I BENEFICI PREVIDENZIALI PER ESPOSIZIONE AD AMIANTO DOPO LA FINANZIARIA 2004



I BENEFICI PREVIDENZIALI PER ESPOSIZIONE AD AMIANTO DOPO LA FINANZIARIA 2004

TRIBUNALE DI RAVENNA
Sentenza 10 dicembre 2003

REPUBBLICA  ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Giudice del Tribunale di Ravenna, in funzione di Giudice del lavoro,
dott. Roberto RIVERSO, ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
nella causa civile iscritta a ruolo il 05.02.2003  al n. 60/03  del
registro generale contenzioso promossa da :
- TM
- RS
- FP
- CA
- DS
rappresentati e difesi dall'Avv. *** del Foro di Bologna ed elettivamente
domiciliati  in Ravenna;
attori - ricorrenti
c o n t r o
- I.N.A.I.L. (Istituto Nazionale della Previdenza Sociale)
in persona del suo Direttore Regionale pro tempore, rappresentato e difeso
in virtù di procura generale alle liti per atto del notaio, dall'Avv. ***,
ed elettivamente domiciliato presso lo stesso, nella Avvocatura INAIL
presso la Sede INAIL di Ravenna; 
convenuta
  e  c o n t r o
- I.N.P.S. (Istituto Nazionale della Previdenza Sociale)
in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avv.
***, giusta procura generale alle lit, domiciliatario con studio in
Ravenna, presso la Sede Provinciale dell'Istituto;
convenuta
Oggetto: riconoscimento dei benefici previdenziali da esposizione amianto.
C o n c l u s i o n i
All'udienza del 10.12.2003, i procuratori delle parti hanno così concluso:
- per la parte ricorrente: "Voglia l'Ill.mo Giudice accogliere le seguenti
conclusioni - nei confronti di entrambi i convenuti - accertare e
dichiarare che i ricorrenti sono stati esposti all'amianto per oltre dieci
anni ai fini dell'art. 13 co. 8 L. nr. 257/92 e pertanto dichiarare il loro
diritto ad usufruire della maggiorazione contributiva, ivi disposta, per
tutto il periodo, ovvero per il diverso periodo che risulterà nel corso di
causa, durante il quale hanno prestato la loro attività lavorativa presso
gli impianti PVC/S, PVC/M del Petrolchimico di Ravenna; e per il signor
Ferrari Pietro anche relativamente al periodo di lavoro da lui svolto
presso la ditta Isolfin Romagnola. Con vittoria di spese diritti ed onorari
da distrarsi in favore del procuratore ut sopra, che se ne dichiara
antistatario".       
- per la parte convenuta  - INAIL -: "Voglia l'Ill.mo Giudice - in via
preliminare: dichiarare le domande inammissibili nei confronti dell'INAIL
perché dirette ad accertare mere situazioni di fatto di cui difetta
l'interesse ad agire di cui all'art. 100 C.P.C.; - dichiarare altresì
l'inammissibilità nei confronti dell'INAIL per difetto di legittimazione
passiva, avendo solamente l'INAIL prestato all'INPS un proprio organo di
consulenza tecnica, la CONTARP, che ha emesso un parere tecnico comunque
non vincolante per l'INPS. In subordine: disporsi la riunione della
presente causa alla causa promossa da altri compagni di lavoro dei
ricorrenti, con udienza fissata, avanti l'Ill.mo Signor Giudice del Lavoro
di Ravenna. Vi è infatti connessione oggettiva, trattandosi di compagno di
lavoro, e del medesimo beneficio di compagno di lavoro, e del medesimo
beneficio invocato; ciò ai fini dell'economia processuale. Nel merito:
respingersi le domande nei confronti dell'INAIL in quanto infondate in
fatto e in diritto. Con vittoria di spese, competenze ed onorari".
- per la parte convenuta - INPS -: "Voglia l'Ill.mo Signor Giudice adito,
contrariis reiectis, in via preliminare e/o pregiudiziale,disporre ex art.
107 c.p.c. la chiamata in causa della Ditta - Datore di Lavoro di parte
ricorrente, in persona del legale rappresentante pro tempore; in via
principale, rigettare l'avversa domanda in quanto infondata. Spese come per
legge".
Svolgimento del processo
Con ricorso depositato il 5.2.2003 TM e gli altri ricorrenti sopra
indicati, adivano questo giudice del lavoro contro l'INPS e l'INAIL,
sostenendo di aver lavorato come dipendenti presso lo stabilimento
petrolchimico di Ravenna gestito da varie società nel corso degli anni e di
aver maturato il diritto alla rivalutazione dei periodi contributivi ai
sensi dell'art.13, comma 8 della legge 27/3/92 n.257 il quale prevede tale
beneficio per i "lavoratori che siano stati esposti all'amianto per un
periodo superiore a dieci anni...".
A sostegno della domanda i ricorrenti deducevano: di aver svolto le loro
mansioni, precisamente indicate in ricorso e per i periodi ivi indicati,
come operatori di impianto nel reparto PVC/sospensione, PVC/massa,
rimanendo esposti all'amianto sia nella forma diretta derivante dalla
manipolazione di materiali contenenti amianto, sia nella forma indiretta
connessa allo svolgimento delle mansioni all'interno dell'ambiente di
lavoro costantemente inquinato dalla presenza di fibre d'amianto; che
l'amianto era presente in grandi quantità nell'ambiente di lavoro su
tubazioni che si estendono per chilometri, apparecchiature presenti in
impianto, materiali utilizzati nell'espletamento delle mansioni (cordini,
baderne, teli, guanti, ecc.) ed era soggetto a facile dispersione
nell'ambiente; ciò accadeva sia per ragioni collegate al ciclo produttivo,
sia per ragioni collegate al normale processo di usura e degrado implicante
screpolature e rotture con dispersione delle fibre d'amianto nell'ambiente
circostante.
Il ricorrente FP deduceva altresì di aver lavorato presso la ditta I R nel
perido dal 2.11.1981 al 30.01.1988, periodo per il quale la stessa ditta ha
provveduto a pagare il premio supplementare per asbestosi.
I ricorrenti deducevano in diritto che secondo la più corretta
interpretazione della normativa il riconoscimento del beneficio previsto
nel comma 8 dell'art.13 non poteva considerarsi subordinato
all'accertamento dell'esistenza di una determinata soglia quantitativa di
esposizione, né alle condizioni previste dalla legge per la sussistenza in
capo all'impresa dell'obbligo del pagamento del premio supplementare per il
rischio asbestosi (ai sensi dell'art.153 TU 1153/65), essendo stato invece
collegato dal legislatore a qualsiasi esposizione nociva all'amianto, nel
luogo di lavoro, per un periodo maggiore di dieci anni.
Sulla scorta di tali premesse, illustrate in punto di fatto e di diritto,
la difesa dei ricorrenti chiedeva l'accoglimento delle conclusioni
precisate in epigrafe nei confronti dell'INPS e dell'INAIL.
Con memoria ritualmente depositata si sono costituiti in giudizio i
convenuti ; l'INPS rilevava che per ottenere il beneficio previsto
dall'art.13, comma 8 cit. i lavoratori interessati erano tenuti a produrre
all'atto della domanda una apposita certificazione rilasciata dall'INAIL
cui era stato affidato l'accertamento del rischio di esposizione
all'amianto per ogni lavoratore interessato, nonché dei relativi periodi di
esposizione secondo uno schema concordato col Ministero del Lavoro (Circ.
INPS n.129/94 ; messaggio INPS n.22759 del 20/4/96) ; rilevava inoltre che
i ricorrenti non avevano allegato alla domanda una positiva certificazione
rilasciata dall'INAIL attestante i periodi di esposizione all'amianto (che
anzi l'INAIL aveva rilasciato una dichiarazione negativa di non
esposizione); che pertanto l'Istituto aveva respinto la domanda di
accredito del beneficio contributivo; contestava  comunque la sussistenza
dei presupposti di fatto e di diritto, per l'applicabilità del beneficio di
cui all'art.13, comma 8 cit. in favore dei ricorrenti; chiedeva inoltre la
chiamata in causa del datore di lavoro e concludeva per il rigetto
integrale delle domande.
Nella causa si è costituito anche l'INAIL dando atto delle proprie
competenze in materia e sosteneva che la CON.TA.R.P. Regionale sulla scorta
di propri accertamenti ed indagini,  aveva ritenuto insussistente per il
ricorrente il rischio di esposizione all'amianto di cui all'art.13, comma 8
L.271/93; sosteneva che il rischio considerato dall'art.13 cit.non poteva
prescindere dall'accertamento di una soglia di esposizione superiore a 0,1
fibre per cm. cubo ( ovvero 100 fibre litro); la difesa dell'INAIL
concludeva contestando la fondatezza del ricorso, ed in via preliminare la
stessa sussistenza della propria legittimazione passiva in quanto all'INAIL
sarebbe stato affidato in questa materia unicamente un compito di
consulenza a favore dell'INPS.
La causa è stata istruita con il deposito di documenti e l'assunzione di
testimonianze. Dopo la discussione effettuata dalle parti veniva
pronunciata la decisione come da separato dispositivo.
Motivi della decisione
I. La questione di diritto
1. Premessa
Chi scrive non condivide (come altri giudici di merito; da ultimo v. Corte
d'Appello Milano sentenza 4.3.2003, est. De Angelis) la tesi sostenuta in
giurisprudenza secondo cui il riconoscimento del beneficio contributivo
previsto dall'art.13,8 della legge 257/92 è subordinato all'accertamento
del superamento del limite di 100 fibre litro per più di dieci anni con
onere della prova a carico del lavoratore; nè condivide la tesi, pure
sostenuta in giurisprudenza ( ma, incoerentemente, solo quando si discute
di pensionati ante legem 257/92) secondo la quale il beneficio avrebbe
l'esclusiva finalità di agevolare all'esodo i lavoratori del dismesso
settore amianto al fine di far raggiungere loro la soglia contributiva
necessaria per l'accesso a pensione.
La norma è già stata applicata da questo giudice con diverse sentenze (per
tutte la sentenza n.139/99) nelle quali è stata sostenuta la tesi secondo
cui il beneficio è riconosciuto, secondo una chiara e meditata scelta
discrezionale compiuta dal legislatore (resa evidente dalle modifiche che
la norma aveva subito nelle sue varie edizioni), a tutti i lavoratori
esposti per più di dieci anni al rischio di contrarre malattie da amianto
secondo il sistema c.d. misto di assicurazione gestito dall'INAIL.
In particolare si era sostenuto nelle stesse sentenze che la norma: a. non
seleziona i destinatari del beneficio in base al tipo di rischio (
asbestosi o altre malattie correlate all'asbesto); b. non seleziona i
destinatari in relazione alla tipologia dell'impresa presso cui il rischio
sarebbe stato contratto; c. non seleziona in base a limiti di esposizione
rigidamente prefissati; e. ha una funzione compensativa-risarcitoria; d.
deve essere armonizzata con il sistema assicurativo di tutela dalle
malattie professionali.
I risultati interpretativi raggiunti in dette sentenze sembravano
confermati dalla sentenza n.5 del 12.1.2000 con la quale la Corte
Costituzionale si era pronunciata una prima volta sull'argomento.
Nel dichiarare infondate le doglianze sollevate dal giudice a quo la Corte
aveva sostenuto che la norma delinea una fattispecie legale attributiva di
un beneficio previdenziale, la quale pur concentrandosi sul dato temporale
dell'esposizione ultradecennale all'amianto ( ritenuto scarsamente
determinato dal giudice a quo), consente una congrua selezione degli aventi
diritto, essendo sufficiente allo scopo l'impiego degli ordinari criteri
ermeneutici (letterale, sistematico e teleologico); tramite i quali la
norma trova congrua definizione nella sua portata " in vista della sua
piana e puntuale applicazione".
In particolare, gli argomenti utilizzati allora dalla Corte per giungere
alla corretta interpretazione della fattispecie erano stati: il richiamo
dell'evoluzione subita dalla disciplina di cui si tratta attraverso le
modifiche via via apportate dal legislatore per giungere all'attuale testo
normativo; il richiamo dello scopo della disposizione; il criterio
costituito dalla durata della esposizione ( che deve essere
ultradecennale); l'elemento dell'attività lavorativa (artt. 1 e 3 del DPR
1124/65) che rimanda al concetto di rischio morbigeno "rispetto alle
patologie quali esse siano che l'amianto è capace di generare per la sua
presenza nell'ambiente di lavoro".
L'impiego di tali criteri aveva portato la Corte a concludere che "La
disposizione denunciata poggia quindi su un sicuro fondamento rappresentato
sia dal dato di riferimento temporale sia da quella nozione di rischio che,
come è noto, caratterizza il sistema delle assicurazioni sociali".
Nonostante queste chiare direttrici (in sintesi: tempo + rischio morbigeno)
indicate dalla Corte Costituzionale, la giurisprudenza ha disseminato il
percorso applicativo della disposizione di ostacoli di ogni tipo: limiti di
carattere finanziario ( sufficienza della copertura), limiti di tempo (
vale solo l'esposizione fino ad una certa data);  limiti soggettivi ( il
beneficio si dirige solo ai lavoratori dipendenti da alcune imprese);
limiti oggettivi (necessità che l'esposizione superi determinate soglie);
limiti di carattere  assicurativo (necessità di selezionare all'interno
della stessa assicurazione gestita dall'INAIL); tutta una serie di ostacoli
che fanno pensare ad una incoercibile idiosincrasia nei confronti di questa
norma, cose se si trattasse di una norma che non piace e che non si vuole
applicare quindi nel suo giusto tenore; del resto ciò è reso visibile dal
fatto che, salve poche eccezioni,  non vi è pronuncia giurisprudenziale in
cui non sia stato scritto che la norma non sia chiara , non sia fatta bene,
ecc. (arrivando alcuni ad ipotizzare addirittura l'attentato al libero
esercizio dell'attività di impresa).
2. I limiti di esposizione; le 100 fibre litro.
La via attraverso cui si snoda il tentativo principale di cambiare la
portata egualitaria della legge in sede applicativa, e di svuotarla del suo
contenuto, è quella che passa attraverso i c.d. limiti quantitativi di
esposizione.
Tutti sanno che per l'amianto (come per altre sostanze cancerogene: il CVM,
benzene, il fumo, ecc) la scienza medica ha unanimemente affermato che non
esistono limiti espositivi tollerabili, accettabili.
Non esiste quindi una discrimen tra concentrazioni innocue e concentrazioni
nocive.
Il fatto è chiarito espressamente nella Direttiva CEE del 1983/477 dedicata
all'amianto.
Lo stesso concetto, è stato espressamente menzionato nei lavori preparatori
( che sempre vengono richiamati in modo parziale da chi vuole restringere
la portata del beneficio) che hanno portato alla modifica della norma, con
la 271/93. Dice nel suo intervento l'on. Muzio ( v. atti parlamentari,
seduta della Camera dei Deputati 12.7.1993) , che per uno strano scherzo
del destino viene sempre citato dalla tesi qui disattesa, " questa sostanza
cancerogena non ha alcun livello di soglia o limite che possa garantire la
salute  di coloro che sono stati o siano esposti, nel senso che è dannosa
una quantità anche minima"  .
Questa tesi è acquisita al patrimonio dell'ordinamento giuridico italiano
ed appartiene nella formazione culturale di ogni giudice di qualsiasi
estrazione (civile, penale, amministrativo); sicchè non può che destare
stupore il fatto che da ultimo la Corte Cost.nella sentenza 434/2002 abbia
sostenuto in un obiter dictum che per ottenere il beneficio occorra la
prova di essere stati esposti ad un limite " superato il quale la
concentrazione dell'amianto aveva potenzialità morbigene"(!).
a. Su un piano generale si è sempre affermato che l'art.2087 del c.c.
obblighi il datore di lavoro a tutelare la sicurezza sul luogo di lavoro
attraverso il principio della massima protezione tecnologicamente fattibile
( che non tollera quindi alcuna rigidità).
b. A tale principio è stata sempre ispirata l'applicazione del DPR 303/56
sull'igiene nel lavoro per quanto riguarda l'obbligo del datore di
abbattere fumi, ridurre le polveri ( art 21).
c. Più specificamente per l'amianto, tutta la giurisprudenza civile e
penale, senza che vi sia una sola eccezione conosciuta, ha messo in
evidenza, che il d.lgs 277/91 che ha recepito la direttiva CEE cit., non
contiene "valori limite" nel senso che al di sotto di quelli pure previsti
dalla stessa legge, a taluni precisi fini, l'esposizione sia innocua e si
possa tranquillamente trascurare;  ma "soglie di allarme" che hanno la
funzione di far scattare ulteriori obblighi di attivarsi per il datore di
lavoro al fine di agire sui tempi di esposizione (di ridurre i tempi,
l'altro versante della prevenzione): quindi il datore è sempre obbligato ad
adottare tutte le misure per abbassare il rischio, per proteggere al
massimo il lavoratore quale che sia il livello della esposizione; se poi si
superano alcuni limiti  (fissati convenzionalmente)  egli ha l'obbligo di
fare di più, per proteggere meglio il lavoratore dalla più intensa
esposizione e per rientrare nel più breve tempo possibile al di sotto di
quel limite.
E' questo il punto centrale che deve essere ribadito: come riconosciuto da
tutta la giurisprudenza il d.lgs 277/91 stabilisce che in tutte le attività
che espongono il lavoratore ad amianto il datore di lavoro deve:
1) valutare il rischio (ambientale e personale);
2) consultare i lavoratori ed informarli sui rischi;
3) adottare le misure tecniche per la pulizia, per ridurre la qualità di
amianto impiegate, adottare adeguati strumenti per la protezione
individuale e per ridurre al minimo l'esposizione (art.24/ art. 36);
a prescindere da qualsiasi soglia limite.
Questo perché per l'amianto non esistono limiti di accettabilità
dell'esposizione; anche l'esposizione inferiore ai limiti di soglia è
nociva, tanto più se è duratura ( tanto più se deve durare più di dieci
anni come è previsto per il beneficio previdenziale in oggetto). Lo dice
espressamente il capo III e gli artt.22, 24, 26, 28 del dlgs 277
"protezione dei lavoratori contro i rischi connessi all'esposizione  ad
amianto durante il lavoro"; le norme si applicano a "tutte le attività
lavorative nelle quali vi è rischio di esposizione"
- Tuttavia nonostante queste insuperabili premesse scientifiche e
prescrizioni normative, quando viene in rilievo l'esposizione prevista
dall'art.13,comma 8° della legge257/92 si sostiene meccanicamente, pur in
mancanza di agganci in questo testo normativo, che l'esposizione per essere
rilevante deve aver superato un limite; e con quale argomentazione la si
sostiene questa tesi? Proprio con il richiamo al dlgs.277/91, il quale a
proposito della protezione dell'amianto si premura di precisare che
qualsiasi esposizione è rilevante e che non esistono limiti, come ribadisce
da sempre la giurisprudenza penale quando si occupa del dlgs. 277/91
(condannando chi non si attivi in questo senso; Cass.pen sez III 18.3.1992).
Basterebbe dunque leggere le norme: nell'art.13,8 non c'è un limite
espositivo. Nella norma c'è invece la durata, l'esposizione all'amianto
senza limiti predeterminati, che deve durare più di dieci anni; il limite
non c'è ed anche giusto, congruo e razionale che non ci sia per tutto
quello che si sa sull'amianto (sulla nocività a basse dosi, sul concetto di
esposizione cumulativa, sul fatto che un'esposizione a basse dosi ma
duratura è un esposizione alta, che cioè procura danni; le basse dosi di
amianto si accumulano infatti nell'organismo, lì rimangono e procurano
danni).
Negli artt. 22, 24, 25, 2°comma , 26, 1° comma, 28 dell'art.dlgs 277/91 non
ci sono limiti espositivi; le norme dicono invece che in tutte le attività
che comportino un' esposizione bisogna adottare delle misure di protezione.
I valori limiti di esposizione ci sono in altre norme del dlgs.277/91;
sono soglie di allarme, hanno la funzione di costringere il datore a
rientrare in limiti più bassi, di obbligarlo a mettere in atto ulteriori
misure di protezione.
Dunque se il legislatore avesse voluto introdurre un limite di esposizione
ai fini del riconoscimento del beneficio lo avrebbe detto; avrebbe dettato
però una norma diversa (che non possono dettare i giudici, che non sono
legislatori); avrebbe semplicemente detto il beneficio deve essere
accordato ai lavoratori che sono stati esposti alle concentrazioni di cui
all'art.3 L. 257 o all'art. 31 o 24, 2° comma del d.lgs 277/91.
Il legislatore  questo però non lo ha detto!
Questo discorso vale per il limite di 0,1 fibre per cm3 ( le 100 fibre
litro) previste dall'art.24,2° comma che la giurisprudenza e la CONTARP
assumono come il limite cui  è subordinato il riconoscimento del beneficio
per esposizione ambientale.
Fermiamoci ad analizzare questo limite delle 100 fibre .
Esso è stato dettato dall'art.24 per stabilire che in caso di superamento
scatti l'obbligo di notifica all'organo di vigilanza, l'informazione del
lavoratore deve avere una periodicità più breve (almeno annuale), bisogna
delimitare i luoghi di lavoro farvi accedere solo i lavoratori addetti,
predisporre servizi igienici adeguati ecc. (art.27, 2).
Cosa rileva tutto ciò con il beneficio previsto dall'art.13,8 comma?
Si tratta di un limite mediato su un periodo di 8 ore di lavoro oppure in
caso di attività a carattere saltuario per un periodo di 40 ore (quindi al
massimo una settimana lavorativa ); si tratta di limite che vale per
specifici lavoratori verso i quali deve attuarsi uno specifico più adeguato
apparato prevenzionale.
Soprattutto si tratta di un limite, il cui superamento determina
l'immediata adozione di misure idonee ad abbattere il rischio.
A cosa servirebbe altrimenti l'apparato di protezione del dlgs.277 se non a
sottrarre il lavoratore dal rischio di quella esposizione superiore a 100
fibre?
I lavoratori del beneficio previdenziale sono invece quelli che sono stati
esposti per 10 anni, e quindi per lo più prima dell'introduzione nel '91 di
questo imponente apparato previdenziale, in periodi in cui non vi era
alcuna informazione, prevenzione, valutazione, accertamento  del rischio;
come può valere per essi un limite che è stato introdotto per tutelare
maggiormente alcuni lavoratori sul piano della prevenzione e della salute e
per obbligare il datore a sottrarli al rischio di una esposizione
continuativa considerata assai pericolosa ?; come può valere se qui
parliamo di un esposizione che deve durare almeno più di 10 anni, mentre
quei valori sono indicati per brevissimi periodi (8 ore o 40 ore) e
prevedono che le zone devono essere delimitate, rese accessibili  solo ad
alcuni i quali vi devono rimanere solo per il tempo strettamente
necessario? e  che bisogna rientrare in valori più bassi?
I valori indicati dal dlgs.277/91 hanno quindi tutt'altro fine e tutt'altra
logica; una  logica che deve essere valutata nell'ambito del complessivo
sistema di prevenzione predisposto dal d.lgs. 277. Quei valori non hanno
nessuna logica ( tantomeno dal punto di vista medico) se vengono calati in
un ambito normativo che non obbligava all'adozione di  questo specifico
apparato di prevenzione.
Dunque questa tesi delle 100 fibre non soltanto viola l'art.13,comma 8 ed
il dlgs. 277; ma snatura la stessa filosofia del sistema di prevenzione
attuato con il dlgs 277/91; apre contraddizioni insanabili
nell'ordinamento; si utilizza un limite mediato che per specifici fini di
protezione del lavoratore deve valere al massimo per 40 ore di lavori
saltuari e per 8 ore di lavori continuativi ( dopo di che scatta l'obbligo
di abbassarlo e di scongiurare il rischio per il lavoratore con misure
adeguate) e lo si proietta in una differente dimensione;  dimensione
differente non solo sotto il profilo temporale ( da 8 o 40 ore a più di
dieci anni), ma soprattutto per lo scopo: dalla prevenzione alla
previdenza; dalla protezione della salute del lavoratore all'indennizzo del
rischio morbigeno.
Una proiezione che provoca un evidente ribaltamento logico delle normative;
la legge 257 mira ad indennizzare il rischio corso dal lavoratore che non è
stato protetto, il dlgs.277 mira a far sì che questa situazione non si
verifichi mai più!
Come si può veramente immaginare un'esposizione ultradecennale del
lavoratore superiore a 100 fibre di amianto vigente il sistema di
protezione del dlgs 277 ?; nel sistema del dlgs la presenza di quelle fibre
deve portare all'adozione di misure così precise e valide da scongiurare
qualsiasi rischio per la salute del lavoratore. A cosa serve altrimenti il
dlgs.277?
Per riconoscere il beneficio previdenziale si ipotizza quindi la esistenza
di una condizione che vale a sancire il fallimento del sistema di
protezione introdotto dal d.lgs 277/91.
Insomma quello che è l'orlo del baratro, l'inizio del precipizio, è stato
trasformato in una condizione normale per misurare un'esposizione che deve
durare per oltre dieci anni.
2. Ancora sulle 100 fibre. Il metodo utilizzato dalla Contarp.
Sulla pretesa scientificità del criterio delle 100 f/litro vi è altro da
dire; in realtà quello che viene indicato come un criterio oggettivo (la
prova di esposizione a determinate concentrazioni di fibre) finisce per
essere  un criterio latamente discrezionale; infatti le 100 f/l (0,1 cm3)
rappresentano il prodotto  di un'operazione moltiplicativa i cui fattori
sono rappresentati dalla durata giornaliera o settimanale dell'esposizione
per la sua intensità; basta variare uno dei fattori perché cambi ovviamente
il prodotto finale.
La formula si presta  a manipolazioni: perché non c'era nessuno a misurare
né tempi né intensità di esposizione, e soprattutto perché la lavorazione
non è un esperimento condotto in vitro, sotto una campana di vetro, in
quanto bisogna tener conto della concreta realtà ambientale.
Se si guarda alla nota tecnica della Contarp, che si pone all'origine della
distinzione effettuata in sede amministrativa fra lavoratori considerati
esposti e non, si prevede il superamento del limite di 100 f/l per il
muratore addetto occasionalmente per 20 giorni all'anno al taglio di
manufatti di amianto; e i colleghi che ci lavoravano attorno? il manovale
che lo coadiuvava, che caricava e trasportava l'amianto?; e se quel
muratore avesse lavorato solo 19 giorni e poi quei manufatti rimanevano
comunque nell'ambiente; e se non si procedeva alla raccolta immediata, alla
pulizia?  che si dice? che non c'è stata esposizione fino a 100 f/l per
tutti gli altri quelli che lavoravano nell'ambiente di lavoro?.
Lo stesso vale per la mansione di chi è stato "addetto 2 ore al giorno per
60 giorni al taglio e allo smontaggio di coibentazioni di amianto". E se
queste operazioni fossero continuative ed effettuate da squadre diverse di
addetti, come si considerano quelli che lavoravano nello stesso ambiente
per 240 giorni all'anno 8 ore al dì e facevano mansioni diverse; questi
lavoratori hanno corso un rischio minore o maggiore dell'operaio che faceva
coibentazioni 2 ore al giorno per 60 giorni oppure il che è lo stesso 15
giorni di attività lavorativa (sempre 120 ore).
Questa formula appare quindi astratta, avulsa  dalle reali condizioni
operative aziendali; e sembra escogitata per dire che il superamento
ambientale del limite non è mai avvenuto se non quando lo ritiene la
Contarp ( per alcune dirette lavorazioni).
Nella pratica delle centinaia di cause che sono state fatte da questo
giudice questi livelli secondo la Contarp non sarebbero stati MAI superati.
Eppure da qui sono passati meccanici, strumentisti, caldaisti,
elettricisti, manutentori, vari addetti che intervenivano in coibentazioni
e lavoravano nello stesso ambiente di lavoro per ben più di 15 o 20 giorni
o 60 all'anno per due ore al giorno; stavano e lavoravano in quel posto
dove venivano effettuate scoibentazioni e manutenzioni di linee e macchine
di vaste proporzioni; eppure questo limite non sarebbe stato mai integrato.
E perché?; perché si fanno i calcoli in vitro in laboratorio, si misurano
ore minuti e secondi in modo astratto ed irreale e li si moltiplicano per
valori che nessuno ha mai accertato; senza tener conto della realtà del
tempo, della pulizia (se venisse o meno effettuata), delle polvere (se
venissero o meno asportate), degli strumenti di protezione ( se venissero o
meno impiegati).
E senza fare mai alcun concreto accertamento. In  pratica questo delle 100
f/l è un criterio che è valso ad attribuire alla pa il massimo possibile
della discrezionalità; non è vero quindi che esso rappresenti un dato di
garanzia, di certezza e di verità; è vero il contrario! Si tratta di una
formula che senza la " benevolenza" della stessa Contarp rende assai
improbabile per il lavoratore poter raggiungere la prova del suo diritto.
Per i lavoratori dei benefici previdenziali non ci sono limiti quantitativi
determinati; perché non ci possono essere: sul piano probatorio sarebbe
stato come non riconoscere alcun diritto (come riconosce la giurisprudenza
della Corte Cost. sull'art.38 della Cost.) ; sul piano sostanziale della
tutela della salute perché il nostro ordinamento non accoglie il concetto
del limite espositivo rigido e predeterminato per tutelare la salute; ogni
sorta di esposizione è considerata nociva per il lavoratore.
Nel d.lgs 277  il limite vale solo per il datore e solo per far scattare
ulteriori obblighi di attivarsi e mettere in atto sistemi di prevenzione
più adeguati aggravati.
Che cosa c'è, che cosa vale per questi lavoratori?
Vale solo un limite di durata (10 anni di esposizione almeno: 240 giorni
lavorativi per 8 ore giornaliere).
Un criterio che è suscettibile di più concreto accertamento. A questo
proposito bisogna chiarire che qui non si intende affatto sostenere che non
ci deve essere l'amianto nell'aria che respiravano i lavoratori; nessuno
dice "basta la presenza di amianto nell'azienda". No; ci vuole la
comprovata  l'esposizione ultradecennale: occorre cioè accertare che le
condizioni ambientali e di lavorazione fossero tali per cui venga in
concreto accertato e stabilito che le fibre si liberassero nell'aria e
fossero soggette ad essere inalate: non si parla di un rischio teorico o
astratto (la mera presenza di materiali contenti amianto); no; si parla di
esposizione, di provata presenza di fibre  disperse soggette ad inalazione
per oltre 10 anni; e solo si dice che è esposizione anche quella che si
consuma a 90, 50, 30,f/l in conformità ad una verità giuridica e
scientifica incontestabile; solo non si afferma, perché è in contrasto con
la verità giuridica e scientifica, che ci vogliono necessariamente le 100
f/l mper essere considerati esposti a rischio morbigeno.
4. Sulla ratio legis: la sentenza 434/2002 della Corte Costituzionale.
Recentemente sull'art.13,8 è tornata a pronunciarsi, per la terza volta, la
Corte Costituzionale con una sentenza (434/2002) che segna un totale
capovolgimento interpretativo, un vero e proprio cambiamento di rotta,
rispetto all'interpretazione dello scopo della norma fin lì adottata da
tutta la giurisprudenza che si era pronunciata sull'argomento; quest'ultima
sentenza sostiene che il fine principale del beneficio è di far ottenere la
pensione per i lavoratori del settore amianto che rischiavano di perdere il
posto con la cessazione dell'uso dell'amianto; quindi il rispetto di questa
ratio impedirebbe di riconoscere il beneficio in tutti i casi in cui questo
presupposto non si verifica; come ad es. per chi è pensionato.
La sentenza non tiene conto però delle modifiche che sono state apportate
con la legge 271/1993 all'interno della stessa disposizione per renderla
applicabile a tutti i lavoratori esposti (come risulta esplicitamente dai
lavori preparatori) e non solo ai lavoratori del c.d. settore amianto; come
si evince espressamente dai lavoratori parlamentari la legge è stata
infatti modificata appositamente proprio per "far sì che per tutti i
lavoratori che siano stati esposti all'amianto per un periodo superiore a
dieci anni l'intero periodo lavorativo soggetto ad assicurazione
obbligatoria sia moltiplicato per il coefficiente di 1,5" (relatore on.
Morgando).
Non solo; la Corte Cost. contraddice anche la Cassazione che richiamandosi
proprio alla giurisprudenza della Corte Costituzionale aveva sostenuto la
natura indennitaria e risarcitoria del beneficio; essa nega soprattutto se
stessa, le due precedenti sentenze rese sull'argomento: la sentenza del
12.1.2000 n.5 in materia di determinatezza della fattispecie; e la sentenza
del 22 aprile 2002, n. 127 in materia di lavoratori addetti alla Ferrovie
dello Stato; e quest'ultima sentenza pur  essendo stata pronunciata solo
pochi mesi prima della sentenza 434/2002 sullo identico aspetto soggettivo
della disposizione.
Anche in questa sentenza viene ribadito che lo scopo del beneficio va
correlato alla possibile incidenza invalidante di lavorazioni che, in
qualche modo, presentano potenzialità morbigene".
Anche in questa seconda sentenza, relativa ai lavoratori delle Ferrovie,
non vi è nessun riferimento all'incentivo all'esodo dei lavoratori del
settore amianto al fine di ricostruire la ratio della disposizione;
Per la Corte Costituzionale dell'aprile 2002, per sapere se i lavoratori
della ferrovie fossero o meno destinatari del beneficio, la ratio della
norma doveva essere individuata esclusivamente nella "nozione di rischio
morbigeno, caratterizzante il sistema della assicurazione obbligatoria
gestita dall'INAIL" ( concetto  che ha come ulteriore portato
costituzionale il criterio di parità di tutela a parità di rischio; v.
Corte Cost.'74/206; Corte Cost.114/1977); mentre nella sentenza
dell'ottobre 2002 sui pensionati il criterio del rischio morbigeno risulta
scomparso; non vi si fa nemmeno un cenno; e la ratio del beneficio diventa
quella dell'agevolazione all'esodo .
Nella medesima sentenza 127/2002 i presupposti per ricomprendere nel
beneficio previdenziale i lavoratori delle Ferrovie dello Stato sono stati
individuati dalla Corte Cost. negli stessi comuni presupposti valevoli per
la generalità dei lavoratori: " attinenti, segnatamente, all'esposizione
ultradecennale all'amianto, alla soggezione all'assicurazione obbligatoria
contro le malattie professionali derivanti dall'esposizione all'amianto e
al rischio morbigeno"; e senza che sia  stato minimamente richiesto che gli
stessi ferrovieri abbiano sofferto crisi occupazionale.
Nella sentenza n.434 del 31 ottobre 2002 sui pensionati la Corte
Costituzionale sostiene poi di non aver mai riconosciuto il carattere
compensativo del beneficio.  Per dimostrare il contrario è sufficiente
richiamare le parole  della stessa Corte Costituzionale dell'11 aprile 2002
n. 127, allorché osservava come esistano "plurimi elementi esegetici, i
quali portano a ritenere che essa sia volta a tutelare, in linea generale,
tutti i lavoratori esposti all'amianto
Ed inoltre che " la legge n. 271 del 1993 ha voluto tener conto della
capacità dell'amianto di produrre danni sull'organismo in relazione al
tempo di esposizione, sì da attribuire il beneficio della maggiorazione
dell'anzianità contributiva in funzione compensativa dell'obiettiva
pericolosità dell'attività lavorativa svolta."
Ciò vale, ovviamente, non tanto per ricostruire una sorta di verità
filologica, quanto per evidenziare come ai lavoratori delle Ferrovie  il
beneficio sia stato riconosciuto in quanto lavoratori assoggettati al
medesimo rischio morbigeno da amianto (e non già perché riconosciuti
lavoratori coinvolti nel processo di dismissione dell'amianto); e per dirla
con le stesse parole della Corte Cost. in considerazione dell' "obiettiva
pericolosità che indubbiamente non manca anche nell'ambito del servizio
ferroviario"; obiettiva pericolosità che invece non è stata minimamente
considerata nella sentenza sui pensionati, nonostante essi fossero già
certificati dall'Inail come esposti al rischio.
Insomma si usano due pesi e due misure. Ai lavoratori in attività si dice
che la legge non mira a tutelare il posto di lavoro ma a concedere un
beneficio che ha di mira il rischio morbigeno ; ai lavoratori pensionati si
dice invece il contrario che la legge non ha funzione compensativa del
rischio bensì a tutelare la perdita del posto e siccome essi non possono
correre questo rischio il beneficio non spetta ai pensionati.
5. L'art.18, 8° comma della legge 31.7.2002 sulle certificazioni Inail.
Entrambe le tesi disattese ( quella sui limiti di esposizione e quella
sulla ratio legis) oltre ad essere contraddette dagli argomenti fin qui
esposti, risultano poi in contrasto eclatante con la legge 31.7.2002 n.179
( art.18,8), che ha riconosciuto validità alle certificazioni
amministrative emesse sulla base dei tavoli tecnici del ministero dove è
stato deciso per molte aziende quando riconoscere come obiettivamente
pericolosa una lavorazione e quindi riconoscere come rilevante
un'esposizione oppure no.
Proprio la legge 179/2002 dimostra, a chi vuole vedere, due cose molte
evidenti ed elementari.
Primo: che alla base di questi benefici non vi sia il fine di agevolare
l'esodo dei lavoratori in difficoltà occupazionale che avrebbero potuto
perdere il posto di lavoro con la cessazione dell'amiantoŠ(come continua a
dire la giurisprudenza dominante, ma solo quando parla dei pensionati).
Secondo: che per riconoscere il beneficio non occorrono le 100 fibre litro
ma basta il rischio morbigeno, l'esposizione all'amianto pericolosa per la
salute.
Infatti, tutti sanno che gli atti di indirizzo ministeriali cui si
riferisce la norma riguardano le più disparate imprese e settori di
attività; nessuno di essi , per quanto se ne sa, attiene al c.d. settore
amianto; ad es. a Ravenna, gli stessi atti di indirizzo hanno riguardato i
lavoratori del polo chimico e gli addetti ai lavori di facchinaggio della
Compagnia Portuale: lavoratori che dopo la legge 257/92 non hanno mai
rischiato il posto di lavoro; che dopo l'abolizione dell'uso dell'amianto
hanno continuato a produrre prodotti chimici ed a scaricare sacchi e merci
presso il porto di Ravenna; essi non avevano bisogno di essere agevolati ad
alcun esodo.
Tutt'altro: la ratio di questa recente norma ( che riconosce per legge la
validità di un'atto amministrativo) è esattamente opposta a quella che si
suppone a fondamento della legge 257; l'art.18,8 della l.31.07.2002 n. 179
è stato infatti emanato per far cessare le opposizioni e le controversie
che le imprese avevano intentato sotto vari aspetti contro questi
provvedimenti ministeriali, impugnandoli davanti al Tar Lazio e al
Consiglio di Stato,   al fine di impedire ai lavoratori di lasciare il
posto di lavoro; alla base di questo provvedimento di legge non vi è dunque
alcuna "difficoltà di mantenere il posto di lavoro o di trovarne altro". Al
contrario, i lavoratori volevano abbandonare il posto, mentre le imprese
volevano tenerli al lavoro e hanno promosso addirittura delle cause per
cercare di trattenerli quanto più a lungo possibile al lavoro.
Proprio per impedire che si realizzasse questo risultato il legislatore è
intervenuto; per affermare che gli stessi lavoratori pur non avendo alcuna
difficoltà occupazionale avevano comunque diritto alla rivalutazione
contributiva per l'amianto; e che le certificazioni loro rilasciate
dall'INAIL avevano validità.
Dunque dopo la legge del 271/1993, ed a maggior ragione dopo la legge
179/2002, affermare che la norma abbia ancora la principale o esclusiva
funzione di permettere ai lavoratori pregiudicati dal processo di
dismissione dell'amianto di ottenere il diritto a pensione,  significa
negare il principio di realtà .
Oggi la stragrande maggioranza dei lavoratori a cui il beneficio è stato
accordato sia in base alla legge 271/1993, sia in base agli atti  di
indirizzo ministeriali (ed alla legge 179/2002) sono lavoratori che non
appartengono al settore amianto (sono lavoratori della chimica, delle
centrali elettriche, delle ferrovie, dei cantieri navali, delle compagnie
portuali, ecc.); per cui continuare ad opporsi alle istanze dei pensionati
sostenendo che il beneficio abbia la esclusiva finalità di alleviare le
ricadute e le difficoltà occupazionali derivanti in quel  settore dalla
cessazione dell'amianto appare non solo sommamente ingiusto, ma soprattutto
privo di qualsivoglia collegamento con la realtà.
In secondo luogo questa legge conferma che per riconoscere il beneficio non
ci vogliono 10 anni di esposizione a più di 100 fibre litro, la
respirabilità (sic), come è stato pure scritto in qualche sentenza,  di più
di 100 fibre litro per 10 anni; che è un concetto assurdo che si pone
contro qualsiasi possibilità umana di resistenza fisica.
Nel corso dell'istruttoria che è stata fatta sul punto in altre cause, i
tecnici che hanno partecipato ai tavoli ministeriali hanno dichiarato che
per riconoscere se in quelle imprese sussistevano le condizioni di
esposizione richiesti dalla legge per accordare il beneficio non è stato
accertato il superamento delle 100 fibre litro per 10 anni, bensì solo se
la lavorazione rappresentasse un rischio alla salute, senza fare
riferimento ad un limite predeterminato.
E' del tutto evidente quindi come questa legge ponga un chiaro problema di
costituzionalità per disparità di trattamento  a chi sostiene che per
l'applicazione dei benefici in sede giudiziaria occorrono le 100 fibre
litro.
Perché i lavoratori non compresi nelle direttive ministeriali devono
provare l'esposizione superiore a 100 fibre litro per vedere garantita
l'applicazione della stessa norma; e gli altri lavoratori (in alcuni casi
colleghi di lavoro dei primi nella stessa azienda) beneficiano invece del
più favorevole criterio dell'obiettiva pericolosità dell'attività svolta
assunto come discriminante in sede ministeriale; come può la stessa norma
consentire una interpretazione così sperequata a seconda della sede in cui
si procede alla sua applicazione?
Per chi invece adotta l'interpretazione, che qui si adotta, secondo la
quale alla base dell'applicazione del beneficio vi è la tutela del rischio
morbigeno senza limiti di soglia, questa legge conferma al massimo livello
(e cioè a livello normativo) che l'art.13,comma 8 è tale da comprendere
qualsiasi l'esposizione purchè superiore al decennio.

6. La nuova normativa di cui all'art.47 d.l.269/2003 (conv.con mod. in  l.
24.11.2003 n.326). Il successivo art. 3, comma 132 l. 24.12.2003 n.350
(finanziaria 2004).
Deve essere a questo punto osservato che la materia dei benefici
previdenziali di cui si tratta è stata di recente modificata dall'art. 47
del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con la legge 24.11.2003
n.326.
a. Per quanto qui interessa, va notato che la nuova disciplina ha operato
anzitutto una riduzione del 50% del beneficio in vigore (art. 47, comma 1).
La norma ha inoltre modificato l'ambito di operatività del beneficio
stabilendo espressamente che a decorrere dal 1° ottobre 2003 esso "si
applica ai soli fini della determinazione  dell'importo delle prestazioni
pensionistiche e non della maturazione del diritto di accesso alle
medesime"; con ciò sancendo, come qui si è sempre sostenuto, che lo stesso
beneficio ha una essenziale finalità di natura compensativa risarcitoria e
non quella di incentivare l'esodo o di rimediare a crisi occupazionali o di
allontanare qualcuno da un pericolo già consumato; tant'è che sulla scorta
di questa previsione viene congelato l'effetto favorevole dei contributi
maturati in virtù dell'esposizione ai fini dell'accesso a pensione; e
diventa necessario per il lavoratore rimanere in servizio, ancora, a
tutt'oggi, fino a quando non maturi autonomamente i prescritti requisiti di
anzianità contributiva (oltre che anagrafica) per accedere al pensionamento
di anzianità o di vecchiaia; ed utilizzare poi i benefici amianto ed ai
soli fini della misura della prestazione. Risulta così evidente che questa
normativa ha il solo scopo di attribuire un beneficio ai lavoratori esposti
all'amianto in ragione del rischio che hanno subito e che la norma mira in
qualche misura a compensare.
Tramonta dunque definitivamente la parabola interpretativa secondo cui il
beneficio in questione avrebbe avuto invece la finalità di "agevolare
all'esodo i lavoratori del dimesso settore amianto" allo scopo di far
raggiungere loro la soglia contributiva necessaria per l'accesso a pensione.
b. In sede di conversione sono stati eliminati gli aspetti maggiormente
discriminatori contenuti nel decreto legge, perché il beneficio torna ad
essere riconoscibile a tutti i lavoratori (ad es. ai marittimi iscritti
all'Ipsema) e non solo ai lavoratori iscritti all'Inail. E' stata tuttavia
mantenuta l'iniqua previsione che fissa il limite di soglia di esposizione
necessaria per aver diritto al beneficio alle 100 fibre litro.
Come si è detto, subordinare l'applicazione di questi benefici alla
dimostrazione, da parte del lavoratore, dell'esistenza di 100 fibre litro
per 8 ore per 10 anni, rimane però una previsione arbitraria e vessatoria
sotto molteplici aspetti: perché quel limite è dettato dal D. Lgs. 277/1991
in funzione preventiva, per fissare un allarme ed impedire il protrarsi
dell'esposizione per più di otto ore (ed è assurdo che venga proiettato in
una dimensione temporale di dieci anni a fini previdenziali);  perché rende
assai improbabile per il lavoratore poter raggiungere la prova del suo
diritto; perché significa soltanto affidare alla Contarp il diritto di
stabilire dove e quando riconoscerlo; perché non esiste limite di
salvaguardia per l'amianto (è una favola, diceva il prof. Maltoni), tanto
più rispetto ad un'esposizione che per essere rilevante ai fini della norma
deve durare più di 10 anni.
Non c'è Consulente Tecnico d'Ufficio che possa oggi accertare il
superamento di quel limite, a più di dieci di cessazione dell'uso
dell'amianto cui hanno fatto seguito bonifiche e dismissioni; il lavoro,
come l'ambiente nel quale viene reso, non è un esperimento che si possa
sempre ricostruire sotto una campana di vetro (bisogna esserci quando si
fanno certe lavorazioni per poter capire). Si tratta quindi di una formula
che è stata escogitata per dire che il limite non è stato mai superatoŠ
senza la " benevolenza" della ContarpŠ, come dimostra l'esperienza (le
cause condotte, le note tecniche emesse dalla Contarp, le testimonianze
rese dai tecnici Contarp che hanno partecipato ai tavoli ministeriali).
c. Sotto altro aspetto la norma vale a confermare che la stessa soglia
delle 100 fibre litro non era prevista all'interno dell'art.13, comma 8
della legge 257/92 come invece ha sempre sostenuto la giurisprudenza della
Corte di Cassazione; non essendovi altrimenti alcuna necessità per doverla
prevedere ora in nuova normativa che fissa la data della propria decorrenza
a partire dall'1.10.2003.
Si tratta pertanto di  questione che si porrà solo in relazione ai casi per
i quali la stessa normativa risulti applicabile ratione temporis; il che
porta a riflettere sul problema  dell'efficacia nel tempo della stessa
normativa.
A tale proposito deve pure  affermarsi che è privo di qualsiasi fondamento
il tentativo di attribuire una qualche efficacia retroattiva all'art. 47 di
cui si discute.
Già la versione originaria della normativa dettata con il decreto legge
disponeva per l'avvenire - e non poteva essere altrimenti, per il rispetto
dovuto ai c.d. diritti quesiti; essa non poteva essere applicata sotto
alcun profilo nei confronti di chi avesse già acquisito il diritto
all'applicazione della normativa precedente (richiesto l'accertamento del
proprio diritto presentando domanda all'Inps ovvero agendo in giudizio
prima dell'entrata in vigore del decreto legge); in tal senso era
sufficiente notare che la retroattività di una norma costituisce deroga al
principio generale opposto (irretroattività della legge), sicchè avrebbe
dovuto essere quantomeno esplicita; mentre nella fattispecie l'art.47 del
decreto legge era semmai espressamente irretroattivo siccome fissava la
data della sua entrata in vigore all'1.10.2003 e riguardava pertanto
soltanto le situazioni giuridiche prodottesi da tale data.
Questa corretta soluzione enucleabile in base ai principi generali risulta
ora esplicitamente convalidata (ed ampliata) dalla legge di conversione dal
momento che il comma 6 bis dell'art.47, introdotto in questa sede, fa salva
l'applicazione delle disposizioni previgenti per tutti coloro che abbiano
già "maturato il diritto al trattamento pensionistico" alla data di entrata
in vigore del decreto legge (del 2.10.1993); questa previsione salva quindi
non solo la situazione di chi avesse fatto domanda di trattamento fino al
30.9.2003 ovvero agito in giudizio entro quella data, ma anche la
situazione soggettiva di tutti coloro che avessero maturato comunque i
requisiti di contribuzione e di età previsti per la prestazione dovuta,
anche se la stessa prestazione non fosse stata richiesta ovvero dovesse
avere una decorrenza successiva.
La norma fa pure salva la normativa previgente per coloro che "fruiscono
dei trattamenti di mobilità" (ossia che, pur non avendo maturato il diritto
al trattamento, si trovino in mobilità); così come per coloro che "abbiano
definito la risoluzione del rapporto di lavoro in relazione alla domanda di
pensionamento" (che dovrebbe voler dire coloro che si siano dimessi o
concordato la risoluzione del rapporto o si trovino in periodo di preavviso
al momento dell'entrata in vigore del decreto, senza aver fatto domanda di
pensione; ergo basta essere in preavviso ed aver risolto il rapporto prima
del 02.10.2003 per aver salvato il diritto alla vecchia più favorevole
disciplina).
Soprattutto appare del tutto ovvio che nei giudizi pendenti non si possa
applicare la normativa sopravvenuta rispetto ad un fatto che si sia
prodotto nel vigore della legge precedente; ed il fatto è qui rappresentato
sia dall'esposizione ultradecennale, sia dalla maturazione dei requisiti
contributivi ed anagrafici per il diritto al trattamento (ovvero dall'aver
agito in giudizio per il riconoscimento dell'esposizione e per l'erogazione
del beneficio, dopo aver fatto domanda di prestazione all'Inps).
L'accertamento giudiziale retroagisce poi sempre quantomeno al momento del
deposito del ricorso (ma qui ancor più indietro fino al momento in cui era
maturato il diritto alla pensione o alla maggiorazione disatteso
dall'Inps); si finirebbe altrimenti per far pagare al lavoratore il ritardo
imputabile all'Inps. 
Risulta comunque evidente che nei giudizi  pendenti  non si possa applicare
una normativa che fa espressamente salva l'applicazione delle previgenti
disposizioni per coloro che abbiano maturato il diritto al trattamento
pensionistico alla data di entrata in vigore del decreto legge (e cioè al 2
ottobre 2003, superandosi così anche la moderata  ma espressa retroattività
fissata col decreto legge all'1 ottobre 2003 ); ciò vale dunque per tutti i
lavoratori che prima dell'entrata in vigore della nuova normativa si
trovassero in possesso dei requisiti contributivi ed anagrafici necessari
per il trattamento richiesto; i quali hanno quindi diritto all'applicazione
della vecchia più favorevole disciplina anche se agiscono in giudizio dopo
il 2.10.2003. E per trattamento pensionistico si deve intendere sia quello
di pensione sia quello di maggiorazione.
Deve essere infine osservato che queste considerazioni risultano
convalidate anche dall'Inps che in data 18.12.2003 ha emanato una circolare
(195/2003) nella quale ha riconosciuto che l'art.13,comma 8 continua ad
applicarsi  a tutti i lavoratori che alla data del 2.10.2003 avevano
perfezionato i requisiti contributivi ed anagrafici per il diritto al
trattamento pensionistico; e che a tale fine non rileva né la data di
presentazione della domanda di pensione, né la decorrenza da attribuire al
trattamento pensionistico.
Infine va sottolineato che la legge 24.12.2003 n.350 (legge finanziaria
2004) è di nuovo intervenuta nella materia e con l'art.3, comma 132 ha
disposto che : "In favore dei lavoratori che abbiano già maturato alla data
del 2.10.2003, il diritto al conseguimento dei benefici previdenziali di
cui all'art. 13,comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, e successive
modificazioni, sono fatte salve le disposizioni previgenti alla medesima
data del 2 ottobre 2003. La disposizione di cui al primo periodo si applica
anche a coloro che hanno avanzato domanda di riconoscimento all'Inail o che
ottengono sentenze favorevoli per cause avviate entro la stessa data.
Restano valide le certificazioni già rilasciate  dall'Inail".
In sostanza la norma ha fatto salvo il diritto di tutti i lavoratori che
prima del 2.10.2003 avessero ottenuto o semplicemente richiesto all'Inail
la certificazione dell'esposizione all'amianto, riconoscendo come
intangibili detti accertamenti, ancorché gli stessi lavoratori non avessero
maturato alla stessa data e nel contempo i requisiti contributivi ed
anagrafici per il diritto al trattamento pensionistico o non avessero
effettuato alcuna domanda all'Inps.
La norma fa quindi salvo il diritto all'applicazione della più favorevole
normativa precedente sulla base della semplice richiesta all'INAIL di
certificazione dell'esposizione; solo se la domanda di certificazione sia
avvenuta in data successiva al 2.10.2003 si applica il nuovo regime
stabilito dall'art.47.
In sostanza la norma abroga, ad un mese di distanza, quanto era stato
ribadito con la legge  24.11.2003 n.326 di conversione dell'art. 47 del
d.l. 30 settembre 2003, n. 269; l'art, 47, comma 2 prevedeva infatti
espressamente che sia la riduzione, sia la limitazione del beneficio, come
stabilite nel primo comma, "si applicano anche ai lavoratori a cui sono
state rilasciate dall'Inail le certificazioni relative all'esposizione
all'amianto sulla base degli atti d'indirizzo emanati nella materia dal
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali antecedentemente alla data
di entrata in vigore della legge".
Si trattava di una grave sperequazione che ledeva espressamente la
situazione soggettiva di quei lavoratori che nel vigore della precedente
legge fossero riusciti ad ottenere (l'agognato) certificato di esposizione
dall'Inail; sperequazione che con l'art.3, comma 132 della legge
finanziaria n.350/2003 è venuta meno.

II. La questione di fatto
a. Per ciò che attiene alla soluzione della questione di fatto relativa
all'esposizione all'amianto dei ricorrenti, bisogna fare riferimento a
tutte le prove testimoniali e documentali legittimamente acquisite  nella
causa (v. pure la documentazione depositata in cancelleria dall'AUSL di
Ravenna a seguito dell'ordine di esibizione in data 24.9.2003).
b. La difesa degli istituti convenuti ha lamentato in più occasioni che il
giudice non abbia anche avvertito la necessità di far luogo allo
svolgimento di una consulenza tecnica per accertare l'esposizione
all'amianto dei ricorrenti; ad avviso di questo giudice però tutti i fatti
necessari per esprimere compiutamente la valutazione sull'esposizione
all'amianto del ricorrente, nei termini corretti richiesti dalla norma,
emergono pacificamente dagli atti del processo.
Inoltre, come si è ripetutamente detto, ad avviso di questo giudice, per il
riconoscimento del beneficio non è necessario accertare se i ricorrenti
siano stati esposti a determinate concentrazioni di fibre di amianto: a che
pro allora la CTU?  Deve essere ribadito ancora una volta che il concetto
di rischio rispetto all'esposizione all'amianto, oltre ad essere oramai di
comune acquisizione sociale ( tutti sanno che l'amianto provoca malattie
terribili ), è soprattutto normativamente determinato ( dal Testo unico
1124/65, dalla legge 277/91, dalla direttiva CEE 477/ 83 ) in termini di
mancanza di limiti di soglia; nessun CTU dinanzi all'accertata esposizione
a fibre di amianto (raschiato, soffiato, tagliato, raccolto, ecc), potrebbe
mai affermare che non ci sia stato rischio per il lavoratore, senza
commettere un grave errore; pertanto l'istanza di CTU sempre effettuata dai
convenuti INAIL ed INPS deve ritenersi meramente dilatoria (oltre che
dispendiosa) per un verso e priva di qualsiasi effettivo valore per altro
verso.
c. Deve essere affermato a questo punto che  i ricorrenti sono stati
esposti all'amianto per oltre dieci anni ed in via continuativa nel corso
dello svolgimento delle mansioni dedotte per come risulta, senza nessuna
contestazione dei convenuti, dalle prove acquisite nella causa e qui di
seguito richiamate.
"La copiosa produzione documentale allegata al ricorso e le disposizioni
testimoniali rese in sede istruttoria hanno ampiamente provato che i
ricorrenti sono stati esposti a polveri e fibre di amianto in ragione della
loro attività lavorativa svolta all'interno degli impianti PVC/S, PVS/M e
CVM. Al riguardo, si richiama inoltre la documentazione depositata in
cancelleria dall'AUSL di Ravenna in base all'ordinanza emessa dal giudice
all'udienza del 24.09.2003 con cui si autorizzava la produzione dei piani
di dismissioni di materiali in amianto presso gli impianti EVC del
petrolchimico di Ravenna.
Rispetto al periodo di esposizione all'amianto accertato in corso di causa,
si ritiene che il momento terminale sia da individuarsi nel marzo 2000
quando venne condotto un censimento amianto - censimento eternit dal quale
risultavano essere presenti all'interno dell'impianto PVC/S  e dei
magazzini siti all'isola 23 circa 9500 m2 di coperture in eternit e 250 m
di linee coibentate in amianto. Risultavano, inoltre, essere presenti 600
mq di pannelli in amianto (cfr. all. 11: censimento amianto 2000).
A tutto il marzo 2000 all'isola 22 risultavano da bonificare le seguenti
linee del piperack generale di impianto coibentate in amianto:
- linea olio grezzo per CTE (360 m);
- linea Stirolo (360 m);
- linea fanghi (420 m);
- linea vapore a 4.5 Ate (350 mt);
- linea H2O per l'integrazione (40 m);
- linea di vapore a 18 Ate (550m) (cfr. all. 12: Nota tecnica elenco linee
in amianto da smantellare o bonificare).
Dovevano essere smantellate le seguenti linee fuori servizio:
- linea condensa;
- linea area servizi;
- linea di vapore a 18 Ate;
- linea H2O per l'integrazione (cfr. all. 12).
Furono, inoltre, previsti ulteriori interventi di segregazione e di
eliminazione dell'amianto su altre linee di piperack generale di impianto
presenti all'interno dell'isola 22 (cfr. all. 12).
Benché ancora nel luglio 2002, in esecuzione del piano amianto 12/02, si
diede luogo, da parte degli addetti alla manutenzione e con l'assistenza
degli operatori d'impianto PVC/S, allo smontaggio ed alla sostituzione
delle seguenti linee e componenti coibentate in amianto:   
… smontaggio aerotermo alla Reazione A- B;
… smontaggio pompa e vecchie linee V 208 alla Reazione A - B;
… montaggio linee V154 alla Reazione A - B;
… smontaggio condotti d'aria alla Reazione A - B;
… smontaggio vecchie linee V10 alla Reazione A - B;
… smantellamento V 210 alla Reazione A - B;
… smontaggio vecchie linee vapore su box ex sala controllo alla Reazione A - B;
… demolizione del condizionatore alla Reazione A - B.
In precedenza, si segnalano soprattutto i risultati delle analisi
effettuate nel novembre 1998 dal Laboratorio B. Buozzi, presso gli impianti
E.V.C., sui campionamenti ambientali che hanno rivelato una concentrazione
di fibre aerodisperse molto alta e nettamente superiore  al valore limite
di 2ff/ll stabilito dal D.M. del 06.09.94 indicativo di una situazione di
inquinamento in atto (cfr. risultati analisi, all. 9):  
- 4 ff/l nel magazzino isola 23;
- 4 ff/l nella zona analizzatori CVM;
- 6 ff/l al piano terra del reparto Essiccamento A / B;
- 4 ff/l al 4° piano del reparto Essiccamento A / B;
- 8 ff/l all'altezza del tetto del silos 1007 / 1015;
- 5 ff/l al piano condizionatore del reparto Reazione A / B.
Oltre alle numerose apparecchiature e tubazioni coibentate in amianto ed
alle coperture in eternit, l'amianto era presente in tutte le guarnizioni
(cfr. all. 16-20), nelle baderne (cfr. all. 21-23); nelle trecce per
premistoppa o di tenuta (cfr. all. 24); nei materiali (per es. fogli di
amianto) per coibentazione che rivestivano molte delle numerose
apparecchiature presenti negli impianti E.V.C. (cfr. all. 25 e all. 26).
Molte delle numerosissime coibentazioni in amianto di tubazioni ed
apparecchiature versavano in cattivo stato di conservazione o non erano
segregate opportunamente. Tale fenomeno generava lo sgretolamento delle
coibentazioni e favoriva la dispersione di fibre e polveri di amianto negli
ambienti di lavoro. Sul punto, cfr. deposizioni testimoniali rese
all'udienza del 24.09.2003.
Come ci è stato confermato da entrambi i testimoni escussi all'udienza del
24.09.2003 gli impianti PVC/S, PVC/M e CVM necessitavano di frequenti
manutenzioni alle strumentazioni, alle tubazioni ed alle apparecchiature
presenti all'interno dei vari reparti.
Nel corso di tali interventi, che venivano svolti con cadenza giornaliera,
si procedeva alla rimozione di guarnizioni in amianto, alla pulizia degli
accoppiamenti glangiati, alla manutenzione di prepolimerizzatori e
condensatori, alla sostituzione di baderne in amianto, alla costruzione di
guarnizioni da fogli di amianto compresso, alla scoibentazione ed alla
coibentazione di numerose apparecchiature e tubazioni.   
A partire dagli anni '70 tutto il personale degli impianti PVC/S, PVC/M,
CVM veniva impiegato, durante le fermate parziali e generali dell'impianto,
mediamente due volte l'anno, in lavori di manutenzione (cfr. all. 30:
accordo tra dirigenza ANIC e Consiglio di Fabbrica ANIC - RA).
… attività di ricerca perdite su tubazioni;
… attività di rimozione e sostituzione guarnizioni;
… attività di saldatura;
… attività di manutenzione alle tenute degli agitatori autoclavi e degli
agitatori reattori;
… attività di sostituzione filtri degasaggio gas cvm.
Tutte le sopradescritte attività, che vedevano coinvolti gli operatori
d'impianto (PVC/S, PVC/M, CVM) durante la fermata, comportavano l'apertura
e il controllo di apparecchiature, serbatoi e linee coibentate in amianto,
il ripristino di guarnizioni in amianto su accoppiamenti flangiati e passi
d'uomo, la pulizia e la sostituzione di filtri. I lavoratori degli impianti
PVC/S, PVC/M. CVM erano tenuti, inoltre, ad offrire supporto agli operatori
del servizio di manutenzione per lo smontaggio e la sostituzione di
valvole, anch'esse dotate di guarnizioni in amianto (cfr. all. 19). In
tutte queste fasi, come per l'impianto in marcia, si dovevano poi
sostituire le guarnizioni, rimuovere le coibentazioni delle linee e
apparecchiature e predisporre i luoghi di lavoro per i lavori di
saldatura.   
Il sistema della polivalenza venne riconosciuto, formalizzato ed esteso con
l'accordo del 24.07.1980, intercorso tra l'ANIC e i sindacati (cfr. all.
31, accordo sulla polivalenza del 24.07.1980). 
Con esso si attribuiscono formalmente all'operatore di impianto, ad
integrazione delle mansioni già svolte, le attività di manutenzione, di
effettuazione di controlli analitici e di sicurezza (cfr. all. 31). Da
questo momento in poi la gran parte degli interventi manutentivi di cui le
varie apparecchiature e le tubazioni necessitavano, vennero effettuati
direttamente dagli operatori e dai capi turno degli impianti PVC/S, PVC/M,
CVM con frequenza giornaliera. Nei capitoli 42-50, a cui si rinvia, del
ricorso sono state ampiamente e dettagliatamente descritte tutte le
attività manutentive svolte dai ricorrenti e confermate dai testimoni
escussi all'udienza del 24.09.2003.
Rispetto alle mansioni svolte dai ricorrenti, si ribadisce che l'Atto di
indirizzo emesso in data 07.03.2001 dal Ministero del Lavoro (cfr. all.
3.5) ha riconosciuto come rilevante ai fini dell'art. 13 co. 8 l. n. 257/92
e successive modificazioni, le mansioni inerenti la manutenzione di
strutture, impianti e macchine svolte da altri lavoratori del petrolchimico
dell'ENICHEM di Ravenna (compresi i lavoratori di società terze interne al
polo petrolchimico, quale la E.V.C.) purchè risulti attestato lo
svolgimento di tali operazioni. L'accordo sulla polivalenza del 1980
attribuisce espressamente ai lavoratori degli impianti PVC/S, PVC/M, CVM lo
svolgimento continuativo e regolare di lavori di manutenzione, in
precedenza svolti come prassi; tale accordo aveva tra i suoi obiettivi,
infatti, l'identificazione di nuove professionalità validamente
utilizzabili sia in manutenzione che in produzione (cfr. all. 31). "   
d. Per quanto attiene al calcolo del periodo di oltre dieci anni rilevante
ai fini della maturazione del diritto al beneficio, rileva, ad avviso di
questo giudice, il rapporto di lavoro; senza che sia possibile alcuna
scomposizione per periodi di ferie, assenze, malattie, come riconosciuto
dalle circolari INAIL - INPS.
Per tutti i motivi fin qui esposti deve essere dunque affermato che tutti i
ricorrenti hanno diritto alla rivalutazione contributiva nella misura di
1,5 per i periodi in cui hanno lavorato alle dipendenze dell'Enichem nei
termini sopra e pertanto per i seguenti periodi lavorativi:
TM: dal 01.08.88 al marzo 2000;
FP: dal 02.11.81 al 30.01.88 e dal 03.02.88 al  marzo 2000; 
RS: dal 23.10.89 al marzo 2000;
DS: dal 12.05.71 al marzo 2000;
CA: dal 17.05.71 al marzo 2000.
L'Inps è quindi tenuto a procedere all'accredito contributivo previsto
dalla legge.
e. Le spese del giudizio seguono la soccombenza nei termini risultanti dal
dispositivo.
P.Q.M.
Visto l'art. 429 c.p.c.  e definitivamente pronunciando sulla domanda ogni
diversa domanda, eccezione od istanza disattesa, così decide:
Dichiara che i ricorrenti hanno diritto alla maggiorazione ex art. 13,
comma 8 l. 257/92 per i periodi di effettiva esposizione all'amianto subiti
nel corso del rapporto.
Dispone che l'INPS provveda all'accredito contributivo.
Condanna l'INPS alla rifusione delle spese processuali liquidate in
complessivi Euro 4000 di cui 2600 per onorari oltre IVA e CPA, con
distrazione per il procuratore.  
Ravenna, 10.12.2003
Il Cancelliere
Il Giudice  del  Lavoro
dott. Roberto RIVERSO

Depositato in Cancelleria il .........