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deportazioni da Lampedusa e visita al CPT
- Subject: deportazioni da Lampedusa e visita al CPT
- From: MIR Palermo <mirpa.mc at quipo.it>
- Date: Thu, 07 Oct 2004 14:14:06 +0200
-------- Messaggio Originale -------- Oggetto: [MIR_Palermo] deportazioni da Lampedusa e visita al CPT Data: Thu, 07 Oct 2004 07:34:41 +0200 Da: Daniele Briguglia <quasimedico at katamail.com> A: MIR_Palermo at yahoogroups.com Oggetto: resoconto RAS deportazioni da Lampedusa del 6/10/04 Resoconto della Rete Antirazzista Siciliana La giornata delle deportazioni: mattina del 6 ottobre 2004-10-06 Siamo in cinque della rete antirazzista siciliana insieme a Lillo Miccichè, deputato regionale dei Verdi. Arriviamo alle nove del mattino a Lampedusa. Il panorama è surreale: l’isola è militarizzata. Ovunque jeep militari, polizia, carabinieri. Andiamo all’aeroporto che è adiacente al Centro di detenzione per migranti, ma prima passiamo da un bar, dove la gente parla ancora del concerto di Claudio Baglioni, come se nulla fosse. Dalle vetrate dell’aeroporto si vede un pezzo del cortile del campo dove sono trattenuti i migranti. Il sole è a picco, fa un caldo estivo. Li vediamo lì fuori nel cortile (probabilmente perché i capannoni del campo straripano), ammassati sotto l’unico filo d’ombra disponibile, attaccati ai muri. .Ci guardiamo intorno e non c’è nessuno, la RAI è ripartita con la stessa nave con cui noi siamo arrivati, e di parlamentari, ovviamente, neanche a parlarne. Alle 12 e 20 atterra un cargo militare, solo il primo dei quattro arrivati nell’arco della giornata. Alessandra e Ilaria, due di noi, riescono a raggiungere una terrazza da cui si può vedere tutto il cortile del campo. Ci sono tre gruppi di uomini, per ognuno circa 50 persone. Quelli del gruppo più vicino al cancello vengono fatti mettere in fila contro il muro. Probabilmente stanno iniziando ad ammanettarli. Lillo Miccichè aveva chiesto di entrare al campo già ieri e questa mattina. Gli hanno accordato il permesso solo per oggi pomeriggio alle 5. Facile capire perché. Infatti iniziano ad arrivare anche gli altri aerei: tutti C130 dell’aeronautica militare. Alle 12:45 iniziano gli imbarchi. Dal centro si viene caricati direttamente sull’aereo, c’è una distanza di soli 40 metri. Ma il trasporto degli uomini dal cancello del campo all’aereo ha tutte le modalità di una deportazione. In fila per due scortati da uomini in borghese con guanti e mascherine, da donne sorridenti vestite di azzuro (operatrici della Misericordia?), carabinieri e soldati in tuta mimetica, In fila per due. I polsi legati da corde di plastica, trascinati quasi di corsa a gruppi di venti. Noi siamo cinque. Solo cinque. Dove sono i parlamentari? Dove sono coloro i quali avrebbero il dovere di opporsi a tutto questo? Lillo Miccichè inizia a urlare. Grida che questo è un crimine, che si stanno violando tutte le leggi nazionali ed internazionali, cerca di forzare il cordone dei carabinieri per arrivare sulla pista. Ovviamente viene spintonato e buttato a terra. Urliamo anche noi: vergogna! C’è il nostro striscione: NO AI LAGER, NO ALLE DEPORTAZIONI. Ilaria parla arabo, e scrive su un cartello Hurria, libertà in arabo. I carabinieri le intimano di metterlo via. Non si può comunicare con i deportati, e, addirittura, scomodano l’interprete arabo della misericordia per accertarsi che sul cartello non ci siano scritti messaggi sovversivi o insulti. Le nostre voci sono coperte dal rombo dei motori degli aerei, i deportati non possono sentirci anche se ci vedono attraverso i vetri. Niente. Non possiamo fare niente. Ne hanno portati via circa 400, più o meno 100 per aereo. Nessuno dice per dove. Alle 15 sono tutti partiti. Il centro ora è quasi tornato alla normalità: “solo” 200 “ospiti”. Andiamo via anche noi, cerchiamo di riprendere fiato, di trovare un modo per sopportare ciò che abbiamo visto. Dobbiamo attendere le 17, quando finalmente Miccichè potrà accedere al centro. A un bar incontriamo due poliziotti che si fermano a parlare con noi. Ci dicono testualmente che ne hanno “stivati” da 65 a 70 per cargo, ma soprattutto ci dicono che sono stanchi. Sono stremati perché nel pomeriggio di ieri uno degli “ospiti” del centro ha tentato di impiccarsi e loro hanno persino dovuto salvargli la vita. Non capiscono il perché di questo gesto, loro li trattano così bene… gli danno persino l’acqua e le sigarette. Quando chiediamo loro perché li ammanettano per fare 40 metri, ci rispondono che basta guardarli in faccia questi clandestini per capire che sono pericolosi e non hanno rispetto di niente… Quante cose le nostre forze dell’ordine capiscono dai visi di questi migranti: da dove vengono, se sono o meno dei rifugiati, se sono buoni o se sono delinquenti, se sono palestinesi, iracheni o libici. Caspita che bravi… tutto dai tratti somatici. In base a questo, solo in base a questo sono avvenute le deportazioni di questi giorni, nell’indifferenza di un paese intero, nella contentezza degli abitanti di quest’ isola in cui persino i bambini ci dicono che i clandestini devono annegare nelle fogne. L’ingresso al CPT di Lampedusa. Pomeriggio del 6 Ottobre 2004: Entrano al Centro di Lampedusa, il Deputato Regionale dei Verdi Lillo Miccichè, e Ilaria da Palermo (Laboratorio Zeta) per la Rete Antirazzista Siciliana, come interprete di lingua araba e inglese. Un doppio cancello. Il primo li fa accedere, costeggiando la postazione delle forze di sicurezza, carabinieri e polizia, al secondo: l’ingresso alla zona del lager vero e proprio. Li investe un odore acre di immondizia, circa trenta sacchi celesti accatastati tra il cancello e uno dei container che fungono da dormitorio. Sono accompagnati e accolti da un capitano dei carabinieri, da carabinieri in tenuta antisommossa leggera, in tuta anfibi e manganelli, da poliziotti, da qualcuno in borghese, e dall’interprete di lingua araba del Campo. Una “scorta” di dieci, a tratti quindici persone. Vengono subito presentati a tale signor Scalia, direttore del Campo per la Misericordia di Palermo, che li colpisce per la situazione grottesca che incarna: ha indosso una maglietta rosanero del Palermo “Voliamo in serie A”. Si incamminano, fanno i primi dieci passi tra due container dormitorio, e mentre il signor Scalia parla loro, incontrano le facce degli uomini che stanno trattenuti lì dentro, appoggiati alle pareti gialle di alluminio. Li scrutano, e mentre li guardano negli occhi, dopo quei primi dieci passi si accorgono di quell’odore che li accompagnerà per tutta la loro visita al campo: merda, piscio, spazzatura. Non possono più guardare le facce e gli occhi di quegli uomini: l’odore è nauseabondo, e si concentrano per capire da dove provenga. Vedono rivoli di liquami che scorrono tra gli spazi che circondano i quattro container-dormitorio, la mensa e i servizi igienici: è una fogna a cielo aperto. Il signor Scalia dice all’onorevole e all’interprete che quei liquami sono solo acqua, racconta che sei volte al giorno, in questa situazione di emergenza, hanno fatto spurgare i pozzi. Ma quell’acqua puzza. Tutto puzza. Scalia mostra i tubi per lo spurgo, e un piccolo corridoio di asfalto pieno di immondizia sparsa per terra. Inizia poi a parlare di numeri: 1200 “ospiti” fino a lunedì, che dormivano ovunque: nei container, nella mensa, nei cortili a cielo aperto. Parla poi degli imbarchi: oltre quelli imbarcati il 4 ottobre per la Libia e per Crotone, altri 99, stamattina presto, per porto Empedocle, e 372 stivati in quattro c130 dell’aeronautica militare. L’onorevole e l’interprete svoltano di 180 gradi sull’altro corridoio di asfalto. Incontrano i servizi igienici. La porta deve restare aperta. Gente che piscia all’interno, e loro la vedono. Cominciano a guardare dentro i container dormitorio, lunghi circa 20 metri e pieni di due file di letti a castello. Giacigli di gomma piuma gialla, a volte senza niente sopra, a volte con piccole coperte di lana. Basta, niente altro. Il signor Scalia continua a parlare. L’onorevole gli chiede quale sia la procedura adottata con i migranti appena arrivati al campo. Scalia risponde, con voce incerta, quasi a singhiozzi, che vengono raccolti nome, cognome, nazionalità, data di nascita e luogo di provenienza. Poi viene loro chiesto, dopo avergli letto i diritti, se vogliono fare richiesta di asilo in Italia. L’onorevole e Ilaria smettono di ascoltare e chiedono di entrare dentro i container e parlare con gli “ospiti”. Incontrano per primi tre africani neri. L’onorevole si presenta, comunica ai tre uomini perché si trova lì. Loro si sciolgono in un sorriso nervoso e un po’ timido. Iniziano a rispondere alle domande. Si parla in inglese. Al campo non esiste un interprete di inglese e i carabinieri non comprendono questa lingua, quindi la conversazione è tranquilla: solo l’onorevole, Ilaria e i tre uomini. Sono nigeriani e stanno male. Non si sono potuti lavare, sono arrivati malati. Sono spaventati. Con loro, il 3 ottobre, erano arrivati anche due bambini con loro padre, ma lunedì li hanno portati via, non sanno dove. Ilaria gli chiede se gli è stata comunicata la possibilità di chiedere asilo politico. Rispondono di no, e che non hanno neppure avuto l’opportunità di chiederlo loro stessi. Dichiarano di volere fare la richiesta. Ilaria la scrive in italiano, loro in inglese. Queste tre richieste di asilo sono già state inviate via fax agli uffici dell’ACNUR, a Roma. Miccichè e Ilaria si rivolgono poi a un gruppo di 15 uomini che parlano in arabo. Vengono dalla Tunisia, dal Marocco, c’è un uomo di 70 anni che viene dalla Palestina. L’interprete di arabo della Misericordia che gestisce il centro è lì con loro. I due delegati si accorgono subito che la conversazione che stanno per affrontare sarà diversa dalla precedente. Davanti all’interprete i migranti dichiarano che nel campo va tutto bene, che tutti sono gentili con loro e che non hanno bisogno di niente. Chiedono solo di poter lavorare. L’onorevole spiega anche a loro perché è li. Poi si allontana, insieme alle forze di sicurezza, per visitare il posto di polizia che dovrebbe raccogliere le identificazioni e le richieste di asilo, ma scopre che tale ufficio è completamente inutilizzato da mesi. Nel container rimane Ilaria affiancata dall’interprete del campo. Spiega ai migranti che quello che sta accadendo in questi giorni al centro e il centro stesso sono una palese violazione dei diritti umani, che gli uomini che escono dal centro vengono spediti non si sa dove, a volte a Crotone, o ad Agrigento, o in Libia. Ilaria vede che l’interprete si allontana in fretta e subito dopo torna con le forze dell’ordine e l’Onorevole, a cui viene subito intimato dal capitano dei carabinieri di non dichiarare che alcuni dei migranti sono stati deportati in Libia. In assenza di Ilaria l’interprete del centro riferisce al capitano che l’attivista della rete ha detto cose che in realtà non sono mai uscite dalla sua bocca, e infatti poi le ritratta davanti a lei. Comincia l’operazione “psicosi da rivolta”. Sembra una pratica standard: Il capitano e il direttore del centro iniziano a gridare insieme agli altri carabinieri e poliziotti invitando l’onorevole e Ilaria a uscire. “ecco, avete visto cosa avete fatto. Ora uscite…presto succederà qualcosa”. I migranti in realtà sono tranquillissimi. Miccichè non batte ciglio e chiede di continuare la visita nel campo e invita 4 uomini trattenuti lì, provenienti da paesi diversi, a parlare con lui fuori dal primo cancello. Scortati dagli operatori della misericordia, ancora dall’interprete del campo, e dai carabinieri, l’onorevole riesce a bloccare l’operazione psicosi. Parla coi 4 uomini e si fa raccontare le loro storie. Dice loro ciò che farà quando sarà fuori di lì: racconterà quanto siano difficili le condizioni dei paesi di provenienza di chi è trattenuto al centro e si batterà perché escano tutti da lì e possano circolare liberamente in Italia. Una conversazione bella, serena, conclusa in un applauso. Gli altri migranti, ammassati contro la recinzione applaudono i loro 4 rappresentanti, salutano, rimangono lì.
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