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Risposta a Pietro Ichino
- Subject: Risposta a Pietro Ichino
- From: <infoslai at email.it>
- Date: Fri, 14 Nov 2003 15:14:02 +0100
Al Direttore del Corriere della Sera Sulle pagine del Corriere della Sera di martedì 11 novembre è apparso un "commento" di Pietro Ichino ( vedi allegato ) che, partendo da un libro di Zipponi, dice cosa ne pensa su quello che stiamo facendo noi lavoratori dell'Alfa di Arese. Pensiamo di avere il diritto di entrare in confronto con quanto dice di noi. Con la speranza di esser pubblicati con uguale risalto. Il professor Ichino, dopo aver messo tra parentesi, come se niente fosse successo, il ben chiaro progetto che la Fiat ha messo in atto fin da quando s'era fatta dare in regalo la fabbrica Alfa Romeo di Arese, dice che il motivo attuale della nostra lotta non è la difesa dell'occupazione. Secondo lui l'Alfa di Arese si trova in una zona nella quale ci sono centinaia di aziende che cercano migliaia di operai. Che è esattamente l'argomento che ha contraddistinto il disinteresse politico/sociale istituzionale nei nostri confronti rispetto a quello di cui ha goduto la realtà Fiat di Termini Imerese. Su questo punto ci stupisce che il professore non conosca la situazione industriale ed occupazionale della zona. Pesanti processi di ristrutturazione hanno cancellato numerosissime realtà industriali e ancora oggi ne stanno ponendo in discussione parecchie altre. Noi, pur continuando a opporci al progetto di smantellamento voluto dalla Fiat, non abbiamo mai escluso la strada di trovare posti di lavoro anche non Fiat. Ma i risultati lui non può non conoscerli. Ad esempio : lui è consulente legale della Rotamfer, una ditta che, dopo essersi insediata da anni nell'area di Arese acquistandola a prezzi stracciati, ha finto di assumere 80 operai dell'Alfa e poi li ha sistematicamente licenziati. Per questo la nostra lotta comprende anche il non abbandono individuale dei lavoratori a quelle indecenti regole del mercato del lavoro, da lui chiamate "moderne", e che il ceto politico, che lui rimprovera di non saperle mettere in atto, le ha già codificate con la legge 30. E' proprio l'opposizione alla devastazione messa in atto da queste regole la passione politica che anima le nostre lotte e che lui deride tacciandola di arretratezza e invitando tutti a spazzarla via. Se il professore venisse a fare il presidio con noi davanti alle fabbriche che si sono istallate nell'area di Arese, vedrebbe passare davanti ai suoi occhi tutti i lavoratori delle infinite cooperative di cui esse si stanno servendo. E magari potrebbe chiedere loro le condizioni lavorative che la loro vita sta subendo. Quando ci accusa di lottare per difendere ciò che ormai non esiste più si svela come supporto ideologico della strategia padronal/governativa che chiede a tutti di rassegnarsi a subire le regole del mercato che vogliono imporci e che mirano a difendere i loro profitti e devastare i diritti e la dignità della vita dei lavoratori. Il professore, dall'alto della sua cattedra, deride poi anche l'amministrazione comunale milanese, i giudici del lavoro, e la pastorale del lavoro rimproverandoli di lasciarsi suggestionare dalla "la tensione etica e la genuina passione politica che animano i protagonisti delle lotte operaie". E aggiunge che questa "egemonia culturale e politica dell'ala sinistra sindacale" deve essere invece rimossa : sia dalla destra, movendosi come ha saputo fare la Thatcher (cosa che sa benissimo che sta già facendo), sia dalla sinistra, accettando il "sistema moderno" di schiavizzazione della vita dei lavoratori. Un'ultima considerazione : strano che dopo anni di silenzio sui lavoratori dell'Alfa il professore scenda in campo proprio adesso. Non è che tema che la nostra vicenda si possa risolvere positivamente e che, quindi, possa diventare un esempio per altri lavoratori ? Non saremo alunni che si fanno da lei ammaestrare, professore ! Milani Paolo - Fim Cisl Carta Manfredi - Fiom Cgil Le Rose Domenico - Uilm Uil Canavesi Renzo - Slai Cobas Alfa Romeo - Arese Il segretario Fiom Zipponi e l'assenza, a destra e sinistra, di un'idea moderna del mercato del lavoro Alfa di Arese, il futuro non è difendere l'inesistente Per capire qualche cosa di una almeno delle cause del declino industriale italiano conviene studiarne a fondo un episodio emblematico, quello dello stabilimento Alfa Romeo di Arese, cui sono dedicati due capitoli dell'ultimo libro del nuovo segretario generale della Fiom-Cgil di Milano, Maurizio Zipponi ( Si può! , editore Mursia). Lo stabilimento di Arese da anni brucia miliardi; la Casa madre Fiat, in grave difficoltà su molti fronti, decide di chiuderlo. I mille operai rimasti (erano 15 mila vent'anni fa, ai tempi dell'Iri) si oppongono e difendono l'insediamento industriale con le unghie e coi denti. Qual è la ragione della loro lotta? Non il timore della disoccupazione: Arese è nel cuore di una zona nella quale centinaia di imprese cercano migliaia di operai senza trovarli. Senonché la diaspora verso le altre aziende non è accettabile perché - spiega Zipponi - significherebbe lasciare che a decidere della sorte dell'auto italiana siano i meccanismi ciechi del mercato; ai quali la Fiom contrappone invece un grande progetto centrato sull'idea dell'auto ecologica, possibile a suo dire con una cospicua iniezione di capitale da parte dello Stato (poco importa che l'Unione europea non consenta più operazioni di questo genere, considerandole "aiuti di Stato"). Ma accettare di andarsene non si può, anche perché significherebbe la dispersione di un gruppo di operai unito e solidale; significherebbe accettare che qualcuno andrà a star meglio, qualcuno a star peggio; significherebbe, soprattutto, cercare la soluzione ciascuno per conto proprio. Lo diceva già don Milani: "Sortirne da soli è l'egoismo; sortirne insieme è la politica". A dire il vero, per "sortirne insieme", senza rinunciare alla solidarietà con i più deboli e senza tornare all'esperienza fallimentare delle partecipazioni statali, ci sarebbe anche un altro modo: quello di un sistema capace - come nel nord-Europa - di garantire ai mille di Arese servizi efficienti di informazione e orientamento, di assistenza intensiva, di riqualificazione professionale mirata, che consentirebbero di ricollocarli in poco tempo dal primo all'ultimo, con un rilevante incentivo economico per tutti e un congruo indennizzo ulteriore per coloro che da questo passaggio risultassero penalizzati. Ma da noi questa soluzione viene rifiutata: dunque, tutti in Cassa integrazione per anni, blocchi stradali, ferroviari e persino aeroportuali, liti giudiziarie a non finire. E non si pensi che sulla trincea del rifiuto stia solo la Fiom-Cgil di Zipponi: ci sta anche, in qualche misura, l'amministrazione comunale milanese di centrodestra, che conferisce ai mille operai di Arese l'"Ambrogino d'oro"; ci stanno i giudici del lavoro che ordinano la riapertura di uno stabilimento ormai inesistente; ci sta la Curia arcivescovile ambrosiana, la cui pastorale del lavoro sembra anch'essa dare per scontato che quegli operai possano essere rioccupati soltanto negli stessi capannoni dove hanno lavorato per decenni. Come si spiega questo fenomeno, tutto italiano, di egemonia culturale e politica dell'ala sinistra sindacale, estesa ben al di là dei confini dello stesso movimento sindacale? Le sue cause sono molte: prima fra tutte l'incapacità del nostro ceto politico di rendere credibile nei fatti un'idea più moderna del funzionamento del mercato del lavoro. Ma un'altra causa, non secondaria, va cercata nella tensione etica e nella genuina passione politica che animano i protagonisti delle lotte operaie del tipo di questa e che emergono in modo vivido dal libro di Zipponi, come dalla stessa figura dell'autore. Tensione e passione che, nel vuoto di idee-forza alternative in materia di politica del lavoro, suscitano simpatia e consenso, a sinistra ma talvolta anche in una destra insofferente delle regole europee, nostalgica di un regime in cui le magagne della nostra industria potevano essere nascoste dagli aiuti di Stato. Il fatto è che alla destra italiana manca una Thatcher capace di affrancarla dal populismo e dallo statalismo praticati per decenni dalla Dc con l'appoggio esterno del Pci. E alla sinistra italiana manca un leader capace di coinvolgere gli Zipponi e i tanti altri appassionati dirigenti della Fiom-Cgil nella costruzione di un sistema moderno di welfare e di workfare di tipo nord-europeo, distogliendoli dalle strategie senza futuro nelle quali essi oggi si stanno perdendo. 11.11.03 di PIETRO ICHINO Commenti
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