incendio al Naga_har



fuoco dell'intolleranza

La notte tra il 23 e il 24 marzo un incendio doloso ha devastato i locali
del Naga-Har, principale centro milanese di accoglienza e assistenza ai
richiedenti asilo e rifugiati politici. Un gesto di razzismo, di
intolleranza, di violenza, di ignoranza che colpisce persone fuggite da
guerre e persecuzioni, venute in Italia con la speranza di trovare rifugio
in un paese democratico e civile, di essere finalmente accolti. Forse,
purtroppo, si sono sbagliati

27 marzo 2004 - Un giovedì pomeriggio qualunque, entrando al civico 24 di
via Grigna, periferia di Milano, si sentiva odore di tè, ritmi africani e
melodie arabe, voci che parlavano, ridevano, scherzavano in una babele di
lingue: arabo, francese, inglese, italiano. Il tutto mischiato assieme in
un chiasso allegro e vitale. Chi seguiva il corso di cultura e lingua
italiana, chi quello di musica. Chi chiedeva di trovargli un alloggio, chi,
nonostante la confusione, dormiva su un divano perché un alloggio non
l'aveva ancora trovato. Chi leggeva la posta su Internet, unico ambìto e
conteso strumento di comunicazione con chi è rimasto a casa. Chi guardava
la tv, chi chiacchierava del più e del meno, chi chiedeva una sigaretta. E
soprattutto chi cercava di trovare la tranquillità, e la forza, per
raccontare ai volontari la propria storia, quella che una commissione a
Roma avrebbe poi dovuto valutare per decidere se concedere o meno l'asilo
politico.
Sì perché chi viene qui al Naga-Har è scappato dalla guerra, dalla
dittatura, dalla persecuzione, dalla repressione, dalla tortura. Ragazzi
fuggiti dalla Sierra Leone, dalla Liberia, dalla Costa d'Avorio, dal Congo,
dalla Nigeria, dall'Iraq, dall'Afghanistan, dal Kurdistan. Venuti in Italia
con una speranza: trovare rifugio in un paese democratico e civile, trovare
accoglienza. Trovare pace. Un'umanità che galleggia in un limbo sospeso tra
un passato da dimenticare e un futuro ancora tutto da costruire.
Giovedì 25 marzo si vedeva da lontano che qualcosa non andava. Fuori dalla
porta, rifugiati distribuivano volantini ai passanti che, contrariamente al
solito, non passavano, ma si fermavano a guardare. Sul marciapiede, mobili
carbonizzati. La gente che entrava e usciva non dalla porta, ma dalla
vetrina scoppiata e scrostata. Dentro, solo l'acre odore di bruciato, le
mura annerite dal fumo. Silenzio e rabbia. Arrampicati sui pochi mobili
rimasti intatti, gli ospiti e i volontari del centro ripuliscono i muri con
stracci e spugne. Hanno dato fuoco al Naga-Har.
Nella notte del 24 marzo, qualcuno ha buttato un panno imbevuto di benzina
all'interno dei locali dell'associazione. Un'azione premeditata. Hanno
usato un buco nella serranda d'acciaio, fatto una decina di giorni prima.
La pezza incendiata ha fatto scoppiare il televisore e il videoregistratore
che stavano lì accanto. L'esplosione ha devastato la vetrina, facendo
prendere fuoco ai mobili della stanza. Ma soprattutto ha prodotto un denso
fumo nero che ha ricoperto tutto di uno strato di fuliggine, nero come la
pece. Questo, e il forte calore sviluppato dall'incendio, hanno reso
inutilizzabili computer, stampante e fotocopiatrice: le uniche cose di
valore che c'erano.
"E' opera di gente cattiva, gente satanica". "Questo è razzismo!". "Cosa ci
hanno guadagnato?". "Noi continuiamo come prima". Sono i commenti che i
ragazzi del centro fanno tra loro, ancora increduli, anche se non scossi:
loro a queste cose ci sono abituati, hanno visto e vissuto ben di peggio.
Certo, non pensavano di vederle succedere anche qui. I loro pensieri
vengono raccolti su un foglio di cartone appeso fuori dalla porta. "Dopo
essere stati costretti a fuggire dai nostri paesi, ci chiediamo chi voglia
cacciarci anche da qui". "Questo è l'unico posto a Milano in cui troviamo
casa durante il giorno, quando i dormitori sono chiusi".
Dopo un primo momento di smarrimento tutti si sono rimboccati le maniche e
hanno iniziato a mettere ordine e a ripulire. Qualcuno ha fatto il tè,
qualcun altro ha riacceso lo stereo annerito, ancora funzionante. Con Bob
Marley in sottofondo, il Naga-Har ha iniziato a rivivere.
Laura Forcucci*

*volontaria del Naga-Har