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Ultime da A Six
- Subject: Ultime da A Six
- From: "A Sinistra" <giancanuto at email.it>
- Date: Mon, 20 Dec 2004 11:33:09 +0100
A SINISTRA Movimento Politico Antiliberista BRINDISI <http://www.asinistra.it>www.asinistra.it COMMENTI E INFORMAZIONI DA BRINDISI E PROVINCIA 18 dicembre 2004 Nell'e-mail di oggi: <>Le dimissioni del Presidente della Provincia di Brindisi vanno lette nello scontro tra la vecchia e nuova politica. Di seguito la nostra lettura complessiva degli accadimenti. <>Incredibile su "Liberazione" del 17\11 il direttore Pietro Sansonetti, commentando il rinvio alle Camera del Presidente Ciampi della riforma della Giustizia, equipara il potere esecutivo ed il potere giudiziario a poteri "dilatati". Una dura replica del magistrato Michele DI SCHIENA. <>Alla Regione Puglia troppi silenzi sulla questione morale un articolo di Nichi Vendola apparso sul Corriere del Mezzogiorno, di sabato 18 dicembre, a commento di un ennesimo arresto in un Assessore regionale e delle successive dichiarazioni minimaliste di Fitto. Giancarlo CANUTO - A SINISTRA - Brindisi Se non vuoi ricevere queste info basta semplicemente inviare una e-mail a <mailto:giancanuto at aliceposta.it>giancanuto at aliceposta.it con in oggetto cancella BRINDISI: NON SI PUO' FERMARE IL CAMBIAMENTO Il 2003 è stato un anno drammatico per la nostra città e per la nostra provincia: l'economia in una preoccupante fase di involuzione con minacce di dismissioni aziendali e di licenziamenti, il degrado ambientale e gli attentati alla salute dei cittadini, il vasto sistema di collusioni tra ambienti deviati del potere pubblico e del mondo degli affari. Uno sconcertante scenario che chiamava in causa pesanti responsabilità politiche per scelte rovinose, gravi errori ed inammissibili omissioni. Ci fu tuttavia una salutare reazione. La rassegnazione ed il disorientamento si convertirono subito in una diffusa domanda di radicale cambiamento, in una pressante richiesta di mutamento di rotta, nel generoso protagonismo dei settori più avvertiti delle forze politiche e sindacali, dei movimenti, dell'associazionismo cattolico e laico e delle espressioni più avanzate della società civile. Ma c'era anche, sia pure in palese difficoltà, il vecchio potere che si opponeva ad ogni rinnovamento, che cercava di controllare per quanto possibile le oramai prossime elezioni amministrative e che si proponeva, passata la burrasca, di riprendere in mano le leve del comando con i metodi e gli obiettivi di sempre. Si andò così al voto dello scorso giugno in un clima politico di ambiguità che vedeva false conversioni e sinceri ripensamenti, il "vecchio" mescolato col "nuovo", spinte innovative che dovevano fare i conti con forti resistenze. In questa confusa situazione i cittadini votarono come potevano: guardando meno agli orientamenti ideali e politici (fatto non positivo in linea di principio ma comprensibile nell'anomala situazione) e molto di più agli impegni concreti, alle credibilità personali e alle garanzie di innovazione. Ed il voto dette risultati che, pur presentando aspetti di contraddittorietà politica, esprimevano l'inequivocabile scelta di chiedere che le porte del Palazzo si aprissero alla partecipazione democratica e che un volto nuovo fosse dato alla gestione della cosa pubblica e all'economia locale. Da qui una nuova attenzione alle domande della gente da parte delle due maggiori amministrazioni locali ed i loro formali deliberati in favore di un diverso e più equilibrato modello di sviluppo con la conseguente opposizione al rigassificatore, che avrebbe cancellato con un colpo di spugna ogni progetto di cambiamento. Ma da qui anche il ritorno alla grande, su tutti i versanti e con tutti i mezzi, del partito trasversale della vecchia politica che, contando sui suoi consolidati collegamenti con i "poteri forti", tenta oggi di vanificare le domande popolari, gli impegni assunti durante la campagna elettorale, l'esito del voto del giugno scorso nonché le scelte ed i deliberati delle amministrazioni locali. Ora è con quest'ottica che si devono individuare le ragioni e gli obiettivi dei sistematici attacchi mossi al Sindaco Mennitti ed al Presidente Errico e degli ostacoli che vengono continuamente posti sul cammino da essi intrapreso con le rispettive Giunte. Ed è in questo stesso quadro che vanno, da ultimo, riguardate le dimissioni del dr. Errico, ben al di là della pur rilevante questione che le ha formalmente determinate. Una questione che ci trova d'accordo col Presidente della Provincia sulla scelta da lui operata per restituire, con un tempestivo e responsabile intervento pubblico, lavoro e serenità a tante famiglie. Occorre allora lucidità, ponderatezza e determinazione. I tortuosi avvenimenti degli ultimi mesi sono fatti che vanno ben oltre le sensibilità e le valutazioni di chi è stato chiamato, in questo delicato momento, a reggere faticosamente le due maggiori istituzioni locali. Sono fatti che riguardano l'intera collettività e se la collettività dice, come ha dimostrato in mille modi e da ultimo con la massiccia manifestazione del 4 dicembre, di non volersi "dimettere" dalla politica, non hanno diritto di farlo né Errico oggi né eventualmente Mennitti domani: e lo diciamo da sinistra avvertendo il dovere di prescindere, in questa incredibile situazione, da ogni criterio valutativo suggerito da vicinanze o lontananze politiche. Il dr. Errico deve restare al suo posto per portare avanti con l'appoggio della gente il lavoro già avviato oppure, qualora questo obiettivo risultasse assolutamente irraggiungibile, per disvelare fino alle estreme conseguenze la irresponsabilità del progetto rivolto a restaurare un passato che getta la sua minacciosa ombra sul futuro delle nostre popolazioni. Brindisi, 17 dicembre 2004 Giancarlo CANUTO - Michele DI SCHIENA - Raffaella GUADALUPI - Salvatore LEZZI - Pompeo MOLFETTA - Maurizio PORTALURI - Giovanni RUBINO - Graziano SANTORO - Fortunato SCONOSCIUTO Al Direttore di LIBERAZIONE dr. Piero SANSONETTI ROMA Egregio Direttore, ho letto con sorpresa il suo articolo pubblicato in prima pagina su "Liberazione" del 17 dicembre sotto il titolo, ed anche questo mi ha sorpreso, «Quei due poteri troppo forti». I due poteri in questione par di capire sarebbero «questo» governo ed i giudici trattati - sembrerebbe - l'uno e l'altro con pari giudizio critico. Lei afferma, in particolare, che probabilmente Ciampi sarebbe stato spinto a rinviare alle Camere la riforma della giustizia da «forze abbastanza potenti disposte a sostenerlo nello scontro con Berlusconi nella battaglia contro l'idea di associare e subordinare il potere giudiziario a quello esecutivo». Mi sarei atteso che Lei avesse attribuito il clamoroso gesto di Ciampi al dovere avvertito dal Capo dello Stato di esercitare la sua alta funzione in assoluta fedeltà alla Costituzione repubblicana, sentendosi in questa «battaglia» sostenuto non da forze «abbastanza potenti» (?) ma dalla cultura civile e dalla sensibilità democratica della stragrande maggioranza del popolo italiano. Lei dice poi che non solo il potere esecutivo ma anche quello giudiziario si sarebbero «dilatati a dismisura» schiacciando e quasi annullando il potere rappresentativo. Un giudizio questo nei confronti dell'ordine giudiziario (Lei lo chiama «potere») ingeneroso ed inaccettabile non fosse altro che per la considerazione dei durissimi servizi resi in questi anni dai giudici al Paese nella lotta contro la corruzione e le mafie ed anche tenuto conto degli attacchi, delle intimidazioni e dei vituperi che i magistrati stanno subendo in questi ultimi tempi. Mi perdoni ma devo dirLe con ruvida franchezza che non credo Lei abbia reso col suo articolo un buon servizio alla verità né alla lotta in favore della Giustizia che con ogni determinazione sta conducendo la sinistra e specialmente quella radicale. La prego di ospitare integralmente sul suo giornale questa mia nota e la saluto distintamente. Brindisi, 17 dicembre 2004 Michele DI SCHIENA (magistrato) Alla Regione Puglia troppi silenzi sulla questione morale di NICHI VENDOLA Caro direttore, ogni volta che Raffaele Fitto perde, per ragioni giudiziarie, un frammento del suo gabinetto di governo, ci offre commenti degni di «cronache marziane»: scandisce parole in libertà, riduce la portata degli eventi alla misura di un raffreddore passeggero, solidarizza con inquisiti ed arrestati, si chiama fuori da qualsiasi coinvolgimento. Come se avere un quarto tondo della propria giunta indagato per reati infamanti fosse ordinaria amministrazione. Come se avere due propri assessori carcerati fosse un problema privato di chi è inciampato nella sventura. Per Fitto lo scandalo è che il centro-sinistra non abbia ancora indicato l'Anti-Fitto. Invece le ombre cupe che gli danzano attorno, il profumo dei soldi sporchi che emana dalle inchieste, persino gli schizzi di fango mafioso che sporcano il vertice della Regione Puglia: tutto questo è nulla. Nulla che meriti un dibattito, un approfondimento, un'autocritica. Io non entro nel recinto dei rilievi penali che vengono mossi, non svolgo indagini e non abito in un ufficio di Procura. E per me il garantismo è una sorta di «religione laica» da rispettare sempre, un catechismo del diritto (e della civiltà) che si applica all'uomo potente come ai militi ignoti della marginalità contemporanea. Vice- 1 versa oggi è in voga un garantismo per quell'establishment che rivendica la propria ontologica innocenza, mentre per i poveri cristi possono valere i modi spicci. Ma qui non siamo impegnati in un processo. Siamo nel cuore della politica: e vengono al pettine nodi che riguardano la credibilità delle istituzioni, la trasparenza e l'onestà nelle funzioni di governo, persino le modalità talvolta opache di selezione della classe dirigente. Provo a riepilogare. Andrea Silvestri era assessore alla formazione professionale, non un astronauta atterrato per caso sul pianeta Fitto. Enrico Santaniello era assessore all'urbanistica, già arrestato in precedenti stagioni eppure rimesso in sella da Fitto, oggi sotto processo per lo scandalo delle patenti false e scalfito dall'indagine foggiana sulla criminalità «edilizia». Giovanni Copertino, che non è un passante, è rinviato a giudizio per le vecchie storie dei suoi eventuali rapporti con il boss Muolo. Ed infine Pietro Franzoso, che è l'assessore ai trasporti catturato per una brutta vicenda di voti e di clan. E non dirò nemmeno una parola sulla verminosa vicenda delle mense per i bambini che ha schiuso l'indagine sulla Cascina. Si possono mettere in sequenza questi fotogrammi di un potere spudorato, si può vedere il film «politico» di questa sporcizia istituzionale, lasciando che i magistrati si occupino di ciò che compete loro? Ma a Raffaele Fitto non compete alcunché? Non c'è una gigantesca «questione morale» che arde sotto la sua preziosa poltrona? Ma c'è di più e di peggio. In tutti questi anni la giovane e brillante «protesi» pugliese di Berlusconi non ha mai sprecato fiato su quel protagonista sanguinario e subdolo che minacciava in lungo e in largo il nostro territorio. La mafia sparava sul Gargano o nel suo Salento, a Bari animava le guerre di ragazzini troppo spesso incrociando e devastando vite di innocenti, a Brindisi puzzava di carbone: cos'è questa, semplice cronaca nera di cui la politica non si occupa? Le storie di malavita e di malapolitica non sono un copione cinematografico, ma la tragedia che continua ad affogare il Mezzogiorno d'Italia. La Puglia non ha un insediamento storico di clan, ma una recente epopea mafiosa cresciuta sull'accumulazione primitiva del cielo del contrabbando di sigarette. Qui più che altrove siamo in tempo per inibire la crescita cancerosa dell'impresa criminale. Il giustizialismo non c'entra un fico secco con il dovere di attrezzarci a recidere ogni legame tra crimine e vita pubblica. C'entra, e tanto, la diagnosi che una classe dirigente ha di certi fenomeni e le terapie che mette in campo. Dinanzi alla mafia il silenzio si chiama omertà. E l'omertà istituzionale predispone alla resa dello spirito pubblico, ara il terreno sociale del disincanto e della paura. Forse è più facile immaginare che dietro l'angolo delle inchieste più scomode ci siano i complotti delle «toghe rosse», Stucchevole immaginazione che consola i propagandisti e tutta la corte del Principe. Ma lascia sola, disperatamente sola, la Puglia: che vive il tempo del declino economico e civile e guarda con apprensione al suo futuro.
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