FALCONE - Giorgio Bocca



IL COMMENTO
Quello che intendeva Falcone
quando parlava di autonomia
di GIORGIO BOCCA

MARCELLO Pera, presidente del Senato e seconda autorità dello Stato parla
in lingua professorale e oscura, di cui però si capisce subito che è sempre
schierato toto corde con il capo del governo e autore della sua fortuna
politica. Questa volta ha scelto come argomento Giovanni Falcone, il
magistrato siciliano assassinato dalla mafia.

Una celebrazione in agro dolce: sì certo, era un grande e coraggioso
giudice ma i suoi laudatori a volte esagerano: "Sarebbe vano e anche
colpevole alzare steli alla sua persona e dimenticare le sue idee. Sarebbe
poco onesto lodarlo e non prenderlo in seria considerazione. Il calcolo, le
convenienze, il dosaggio non si addicono all'omaggio sincero". A farla
breve prendendo lo spunto da Falcone, l'onorevole Pera ha voluto dirci la
sua sull'autonomia e l'indipendenza della magistratura e ci ha spiegato che
esse non sono, come sostengono certi giudici di sinistra, un privilegio di
casta o la riserva di una élite dello Stato, ma valori costituzionali.

Insomma che le lamentele dei giudici sulle invadenze dell'esecutivo sono
esagerate, sbagliate. Vorrei come cronista frequentatore del palazzo di
Giustizia di Palermo, quando Falcone vi guidava il pool Antimafia,
ricordare al presidente del Senato cosa intendevano Falcone, Borsellino,
Caponnetto e gli altri del pool quando parlavano di autonomia e di
indipendenza.

Intendevano non essere venduti alla mafia anche dai loro colleghi e
superiori, essere traditi dallo Stato; non si fidavano di parlare fra di
loro negli uffici della Procura, pensavano che fosse più sicuro parlare
negli ascensori; si chiedevano come accadesse quasi regolarmente che
processi istruiti con tutte le cautele, celebrati con tutte le regole,
fossero regolarmente annullati dalla suprema corte, come e perché gli
ufficiali e i sottufficiali dei carabinieri che indagavano con efficacia
venissero trasferiti in altre regioni.

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Ricordare Falcone non come uno che ha combattuto la mafia e che la mafia ha
ucciso, ma come un sottile giurista che ha teorizzato sull'autonomia e
l'indipendenza della magistratura magari sbagliando, cioè dissentendo dal
superiore pensiero giuridico del cavaliere di Arcore sembra poco consono a
una autorità istituzionale che dovrebbe essere superiore alle parti.

Ma di superiore alle parti, in questa astiosa campagna elettorale, come si
sa, come si vede, non c'è più nulla specie da parte di una maggioranza che
ricorre all'intimidazione e all'arroganza seminando veleni che rimarranno
per anni nella nostra vita civile. Secondo la tecnica di provocare in
continuazione.

Il ministro della Giustizia Castelli per dire, vuol sapere i nomi dei
magistrati che sciopereranno e l'onorevole La Loggia si affretta a
minimizzare: "Ma quale lista di proscrizione, quella di Castelli è
semplicemente un modo per sollecitare una riflessione più giusta. Il
giudice Almerighi dice che il nuovo ordinamento attenterà all'autonomia
della magistratura? Ma quale attentato? Noi crediamo nel dialogo. Noi
vogliamo costruire tutti assieme un ordinamento migliore".

Per la maggioranza i magistrati sono nel migliore dei casi delle teste
calde, irresponsabili che si oppongono a una giusta riforma della
giustizia. Come se non fossero una delle strutture portanti dello Stato,
novemila in servizio, pochi di numero e poveri di mezzi. La maggioranza
coglie ogni occasione per metterli sul banco degli accusati, il capo del
governo ne parla come di sovversivi, senza preoccuparsi che la disistima
per la loro funzione cada in un periodo di crescente anarchia.

Abbiamo al governo uomini preoccupati più di dividere gli italiani che di
unirli. "Trovo particolarmente allarmante, ha detto Anna Finocchiaro
responsabile della Giustizia dell'Ulivo, che in un periodo in cui la
magistratura è continuamente sotto attacco sia proprio il presidente del
Senato ad aggiungere la sua voce ad accuse scomposte. Allarmante ma
prevedibile".

(24 maggio 2004)
da La Repubblica