracheno, e che quest’ultimo possa finalmente
rappresentare i nostri interessi e non quelli dell’imperialismo
americano.



			Il nostro sindacato è indipendente da qualsiasi partito politico. La
maggior parte dei sindacati in Inghilterra sembra essere cosciente
soltanto dell’esistenza di una federazione sindacale in Iraq, la
federazione di sindacati iracheni autorizzati dal regime, il cui
presidente Passim Awadi, è il deputato leader del partito del primo
ministro, imposto dagli Stati Uniti, Ayad Allawi. La leadership
dell'IFTU è quindi intrappolata tra il partito comunista pro-governo,
l'accordo nazionale iracheno di Allawi, e i suoi satelliti;



			Di fatto, ci sono altre due federazioni di sindacati, che sono
associate a partiti politici, come la nostra stessa organizzazione. Il
nostro sindacato ha appena dimostrato che può tenere testa a una delle
più potenti compagnie statunitensi, la KBR di Dick Cheney, che ha
cercato di sottrarre i nostri posti di lavoro facendosi scudo della
protezione delle forze di occupazione. Li abbiamo cacciati fuori e
abbiamo costretto il loro sub appaltatore kuwaitiano, Al Khourafi, a
sostituire 1000, dei 1200 impiegati che aveva portato con se, con
lavoratori iracheni, il 70% dei quali oggi è disoccupato.

			Ci siamo inoltre battuti contro i salari decisi dal proconsole
statunitense Paul Bremer, che ha imposto ai lavoratori del settore
pubblico iracheno, un salario mensile di 69,000 ID (35 Euro), mentre le
migliaia di mercenari stranieri presenti in Iraq, guadagnano più di
1000 dollari al giorno. Nell'agosto del 2003 abbiamo scioperato e
abbiamo chiuso i pozzi di petrolio per tre giorni. Come risultato le
autorità di occupazione si sono viste costrette ad aumentare il
salario mensile fino a 150,000ID.






			E' per questi motivi che noi abbiamo il dovere di difendere le risorse
del nostro paese. Noi ripudiamo e ci opponiamo a tutte le strategie di
privatizzazione della nostra industria del petrolio e delle nostre
risorse nazionali. Noi vediamo in questo processo di privatizzazione
una forma di neo colonialismo, un tentativo di imporre una occupazione
economica permanente attraverso quella militare.



			L’occupazione ha deliberatamente fomentato una divisione settaria tra
sanniti e sciiti. Noi non avevamo mai conosciuto questa divisione
prima. Le nostre famiglie celebravano matrimoni tra di loro, abbiamo
sempre vissuto e lavorato insieme. Oggi stiamo resistendo questa
occupazione brutale insieme, da Falluja a Najaf a Sadr city. La
resistenza alle forze di occupazione e un diritto sacrosanto degli
iracheni, e noi, come sindacato, ci sentiamo come una parte essenziale
di questa resistenza, anche se combattiamo utilizzando il potere della
nostra industria petrolifera. La nostra forza collettiva come
sindacato, si unisce a quella parte di società civile che sente il
bisogno di crescere, con lo scopo di smantellare le élites di Saddam
ancora in forza e l’occupazione straniera del nostro paese.



			Bush e Blair dovrebbero ricordarsi che coloro che hanno votato nelle
elezioni del mese scorso in Iraq, sono ostili all’occupazione al pari
di coloro che hanno deciso di boicottarle. Coloro che hanno preteso di
rappresentare la classe operaia irachena reclamando una presenza a
lungo termine delle truppe di occupazione, giustificata alla "paura di
una guerra civile", di fatto parlano solo per se stessi e per quella
ristretta minoranza di iracheni i cui interessi sono strettamente
correlati e dipendenti dall'occupazione. Noi come sindacato chiediamo
il ritiro delle forze di occupazione straniera e delle loro basi
militari. Non vogliamo un calendario – questa é una strategia
statica.



			Noi risolveremo i nostri propri problemi. Noi siamo iracheni, noi
conosciamo il nostro paese e possiamo prenderci cura di noi stessi. Noi
abbiamo i mezzi, le potenzialità e le risorse per ricostruire e creare
la nostra società democratica.



			Hassan Juma’a Awad e il segretario generale del sindacato iracheno
Southern Oil Company Union e presidente del Basra Oil Worker’s Union.


			hssnawad at yahoo.com <mailto:hssnawad at yahoo.com>


			Traduzione dall'inglese all'italiano a cura di Teresa Maisano







Care tutte e tutti,
 
vi invio un articolo, che mi sembra particolarmente utile, apparso sul giornale inglese The Guardian il 18 Febbraio di Hassan Juma'a Awad, esponente del sindacato iracheno Southern Oil Company Workers' Union, che si è recato recentemente in Gran Bretagna per incontrare i rappresentanti dei sindacati britannici. Il leader dei lavoratori del petrolio ha focalizzato il suo discorso sulla occupazione in Iraq, ed è intervenuto alla conferenza nazionale della coalizione Stop the War e alla conferenza di solidarietà organizzata dal congresso dei sindacati. In Scozia ha inoltre incontrato i rappresentanti dei sindacati e i deputati socialisti del parlamento scozzese.
 
Buona lettura.
 
Un abbraccio,
 
Luisa Morgantini



Lasciate il nostro paese ora

Sin dal primo giorno dell'invasione anglo-americana in Iraq, gli operai del petrolio hanno resistito all'occupazione straniera Hassan Juma'a Awad
Venerdi 18 Febbraio 2005

The Guardian


Abbiamo vissuto dei giorni bui sotto la dittatura di Saddam Hussein. Quando il regime è caduto, le persone reclamavano una nuova vita, una vita senza catene né terrore; una vita nella quale avremmo potuto ricostruire il nostro paese e godere delle sue ricchezze naturali. Invece, le nostre comunità sono state attaccate con cluster bombs e armi chimiche e la nostra gente torturata, violentata e uccisa nelle proprie case.

La polizia segreta di Saddam usava arrampicarsi furtivamente sui tetti per entrare nel cuore della notte dentro le nostre case; le truppe di occupazione adesso sfondano le nostre porte alla luce del giorno. I media non mostrano neanche una minima parte della devastazione che ha inghiottito l'Iraq. I giornalisti che hanno osato raccontare la verità su quanto sta accadendo sono stati rapiti dai terroristi. Tutto ciò è funzionale al programma di occupazione che mira a eliminare i testimoni dei suoi crimini.

Subito dopo l'invasione di Basra da parte delle forze di occupazione britanniche, gli operai dei pozzi di petrolio dell'Iraq Meridionale si sono velocemente organizzati. Abbiamo fondato il nostro sindacato, il Southern Oil Company Union, 11 giorni dopo la caduta di Baghdad nell'Aprile del 2003. Quando le truppe di occupazione rimasero lì a guardare e anzi permisero di far bruciare e saccheggiare gli ospedali, le università e i servizi pubblici di Basra, mentre loro si occupavano di difendere esclusivamente i pozzi e il ministero del petrolio, noi capimmo che avevamo a che fare con una forza brutale, preparata a imporre il suo volere senza nessun riguardo nei confronti della sofferenza umana. Sin dall'inizio, non abbiamo avuto nessun dubbio riguardo al fatto che gli Stati Uniti e i suoi alleati fossero venuti per impadronirsi delle nostre risorse petrolifere.
Le autorità occupanti hanno mantenuto in vita molte delle leggi repressive di Saddam, inclusa la legge del 1987 che ha cancellato i nostri diritti sindacali di base, compreso il diritto allo sciopero.

Ancora oggi, non abbiamo nessun riconoscimento ufficiale come sindacato, ciò nonostante contiamo 23,000 membri in dieci compagnie di petrolio e gas a Basra, Amara, Nassirya e nella provincia di Anbar. Sono stati i lavoratori stessi a riconoscere la nostra legittimità, e non il governo. Noi crediamo che i sindacati debbano operare senza tenere conto dei desideri del governo, almeno fino a quando le persone non saranno in grado di eleggere in maniera affidabile, trasparente e indipendente il governo iracheno, e che quest’ultimo possa finalmente rappresentare i nostri interessi e non quelli dell’imperialismo americano.



Il nostro sindacato è indipendente da qualsiasi partito politico. La maggior parte dei sindacati in Inghilterra sembra essere cosciente soltanto dell’esistenza di una federazione sindacale in Iraq, la federazione di sindacati iracheni autorizzati dal regime, il cui presidente Passim Awadi, è il deputato leader del partito del primo ministro, imposto dagli Stati Uniti, Ayad Allawi. La leadership dell'IFTU è quindi intrappolata tra il partito comunista pro-governo, l'accordo nazionale iracheno di Allawi, e i suoi satelliti;

Di fatto, ci sono altre due federazioni di sindacati, che sono associate a partiti politici, come la nostra stessa organizzazione. Il nostro sindacato ha appena dimostrato che può tenere testa a una delle più potenti compagnie statunitensi, la KBR di Dick Cheney, che ha cercato di sottrarre i nostri posti di lavoro facendosi scudo della protezione delle forze di occupazione. Li abbiamo cacciati fuori e abbiamo costretto il loro sub appaltatore kuwaitiano, Al Khourafi, a sostituire 1000, dei 1200 impiegati che aveva portato con se, con lavoratori iracheni, il 70% dei quali oggi è disoccupato.

Ci siamo inoltre battuti contro i salari decisi dal proconsole statunitense Paul Bremer, che ha imposto ai lavoratori del settore pubblico iracheno, un salario mensile di 69,000 ID (35 Euro), mentre le migliaia di mercenari stranieri presenti in Iraq, guadagnano più di 1000 dollari al giorno. Nell'agosto del 2003 abbiamo scioperato e abbiamo chiuso i pozzi di petrolio per tre giorni. Come risultato le autorità di occupazione si sono viste costrette ad aumentare il salario mensile fino a 150,000ID.

 

E' per questi motivi che noi abbiamo il dovere di difendere le risorse del nostro paese. Noi ripudiamo e ci opponiamo a tutte le strategie di privatizzazione della nostra industria del petrolio e delle nostre risorse nazionali. Noi vediamo in questo processo di privatizzazione una forma di neo colonialismo, un tentativo di imporre una occupazione economica permanente attraverso quella militare.

L’occupazione ha deliberatamente fomentato una divisione settaria tra sanniti e sciiti. Noi non avevamo mai conosciuto questa divisione prima. Le nostre famiglie celebravano matrimoni tra di loro, abbiamo sempre vissuto e lavorato insieme. Oggi stiamo resistendo questa occupazione brutale insieme, da Falluja a Najaf a Sadr city. La resistenza alle forze di occupazione e un diritto sacrosanto degli iracheni, e noi, come sindacato, ci sentiamo come una parte essenziale di questa resistenza, anche se combattiamo utilizzando il potere della nostra industria petrolifera. La nostra forza collettiva come sindacato, si unisce a quella parte di società civile che sente il bisogno di crescere, con lo scopo di smantellare le élites di Saddam ancora in forza e l’occupazione straniera del nostro paese.

Bush e Blair dovrebbero ricordarsi che coloro che hanno votato nelle elezioni del mese scorso in Iraq, sono ostili all’occupazione al pari di coloro che hanno deciso di boicottarle. Coloro che hanno preteso di rappresentare la classe operaia irachena reclamando una presenza a lungo termine delle truppe di occupazione, giustificata alla "paura di una guerra civile", di fatto parlano solo per se stessi e per quella ristretta minoranza di iracheni i cui interessi sono strettamente correlati e dipendenti dall'occupazione. Noi come sindacato chiediamo il ritiro delle forze di occupazione straniera e delle loro basi militari. Non vogliamo un calendario – questa é una strategia statica.

Noi risolveremo i nostri propri problemi. Noi siamo iracheni, noi conosciamo il nostro paese e possiamo prenderci cura di noi stessi. Noi abbiamo i mezzi, le potenzialità e le risorse per ricostruire e creare la nostra società democratica.

Hassan Juma’a Awad e il segretario generale del sindacato iracheno Southern Oil Company Union e presidente del Basra Oil Worker’s Union.


hssnawad at yahoo.com


Traduzione dall'inglese all'italiano a cura di Teresa Maisano