crocifisso "identità nazionale" ?



Sulla vicenda della decisione di un giudice del Tribunale che imponeva la
rimozione del crocifisso in un'aula scolastica tanto si è scritto e detto,
e molto a sproposito.
Di seguito vi invio un articolo di Michele Di Schiena con alcune
considerazioni molto critiche sulla gestione della vicenda e sull'uso
sfacciatamente strumentale dell'episodio. Lo scrive con una sensibilità
religiosa e con alcuni riferimenti giuridici non di secondo piano.
Chi lo riceve ne faccia la diffusione che crede.
Giancarlo CANUTO - A SINISTRA - Brindisi

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L' "identità" del crocifisso
   Con la gazzarra seguita all'ordinanza del giudice del Tribunale aquilano
il crocifisso ha subito una ennesima crocifissione, una crocifissione
questa volta piazzaiola e mediatica come si conviene ai nostri tempi, ad
opera  di una folla di benpensanti e di perbenisti che, ergendosi a
paladini della croce, ne hanno rivendicato la proprietà e l'uso. Un
tentativo di "appropriazione indebita" per la sua pretesa di trasformare il
simbolo dell'amore universale, come lo ha definito il Papa, in un
distintivo di parte, nella bandiera di una cultura, nell'emblema
identitario di una nazione, in un motivo di separazione e di scontro: una
spregiudicata operazione intesa a servirsi del crocifisso-immagine per
travisare la crocifissione-evento, un evento salvifico offerto a tutti gli
uomini di tutti i tempi, di tutti i continenti e di tutte le culture.
   E così abbiamo assistito ad una sarabanda di scomposte e penose
reazioni: la difesa a spada tratta dell'affissione del crocifisso nelle
scuole e negli uffici pubblici da parte di un integralismo cattolico
intrinsecamente pagano e che si pone, nelle scelte che contano, agli
antipodi dello spirito evangelico; i rigurgiti di un vecchio e rabbioso
laicismo che trova sempre spazio quando la religiosità si separa dalla fede
per degenerare nel fanatismo; una specie di "santa alleanza" fra politici
di opposti schieramenti apparsi talvolta in penosa concorrenza fra loro per
accattivarsi le simpatie di un certo elettorato cattolico; i contorcimenti
di taluni intellettuali e commentatori che, in bilico fra il rispetto
dovuto alla propria coscienza e la preoccupazione di non dispiacere al
paese che conta, hanno scelto di non scegliere e di parlare e scrivere
senza dire nulla.
   Ed ancora: le deplorazioni e gli anatemi che si sono abbattuti su un
provvedimento della magistratura per sua natura provvisorio e quindi
destinato ad essere riesaminato ed eventualmente modificato nelle
competenti sedi giudiziarie; l'inammissibile e certamente illegittima,
perché non autorizzata da alcuna disposizione di legge, obiezione di
coscienza di un ufficiale giudiziario che si è rifiutato di eseguire
l'ordinanza creando un precedente che, se lasciato correre, può aprire la
strada al moltiplicarsi di comportamenti intesi a vanificare l'efficacia
esecutiva dei provvedimenti giudiziari che ne sono muniti; alcuni
discutibili ed eccessive dichiarazioni da parte di soggetti investiti di
responsabilità istituzionali; l'ingiustificato invio di ispettori presso il
tribunale aquilano da parte del Ministro di Grazia e Giustizia; certe
pittoresche proteste e talune strampalate sortite di esponenti
istituzionali con l'annuncio di misure rivolte a diffondere in vari luoghi
l'immagine del crocifisso.
   Per fortuna si sono anche levate alcune voci libere ed avvedute che
all'inizio hanno faticato a trovare spazio ed ascolto ma che ora stanno
incontrando il buon senso della gente comune dimostratasi incline a
cogliere, in questa singolare vicenda, un malinconico segno di quella crisi
morale e civile che da tempo serpeggia nei quartieri alti della nostra
società. Si stanno così facendo strada riflessioni e domande che si muovono
sul piano di una cultura ispirata ai principi dello stato di diritto ed ai
dettami della Costituzione repubblicana e su quello di una sensibilità
religiosa illuminata dal messaggio evangelico. E partiamo da alcune di
queste domande che si pongono sul versante civile. A prescindere dalle
decisioni di competenza giudiziaria e forse demandabili al giudizio della
Corte costituzionale, si può considerare democraticamente corretto, alla
luce dei principi costituzionali e delle modifiche apportate nel 1985 al
concordato lateranense, il sostenere, come ha fatto anche il ministro
Moratti, la legittimità dell'esposizione del crocifisso nelle scuole in
forza di un decreto regio dell'epoca fascista? In tempi minacciati da
xenofobie e guerre di religione, non dovrebbe una classe politica
responsabile richiamare con forza il grande principio proclamato dall'art.
3 della Costituzione che sancisce la pari dignità di tutti i cittadini (e
di tutti gli uomini) e la loro uguaglianza davanti alla legge senza
distinzione di religione e di altre condizioni che sono state storicamente
motivo di discriminazione? E di questo principio di civiltà non dovrebbe
essere rispettosa qualsiasi normativa, compresa quella in materia di
esposizione di simboli religiosi e di celebrazione di riti confessionali in
luoghi gestiti dalle istituzioni democratiche per lo svolgimento di
funzioni o di attività di natura pubblica?
   Su un piano diverso, quello della sensibilità religiosa, gli
interrogativi sono poi ancora più sofferti ed amari. Sono proprio sicuri di
rendere un servizio alla loro fede quei cattolici che vogliono imporre, per
legge o per disposizione amministrativa, l'esposizione nelle scuole e negli
uffici pubblici di quel crocifisso che non pretende certo di affermarsi con
gli strumenti del potere ma si propone ai poveri e agli oppressi come
speranza di riscatto e a tutti come promessa di resurrezione? Non si fanno
costoro sfiorare dall'idea che il crocifisso non ambisce certo ad essere
esibito per simboleggiare identità nazionali o culturali ma attende di
essere invocato ed accolto nei cuori e nelle case degli ultimi, degli
umiliati ed offesi, delle "pecorelle smarrite" e di quanti anche
inconsapevolmente lo cercano per trovare "la via, la verità e la vita"? E
questi crociati dell'ultima ora, questi liberisti che vogliono statalizzare
la religione e nazionalizzare i simboli sacri, questi assertori di
"identità" che confondono Dio con Cesare ed insorgono contro una sentenza
che di sicuro non cambia i destini del mondo, perché non scendono in piazza
e non protestano quando il crocifisso viene ferito e tormentato sul tragico
legno della storia contemporanea con i chiodi delle politiche che affamano
milioni di uomini e delle guerre "infinite" che devastano ed uccidono?
   Brindisi, 3 novembre 2003
Michele DI SCHIENA