I fuochi d'acqua di Mostar.



I fuochi d'acqua di Mostar.
di Francesco Lauria
http://francescolauria.blog.tiscali.it
 
MOSTAR-
 
Due sponde.
Da entrambe dieci anni fa si lanciavano granate e
lacrime.
I proiettili sugli edifici ancora non sono stati del
tutto cancellati a Mostar.
 
Ti capita di contrattare a lungo il prezzo di un
souvenir a Mostar.
Soddisfatto per essere riuscito ad abbassare il
prezzo, lo aspetti, quasi avidamente, quel souvenir.
Poi l'uomo che ti ha concesso lo sconto ti guarda con
una profondita' inaspettata.
Si alza e ti rendi conto che ha una gamba sola.
La guerra, la sofferenza si legge, si fa ascoltare.
Hai i suoi occhi e parla in silenzio.
 
Da quelle sponde a Mostar stanotte si lanciano
splendidi fuochi d'artificio che illuminano la
Neretva, tutta la citta' vecchia ed il  ponte simbolo
della citta', lo Stari Most.
 
La citta, insieme ad un gran numero di invitati
illustri, di giornalisti e di turisti piu' o meno
consapevoli c'e', si vede.
Il nuovo vecchio ponte unisce di nuovo oriente ed
occidente.
Non e' retorica, basta esserci per percepirlo. 
 
Ci si rende conto di quanto i bosniaci, tutti, ma
specialmente i giovani abbiamo voglia di voltare
pagina.
Il passato c'e' e irrompe come un pugno nello stomaco
quando, durante la cerimonia di riapertura dello Stari
Most, si mostrano le immagini di quel disgraziato 8
novembre 1993, quando le granate croate lo
distrussero.
 
Le colombe che volano libere non bastano a soffocare
di nuovo le lacrime.
Lacrime di gioia, di rimpianto, lacrime di paura per
un futuro che qui, in Bosnia, e' difficile e incerto.
 
I profughi, molti mostarini sono in Scandinavia, in
Australia, non qui.
Forse vorrebbero tornare, ma una situazione
immensamente incerta dal punto di vista economico ed
istituzionale li tiene piu' lontani delle granate.
 
Comunque oggi e' la rivincita della citta' sui suoi
monti.
Il tessuto urbano si ripopola, grida l'impossibilita'
di essere di nuovo diviso.
 
I monti no, sono in silenzio con le loro tombe, con
quella immensa croce che i croati hanno voluto
innalzare alle spalle o se volte di fronte alla
citta'.
 
I monti ci sono ancora nella difficolta' di trovare un
assetto condiviso per Mostar e per le sue tre
minoranze, perche' qui ci sono anche i serbi.
 
I tuffi dei giovani, dallo Stari Most, cercano ancora,
forse, di conquistare una fanciulla amata, forse
esorcizzano la paura del futuro, cosi' come esorcizza
la paura di attentati il davvero sproporzionato
schieramento di polizia.
 
Fuoco e acqua.
Domani a Mostar si getteranno le basi del comitato
bosniaco per l'acqua come bene comune.
La privatizzazione selvaggia qui e' ancora piu'
urtante, poiche' molte esperienze di autogestione
socialista, con i loro evidenti limiti, funzionavano.
Ma lo Stato a mala pena sopravvive.
 
Alexander Langer ricordava come i fiumi, l'acqua
potessero essere elemento di unione, di apertura dei
confini.
Specialmente di quelli mentali.
 
Quel fuoco di passione che accende gli abitanti di
Mostar e gli intrusi del mondo come me, si deve
incontrare con l'acqua.
La democrazia cosi' difficile in questo contradditorio
protettorato bosniaco e' laboratorio per tutti e a
settembre, proprio a Mostar, nascera' una nuova
Agenzia per la Democrazia Locale, promossa da enti
locali europei e dal Consiglio d'Europa.
 
Stasera il mondo si e' ricordato di Mostar e forse
Mostar ha ritrovato, almeno in parte se stessa.
 
Rimangono il ricordo e l'emozione dei fuochi d'acqua
che univano i minareti, le croci le lacrime di tutti.
Rimangono i problemi di domani.
Rimane una tormentata speranza.
Anche di chi si appresta a tornare nell'Europa comoda
e distratta dei venticinque.
Ma soprattutto di chi qui sperimenta
l'incommensurabile difficile ricchezza di un'Europa
dai mille volti.
 
Un'Europa da conservare e amare.
 
 
 
 



	

	
		
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