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Der Spiegel: Il Padrino - Il dossier Berlusconi
- Subject: Der Spiegel: Il Padrino - Il dossier Berlusconi
- From: "José F. Padova" <jospadov at tin.it>
- Date: Tue, 8 Jul 2003 10:49:51 +0200
Da: "Il Corriere della Sera" L'intervento dell'europarlamentare tedesco Martin Schulz D'accordo con Di Pietro :«Il collega Antonio Di Pietro ha ragione quando parla del pericolo che il virus del conflitto d'interessi arrivi in Europa». Sulla giustizia :«Che cosa pensa di fare per accelerare la procura europea? E sul reciproco riconoscimento dei documenti per le rogatorie? E non accelererebbe le riforme in Italia sulla giustizia con un mandato di cattura europea?». Sull'immunità : « Nonostante tutto mi rallegro di poter discutere con lei. Questo lo dobbiamo all'ex presidente del Parlamento europeo Nicole Fontaine: se lei non fosse riuscito a ritardare tanto il procedimento concernente l'immunitá sua e del suo assistente Dell'Utri, oggi lei non avrebbe più l'immunitá di cui ha tanto bisogno. Anche questa è una veritá che deve essere detta». Su Umberto Bossi .«La benché minima affermazione di quest'uomo è peggiore di tutto ciò che questo Parlamento ha deciso contro l'Austria e l'appartenenza dei liberal-nazionali (di Joerg Haider) al governo di Vienna. Lei, signor presidente del Consiglio non è responsabile per il quoziente d'intelligenza dei suoi ministri, ma per quel che essi dicono sì. Le dichiarazioni di Bossi, suo ministro, che lei non ha nominato in alcun modo, non sono conciliabili con la carta dei diritti dell'Unione Europea». La replica del Presidente di turno della Ue Silvio Berlusconi La frase sul kapò :«Signor Schulz, so che in Italia c'è un produttore che sta facendo un film sui campi di concentramento nazisti. La suggerirò per il ruolo di kapò, lei sarebbe perfetto». La difesa: «Io avevo risposto con ironia, lei invece ha parlato solo con cattiveria. Invito gli amici e i colleghi socialdemocratici ad ampliare le loro frequentazioni al di là dei loro colleghi italiani che si trovano nel Parlamento e la loro cultura al di là dei giornali di estrema sinistra che hanno fornito loro queste convinzioni». Ai deputati socialisti che battevano le mani per protesta: «Se questa è la forma di democrazia che intendete usare per chiudere le parole del presidente del Consiglio europeo vi posso dire che dovreste venire come turisti in Italia, ma che qui sembrate turisti della democrazia». Nella conferenza stampa con Prodi e Cox: «La mia era una battuta, non era e non voleva essere un'offesa. Era soltanto una battuta ironica, forse c'è stata una traduzione non ironica. Ho detto che era perfetto per la parte, l'ho detto sorridendo e alludendo al suo tono di voce imperativo e al suo gesticolare. Volete criminalizzare una battuta? Un attore che incarna una parte in un film può anche pensarla in modo opposto al personaggio che interpreta». Il Padrino - Il dossier Berlusconi Der Spiegel 27/2003 den 30. Juni 2003 - Dossier http://premium-link.net/$62535$2104806234$/0,1518,814_pkt_00085-255056,00.html (Traduzione dal tedesco di José F. Padova) A casa sua sfascia la Giustizia, fa della televisione una sua serva, si fa ritagliare dal Parlamento leggi su misura. Ora il capo del governo italiano Silvio Berlusconi deve rappresentare l'Europa. I suoi colleghi dell'Unione Europea si preoccupano perché la sua presidenza passi senza far danni. L'irritazione giunse da una direzione inaspettata - dal Presidente della Repubblica, Palazzo del Quirinale. Eppure proprio poco prima Carlo Azeglio Ciampi, nonostante forti dubbi circa la sua costituzionalità, aveva firmato e quindi promulgato una legge sull'immunità che a nessun altro scopo serviva se non quello di proteggere il capo del Governo, Silvio Berlusconi, 66 anni, dalla prosecuzione di un processo penale altamente imbarazzante. Adesso lo zar dei media, che governa a Roma, con la medesima spudoratezza - i suoi avvocati difensori penalisti, nella loro funzione di deputati parlamentari del partito di Berlusconi, fanno parte degli estensori della legge controversa - voleva risolvere anche un altro problema scabroso. Infatti Berlusconi manda in onda più reti televisive di quelle che gli sarebbero permesse dalla legge vigente. Entro la fine dell'anno, così prescrivono sentenze della Corte Costituzionale, egli deve vendere uno dei suoi tre canali o limitarlo alle trasmissioni via satellite. Per impedire ciò, i deputati della sua coalizione di maggioranza - fra i quali ancora una volta i suoi avvocati - hanno raffazzonato un progetto di legge che dovrebbe permettergli anche in futuro di trasmettere quanti programmi vuole, in barba alle disposizioni antitrust. Tuttavia questa volta Ciampi si è messo di traverso: la scorsa settimana ha fatto giungere sottomano ai parlamentari un inequivocabile messaggio - questa legge "salva-Berlusconi" non l'avrebbe più firmata. Una di troppo, dopo tante altre. Finalmente e per una volta tanto della sabbia si è infilata fra i troppo lubrificati ingranaggi d'Italia. Fino a quel momento nella Repubblica di Berlusconi c'era stata una sola regola: diventa legge ciò che è utile al piccoletto da metri 1,64 con un ego enorme. Quello che lo disturba deve essere eliminato. Berlusconi era entrato in politica, lo dice egli stesso, per risolvere i suoi problemi penali ed economici. Ed ha fatto tutto ciò in un modo che finora nelle democrazie europee non era neppure immaginabile- l'Italia viene trasformata a seconda delle necessità del suo capo del governo. Della separazione dei poteri, fondamento di una forma dello stato pluralistica e democratica, ben presto non si fa più parola. Berlusconi è il capo dell'esecutivo, del governo; egli comanda anche sul legislativo, dove fa elaborare leggi su misura per lui, e nello stesso tempo è all'opera per smantellare il bastione indipendente costituito dalla magistratura. La funzione critica e di controllo dei mezzi elettronici di comunicazione è come minimo ampiamente scardinata: 90 per cento dei telespettatori guardano programmi che direttamente o indirettamente sottostanno all'influsso di Berlusconi. L'uomo più ricco del Paese (patrimonio stimato fra sei e sette miliardi di euro, reddito tassato nell'anno fiscale 2001 oltre undici milioni di euro) controlla un impero gigantesco con circa 150 imprese, banche e partecipazioni nelle assicurazioni, con un giro d'affari annuo da 4 a 5 miliardi di euro. Gli appartengono, totalmente o in parte, accanto alle emittenti televisive Italia 1, Canale 5 e Rete 4, anche emittenti radio, società di distribuzione o vendita di film, video TV e home-video, produzione e noleggio, una catena di cinema con più di 200 sale, la più grande agenzia pubblicitaria, Publitalia, e la casa editrice prima in Italia per fatturato, Mondatori, che pubblica anche il settimanale di notizie più venduto, "Panorama". Suo fratello è l'editore del quotidiano "Il Giornale" - a motivo delle leggi antitrust. 25'000 persone lavorano direttamente per le sue imprese, oltre alle quali vi sono migliaia di collaboratori indipendenti e di impiegati in imprese nelle quali egli ha un influenza indiretta. Il suo partito Forza Italia, qualcosa come "Vorwärts Italien ", il grido di battaglia per infiammare gli spiriti della squadra nazionale di calcio, è la componente più numerosa in Parlamento. Esso gli ubbidisce alla lettera. Lo ha fondato come fosse una azienda, molti deputati di Forza sono stati scelti fra i suoi consiglieri personali e distribuiti nelle liste elettorali. Appena entrato nella sua funzione pubblica, subito si mise a fare piazza pulita nella televisione di stato RAI. I critici di Berlusconi furono cacciati via, per aver fatto "uso criminale" (Berlusconi) dei loro programmi mediatici. Lo scorso giugno si staccò la spina perfino a Enzo Biagi, 82, che da anni regolarmente, dopo il telegiornale di RAI 1, parlava per cinque minuti alla coscienza di tutta la nazione. Il commentatore aveva le più alte quote di ascolto di tutti i programmi RAI. Nel frattempo la TV di Stato è addomesticata e ancor più intercambiabile con i canali privati di Berlusconi. Nel dicembre scorso contro una simile "mescolanza di interessi di estrema intensità" fra politica e media mise in guardia il "Rapporto sullo stato dei diritti fondamentali nell'Unione Europea", pubblicato dal Parlamento europeo. E il Consiglio europeo constatò in gennaio di quest'anno, dopo che un gruppo di esperti ebbe studiato il caso Italia: "Il conflitto d'interessi fra l'incarico politico del sig. Berlusconi e i suoi interessi privati, economici e mediatici, è una minaccia contro il pluralismo dei mezzi di comunicazione". Da martedì di questa settimana in poi, per metà dell'anno, l'uomo sarà alla testa del Consiglio degli Stati europei e dei capi di governo. L'Europa lo accetta in silenzio, si vergogna e in ogni caso nel chiuso delle stanze della politica disapprova il fatto che secondo i turni il "lider maximo" del Tevere sia in fila per essere il "sig. Europa" durante sei mesi. Chiudere un occhio ma tenerne due aperti - è il motto dei suoi 14 colleghi. Per una volta tanto a Bruxelles lo sgradito, rapido cambio della guardia al vertice dell'Unione Europea riacquista un poco di attrattiva. "E' una fortuna che la presidenza duri così poco", un po' si rallegra Monica Frassoni, copresidente dei verdi nel Parlamento Europeo. Infatti non è soltanto la sovrabbondanza di potere che inquieta i suoi partner nell'Unione, non soltanto il fatto che lui, il Padrino della politica italiana, trasforma la Repubblica romana secondo i suoi interessi - ciò che in Europa rende veramente nervosi gli uomini politici di rilievo è la consapevolezza umiliante di essere rappresentati da qualcuno che molti Europei ritengono semplicemente un furfante. Infatti, sebbene Berlusconi senta talvolta in sé "l'odore della santità", fin dall'inizio della sua rapida carriera è sempre stata in cattiva luce: ora come sempre, l'origine del capitale con cui ha dato l'avvio al suo impero è oscura; l'amicizia, per lui lucrosa, con il presidente del Consiglio Bettino Craxi, in seguito colpito da sentenze passate in giudicato, ebbe fine nella palude dei finanziamenti illegali ai partiti e della corruzione di "Tangentopoli", che portò al crollo del sistema politico; davanti ai tribunali i pentiti hanno riferito di relazioni di Berlusconi e del suo entourage con la Mafia siciliana (cosa però finora non ancora dimostrata con sentenze definitive); falsificazioni dei bilanci hanno accompagnato la sua ascesa economica e politica. L'Italia è oggi una "democrazia senza legalità", deplora Leoluca Orlando, già sindaco di Palermo e noto anche come autore e per la sua coraggiosa lotta contro la Mafia. Con la Presidenza dell'Unione Europea Berlusconi porta "la cultura dell'illegalità in Europa - proprio il contrario di quello di cui la Comunità Europea ha bisogno". Non vi sono dubbi, Berlusconi è stato eletto democraticamente. Degli italiani con diritto di voto il 13 maggio 2001 andò alle urne l' 81,4 %. Il risultato, in base alla legge elettorale escogitata, è stato evidente: i candidati della coalizione guidata da Berlusconi, Casa delle Libertà (Cdl), ottennero 177 seggi su 315 al Senato, 368 su 630 alla Camera. Nella Cdl coabitano Forza Italia, di Berlusconi, Alleanza Nazionale (AN) proveniente dal Movimento Sociale, fascista, la Lega Nord, populista e xenofoba e qualche scaglia partitica organizzata alla democristiana. La coalizione di destra deve in parte la sua riuscita alla cassa elettorale gonfia da scoppiare. La campagna elettorale ha inghiottito 50 milioni di euro. L'alleanza di centro-sinistra Ulivo in questo campo non poté tenere il passo. Anche le armi mediatiche erano impari: le TV di Berlusconi mostrarono il candidato dell'Ulivo, l'ex sindaco di Roma Francesco Rutelli, da gennaio a fine aprile 2001 per 42 minuti in tutto - Berlusconi al contrario per quasi 5 ore. A quello si deve aggiungere il talento di Berlusconi per la messa in scena politica. Giorno dopo giorno ha mandato in scena, come manda tuttora come regista e interprete, il Berlusconi-show: Re Silvio, il buon padre di famiglia, l'imprenditore di successo, il patrocinatore di tutti gli italiani. Nel frattempo spesso e volentieri prende la parola dalla sua sfarzosa stanza di lavoro nella sua villa S. Martino ad Arcore, con rubinetti d'oro e 147 stanze, situata in un gigantesco parco alle porte di Milano. Allora siede con allegria e ottimismo, accanto a vasi cinesi e sotto imponenti quadri ad olio con cornici dorate, davanti ad una pregiata scrivania, su una poltrona come su un trono, e proclama al suo popolo di telespettatori frasi come: "Farò tutto per non deludervi". Il "Cavaliere", come si fa adulare sui media in quanto fregiato dell'Ordine dei Cavalieri del Lavoro, prepara le sue entrate in scena internazionali con acribìa [Zingarelli: accurata e scrupolosa osservanza delle regole metodiche proprie di uno studio, una ricerca e sim .]. In occasione del Vertice G8 a Genova di due anni fa si occupò personalmente che agli alberi di limone, piuttosto spogli, posti all'ingresso del municipio fossero attaccati con fili sottili altri frutti supplementari. Inoltre controllò, pure di persona, le quinte teatrali di stiropor e gesso che il 28 maggio dello scorso anno, a Pratica di Mare durante l'incontro Russia-NATO, simulavano antichità romane. Anche nei contatti con i suoi colleghi stranieri Berlusconi per lo più fa "bella figura". Al presidente degli Stati Uniti George W. Bush è piaciuto al primo contatto, come pure al suo fraterno collega moscovita Vladimir Putin. Racconta barzellette sporche, suona il piano, canta, sia successi americani sia melodie popolari napoletane, prende ciascuno sottobraccio e gli dichiara che lui è "il suo migliore amico". Nasce il 29 settembre 1936 in un quartiere piccolo-borghese di Milano dall'impiegato di banca Luigi Berlusconi e dalla casalinga Rosella. Il papà, classe 1908, gli fa vedere quanto possano fare ottenere zelo e parsimonia, che nel corso della sua vita di lavoro lo portano a diventare il direttore generale della Banca Rasini. Se un dipendente chiedeva una nuova matita, si racconta, papà Berlusconi si sarebbe fatto mostrare il mozzicone di quella vecchia. Il figlio Silvio studia legge, lavora inoltre come rappresentante di aspirapolvere, intrattenitore e cantante sulle navi da crociera e infine in una impresa di costruzioni, nella quale si fa largo fino a esserne il gestore. Nel 1961 diventa indipendente, la sua impresa Edilnord nel 1963 costruisce in un sobborgo di Milano appartamenti per 4'000 persone. Più tardi edifica la città satellite Milano 2, con abitazioni per 10'000. Il finanziamento di questi progetti è avvolto nel mistero. Si dice che il papà, nel frattempo pensionato, lo abbia aiutato nel procurarsi il capitale. Si parlò di finanziatori svizzeri, ma chi siano stati e chi si celasse dietro ad essi fino ad oggi non è stato chiarito. Infine l'ascesa di Silvio come miliardario inizia con la società finanziaria Fininvest - il nocciolo del suo attuale impero. Il 31 marzo 1975 il professor Gianfranco Graziadei, capo di Servizio Italia e un 88enne di origine ceca, Federico Pollack, vicepresidente di una ditta Saf, registrano a Milano la Finanziaria di Investimento Fininvest Srl. Entrambi agiscono su incarico di un certo Giancarlo Foscale. Costui due anni più tardi, a Roma, fonda la Fininvest Roma Srl. Il 7 maggio 1979 entrambe le società si fondono nella Finanziaria d'Investimento Fininvest Srl con sede a Milano. Nel consiglio di amministrazione siedono Silvio Berlusconi, come presidente, suo fratello Paolo e ancora Giancarlo Foscale, suo cugino. Prima e durante la fusione vi furono fra le due società Fininvest avventurosi flussi di denaro: importi di milioni si spostavano qua e là, il capitale sociale venne aumentato e diminuito, crediti e debito contabilizzati - un trasferimento finanziario permanente che agli estranei appariva insensato. Dal giugno 1978 partecipano attivamente all'operazione le società Holding, che sono pure loro costituite in serie e si chiamano Holding Italiana 1, Holding Italiana 2, Holding Italiana 3 e così via. Già nella prima fase ne sorgono 23, alla fine dell'operazione "Holding", nel 1981, ve ne saranno 38. I fondatori, iscritti negli atti costitutivi di queste scatole cinesi, erano piuttosto ignoti negli ambienti economici: gente semplice con piccoli redditi, casalinghe e pensionati. In realtà, come risultò in seguito dalle ricerche fatte dalla Procura, dietro 35 delle 38 società-scatola si nascondevano Silvio Berlusconi e i suoi amici. Come Berlusconi ebbe ad affermare, egli avrebbe proceduto alla costituzione delle holding, in massa e sotto i nomi di terze persone, per aggirare noiose formalità burocratiche e accelerare i tempi. Per questi motivi avrebbe coinvolto suoi conoscenti. Investigatori della polizia e pubblici ministeri misero in dubbio la versione fornita. Secondo gli esperti la giungla di società e lo sconcertante spostamento di importi milionari aveva un solo scopo: occultare la provenienza dei soldi che alla fine erano approdati sui conti Fininvest di Berlusconi. Mediante le Holding Italiana sarebbe stato effettuato il lavaggio del denaro della mafia, questo il sospetto. Per questi motivi nel 1994 fu avviata un'indagine contro Silvio Berlusconi e il suo più stretto collaboratore e amico da lunghi anni, Marcello Dell'Utri. Con un faticoso lavoro di anni gli specialisti della DIA (Direzione Investigativa Antimafia), un'unità speciale della polizia per la lotta alla criminalità organizzata, aprirono un varco nella foresta dei documenti di bonifico e di cassa. La pista condusse ad una lista di 25 pagamenti a favore della Fininvest, rinvenuta presso uno dei consulenti fiscali di Berlusconi. Nelle casse dell'azienda berlusconiana fra il 25 febbraio 1977 e l'agosto 1978 affluirono in totale 16,94 miliardi di lire (a quel tempo equivalenti a circa 45 milioni di DM). E poi, cosa veramente non consueta, una parte consistente del denaro fu versata in contanti. Da allora non cessano le voci secondo le quali il capitale iniziale di Berlusconi sarebbe costituito da denaro sporco. Elementi che hanno rotto con l'ambiente mafioso, i cosiddetti pentiti ( ted.: Reumütig ), hanno riferito, durante interrogatori di polizia o come testimoni in tribunale, che Berlusconi e il suo amico del cuore Dell'Utri avrebbero trattato droga ( sic: ted. dealen, voc. Langenscheidt ) e fatto all'occasione dei buoni affari. Antonino Giuffrè , il luogotenente del "boss dei boss" Bernardo Provenzano, arrestato nell'aprile dello scorso anno, nel gennaio 2003 davanti a un tribunale di Palermo ha affermato che Berlusconi a quel tempo si sarebbe perfino incontrato con Stefano Bontade, allora uno dei capi mafiosi. Il supertestimone ha incolpato soprattutto Dell'Utri, che diresse per anni l'azienda pubblicitaria di Berlusconi e che organizzò per lui nel 1992 la fondazione del partito Forza Italia, e ha localizzato l'amico di Berlusconi come "vicino a Cosa Nostra". Dell'Utri per lunghi anni sarebbe stato una specie di agente di collegamento fra la Mafia e Berlusconi. Quando poi il progetto di partito Forza Italia si mise in moto, il superboss Provenzano avrebbe personalmente detto a lui, Giuffré, che con questa nuova formazione politica si sarebbe stati "in buone mani", che si poteva "fidarsi di loro". Queste affermazioni di testimoni non possono essere verificate, come molte altre precedenti. Stefano Bontade è stato ucciso a colpi d'arma da fuoco il 23 aprile 1981, appena dopo il suo compleanno. Bernardo Provenzano è latitante da quasi 40 anni. E' morto anche un altro interessante membro della Mafia siciliana, l'ex capo clan della Famiglia di Porta Nuova, Vittorio Mangano , che all'inizio degli anni '70 si trasferì con madre, moglie e figli nella villa di Berlusconi ad Arcore, come una specie di "factotum", così dice Berlusconi. Testo originale: Der Pate - Die Akte Berlusconi Der Spiegel 27/2003 den 30. Juni 2003 - Dossier http://premium-link.net/$62535$2104806234$/0,1518,814_pkt_00085-255056,00.html Zu Hause demontiert er die Justiz, macht sich das Fernsehen untertan, lässt sich vom Parlament Gesetze nach Bedarf schneidern. Nun soll Italiens Regierungschef Silvio Berlusconi Europa repräsentieren. Die EU-Kollegen bangen, dass seine Ratspräsidentschaft schadlos vorübergeht. Der Ärger kam aus unerwarteter Richtung - vom Staatspräsidenten aus dem Quirinals-Palast. Gerade eben noch hatte Carlo Azeglio Ciampi trotz heftiger Zweifel an der Verfassungsmäßigkeit ein Immunitätsgesetz unterzeichnet und damit in Kraft treten lassen, das keinem anderen Zweck diente, als Regierungschef Silvio Berlusconi, 66, vor der Fortsetzung eines hochnotpeinlichen Strafverfahrens zu bewahren. Jetzt wollte der in Rom regierende Medienzar mit der gleichen Schamlosigkeit - seine Strafverteidiger gehörten in ihrer Funktion als Parlamentsabgeordnete seiner Fraktion zu den Autoren des umstrittenen Gesetzes - schnell noch ein anderes heikles Problem lösen. Denn Berlusconi sendet mehr Fernsehprogramme, als er nach geltendem Recht darf. Bis zum Jahresende soll er, so schreiben es Auflagen des Verfassungsgerichts vor, einen seiner drei Kanäle verkaufen oder auf die Ausstrahlung via Satellit begrenzen. Um das zu verhindern, haben Abgeordnete seiner Mehrheitskoalition - unter ihnen wiederum seine Rechtsanwälte - den Entwurf eines Gesetzes gebastelt, das ihm erlauben soll, auch künftig unbehindert von Kartellvorschriften so viele Programme auszustrahlen, wie er will. Doch diesmal legte sich Ciampi quer: Den Parlamentariern ließ er vorige Woche unter der Hand eine eindeutige Botschaft zukommen - dieses Rettet-Berlusconi-Gesetz würde er nicht mehr unterzeichnen. Nicht noch eins, nach all den andern. Endlich einmal geriet Sand ins allzu geschmierte politische Getriebe Italiens. Bis dahin hatte es in der Berlusconi-Republik nur eine Regel gegeben: Gesetz wird, was dem 1,64 Meter kleinen Mann mit dem großen Ego nützt. Was stört, muss weg. Berlusconi war in die Politik gegangen, das sagt er selbst, um seine juristischen und wirtschaftlichen Probleme zu lösen. Und er tat es in einer Art, die bislang in europäischen Demokratien nicht vorstellbar war - Italien wird umgebaut nach den Bedürfnissen seines Regierungschefs. Von Gewaltenteilung, Grundlage einer pluralistischen demokratischen Staatsform, kann bald keine Rede mehr sein. Berlusconi ist Chef der Exekutive, der Regierung; er hat ebenso das Kommando über die Legislative, wo er maßgeschneiderte Gesetze verabschieden lässt, und gleichzeitig ist er eifrig dabei, die unabhängige Bastion der Justiz zu schleifen. Die Kritik- und Kontrollfunktion zumindest der elektronischen Medien ist weitgehend ausgehebelt: 90 Prozent der Fernsehzuschauer sehen Programme, die direkt oder indirekt Berlusconis Einfluss unterliegen. Der reichste Mann des Landes (geschätztes Vermögen: zwischen sechs und zehn Milliarden Euro, versteuertes Jahreseinkommen 2001: über elf Millionen Euro) kontrolliert ein gigantisches Imperium mit etwa 150 Firmen, Bank- und Versicherungsbeteiligungen, mit vier bis fünf Milliarden Euro Umsatz im Jahr. Ihm gehören, ganz oder zu Teilen, neben den Fernsehsendern Italia 1, Canale 5 und Rete 4, auch Radiosender, Vertriebsgesellschaften für Filme, Fernsehfilme und Homevideos, Produktions- und Verleihfirmen, eine Kinokette mit mehr als 200 Sälen, die größte Werbeagentur, Publitalia, und das umsatzstärkste Verlagshaus des Landes, Mondadori, das auch das meistverkaufte Nachrichtenmagazin ("Panorama") publiziert. Die Tageszeitung "Il Giornale" leitet - aus kartellrechtlichen Gründen - sein Bruder. 25 000 Menschen arbeiten direkt für seine Firmen, dazu kommen Tausende von freien Mitarbeitern und Beschäftigten von Unternehmen, auf die er mittelbaren Einfluss hat. Seine Partei Forza Italia, etwa "Vorwärts Italien", ein Schlachtruf zum Anfeuern der italienischen Fußballnationalmannschaft, ist die stärkste Kraft im Parlament. Sie gehorcht ihm aufs Wort. Er hat sie gegründet wie eine Firma, viele Forza-Abgeordnete sind von seinen Personalberatern ausgesucht und auf die Wahlkreise verteilt worden. Kaum war er im Amt, räumte er beim Staatsfernsehen RAI auf. Berlusconi-Kritiker wurden verjagt, weil sie "kriminellen Gebrauch" (Berlusconi) von ihren medialen Möglichkeiten gemacht hätten. Selbst Enzo Biagi, 82, der seit Jahren regelmäßig nach den Hauptnachrichten der RAI 1 der ganzen Nation fünf Minuten lang ins Gewissen redete, wurde vorigen Juni abgeschaltet. Dabei hatte der Kommentator mit die höchsten Einschaltquoten aller RAI-Programme. Inzwischen ist das Staatsfernsehen handzahm, weitgehend austauschbar mit Berlusconis Privat-Kanälen. Für eine derart "hochgradige Interessenvermischung" von Politik und Medien, warnte im Dezember letzten Jahres der "Bericht über die Lage der Grundrechte in der Europäischen Union" des EU-Parlaments, "sollte in einer Demokratie kein Platz sein". Und der Europarat konstatierte im Januar dieses Jahres, nachdem eine Expertengruppe den Fall Italien studiert hatte: "Der Interessenkonflikt zwischen dem politischen Amt von Herrn Berlusconi und seinen privaten Wirtschafts- und Medien-Interessen ist eine Bedrohung der Medienpluralität." Von Dienstag dieser Woche an wird der Mann nun für ein halbes Jahr dem Rat der EU-Staats- und Regierungschefs vorstehen. Europa nimmt es schweigend hin, verschämt und allenfalls in politischen Hinterzimmern Kritik daran übend, dass der "Máximo Líder" vom Tiber turnusmäßig an der Reihe ist, für sechs Monate "Mr. Europa" zu sein. Augen zu und durch - heißt die Devise seiner 14 Unionskollegen. Auf einmal gewinnt in Brüssel der ungeliebte rasche Wechsel an der EU-Spitze wieder an Reiz. "Ein Glück, dass die Präsidentschaft so kurz ist", freut sich etwa Monica Frassoni, Co-Vorsitzende der Grünen im Europäischen Parlament. Denn es ist ja nicht nur die Machtfülle, die seinen Unionspartnern unheimlich ist, nicht nur die Tatsache, dass er, der Pate der italienischen Politik, die römische Republik zu eigenem Nutzen umbaut - was Europas Spitzenpolitiker wirklich nervös macht, ist das beschämende Bewusstsein, von jemandem vertreten zu werden, den viele Europäer schlicht für einen Gauner halten. Denn obzwar Berlusconi an sich selbst zuweilen den "Geruch von Heiligkeit" verspürt, stand er seit Beginn seiner steilen Karriere immer wieder im Zwielicht: · Nach wie vor ist die Herkunft des Startkapitals für sein Imperium unklar. · Die für ihn lukrative Freundschaft zu dem später rechtskräftig verurteilten Ministerpräsidenten Bettino Craxi endete im Parteispenden- und Korruptionssumpf von "Tangentopoli", der zum Zusammenbruch des politischen Systems führte. · Vor Gericht berichten Kronzeugen von Beziehungen Berlusconis und seiner Entourage zur sizilianischen Mafia (was allerdings bislang nie rechtskräftig nachgewiesen wurde). · Eine ganze Kette von Strafanzeigen und Prozessen wegen Betrugs, Steuerhinterziehung und Bilanzfälschung haben seinen wirtschaftlichen und politischen Aufstieg begleitet. Italien sei heute eine "Demokratie ohne Legalität", klagt Leoluca Orlando, einst Bürgermeister Palermos und auch als Autor bekannt durch seinen mutigen Kampf gegen die Mafia. Mit der italienischen EU-Präsidentschaft bringe Berlusconi "die Kultur der Illegalität nach Europa - das Gegenteil dessen, was die Gemeinschaft braucht". Kein Zweifel, Berlusconi ist demokratisch gewählt worden. Von 49 256 295 wahlberechtigten Italienern gingen am 13. Mai 2001 immerhin 81,4 Prozent zur Wahl. Das Ergebnis war auf Grund des ausgeklügelten Wahlrechts eindeutig: 177 von 315 Sesseln im Senat, 368 von 630 Sitzen in der Abgeordnetenkammer bekamen die Kandidaten der von Berlusconi geführten Koalition Casa delle libertà (Cdl). Das Haus der Freiheiten bewohnen Berlusconis Forza Italia, die aus dem faschistischen Movimento Sociale hervorgegangene Alleanza Nazionale (AN), die populistisch-fremdenfeindliche Lega Nord und etliche christdemokratisch ausgerichtete Splitterparteien. Erfolg verdankt die Rechtskoalition zum Teil ihrer prall gefüllten Kriegskasse. Der Wahlkampf verschlang 50 Millionen Euro. Das Mitte-links-Bündnis Ulivo konnte da nicht mithalten. Auch die medialen Waffen waren ungleich: Berlusconis TV-Sender zeigten den Ulivo-Kandidaten, Roms Ex-Bürgermeister Francesco Rutelli, von Januar bis Ende April 2001 insgesamt 42 Minuten lang - Berlusconi dagegen fast fünf Stunden. Dazu kam Berlusconis Talent zur politischen Inszenierung. Tag für Tag gab er, gibt er bis heute, als Regisseur und Hauptdarsteller, die Berlusconi-Show: König Silvio, der gute Hausvater, der erfolgreiche Unternehmer, der Anwalt aller Italiener. Besonders aus seinem prunkvollen Arbeitszimmer in seiner Villa San Martino in Arcore, mit goldenen Wasserhähnen und 147 Zimmern, in einem riesigen Park vor den Toren Mailands gelegen, meldet er sich inzwischen oft und gern zu Wort: Da sitzt er dann als Strahlemann, neben chinesischen Vasen und unter wuchtigen goldgerahmten Ölgemälden, an einem edlen Schreibtisch, auf einem Stuhl wie ein Thron und verkündet seinem Fernsehvolk Sätze wie: "Ich werde alles tun, euch nicht zu enttäuschen." Internationale Auftritte bereitet der "Cavaliere", wie er sich als Träger des Verdienstordens "Ritter der Arbeit" in den Medien hofieren lässt, mit Akribie vor. Er sorgte beim G-8-Gipfel in Genua vor zwei Jahren persönlich dafür, dass an die etwas kargen Zitronenbäume am Rathaus-Eingang mit dünnen Fäden zusätzliche Früchte geknüpft wurden. Er kontrollierte ebenfalls persönlich die Kulissenbauten aus Styropor und Gips, die beim Russland-Nato-Treffen am 28. Mai letzten Jahres in Pratica di Mare römische Antike vortäuschten. Auch im persönlichen Kontakt mit seinen Amtskollegen macht Berlusconi meist "bella figura". Dem US-Präsidenten George W. Bush gefiel er auf Anhieb, genauso wie dessen Moskauer Amtsbruder Wladimir Putin. Er reißt Witze, er spielt Klavier, er singt, ob amerikanische Schlager oder neapolitanische Volksweisen, nimmt jeden in den Arm und versichert ihm, er sei "sein bester Freund". Fleißig, tüchtig und einnehmend soll schon der junge Silvio gewesen sein. Am 29. September 1936 wird er in einem kleinbürgerlichen Viertel Mailands als Sohn des Bankangestellten Luigi Berlusconi und der Hausfrau Rosella geboren. Papa, Jahrgang 1908, macht ihm vor, was Strebsamkeit und Sparsamkeit bewirken können: Er bringt es im Laufe seines Arbeitslebens bis zum Generaldirektor der Banca Rasini. Wenn ein Mitarbeiter nach einem neuen Bleistift verlangte, hieß es, Vater Berlusconi habe sich zur Kontrolle den Stummelrest des alten Stiftes vorlegen lassen. Sohn Silvio studiert Jura, arbeitet nebenher als Staubsaugervertreter, singender Conférencier auf Musikdampfern und schließlich in einer Baufirma. Dort boxt er sich bis zum Geschäftsführer hoch. 1961 macht er sich selbständig, seine Firma Edilnord zieht 1963 in einem Mailänder Vorort Apartments für 4000 Bewohner hoch. Später baut er die Trabantenstadt Milano 2, mit Wohnungen für 10 000 Menschen. Die Finanzierung solcher Projekte liegt im Dunkeln. Der inzwischen pensionierte Papa habe ihm bei der Kapitalbeschaffung geholfen, heißt es. Von Schweizer Geldgebern war die Rede, doch wer diese gewesen sind, wer hinter ihnen steckte, ist bis heute ungeklärt. Endgültig beginnt Silvios Aufstieg zum Milliardär mit der Finanzgesellschaft Fininvest - dem Kern seines heutigen Imperiums. Am 31. März 1975 melden Professor Gianfranco Graziadei, Chef von Servizio Italia und ein 88-jähriger gebürtiger Tscheche, Federico Pollack, Vizepräsident einer Firma namens Saf, in Mailand die Finanziaria di Investimento Fininvest Srl an. Beide handeln im Auftrag eines gewissen Giancarlo Foscale. Der lässt drei Jahre später, in Rom, die Fininvest Roma Srl entstehen. Am 7. Mai 1979 verschmelzen beide Unternehmen zur Finanziaria d'Investimento Fininvest Srl mit Sitz in Mailand. Im Verwaltungsrat sitzen Silvio Berlusconi, als Präsident, sein Bruder Paolo und eben Giancarlo Foscale, ihr Vetter. Zwischen den beiden Fininvest-Firmen gab es vor und während der Verschmelzung abenteuerliche Geldflüsse: Millionensummen wanderten hin und her, das Stammkapital wurde herauf- und herabgesetzt, Guthaben und Schulden verbucht - ein für Außenstehende sinnlos scheinender permanenter Finanztransfer. Aktiv daran beteiligt sind, ab Juni 1978, Holding-Gesellschaften, die gleich reihenweise kreiert werden und Holding Italiana 1, Holding Italiana 2, Holding Italiana 3 und so weiter heißen. Gleich im ersten Schwung entstehen 23, am Ende des Holding-Serienbaus, 1981, waren es schließlich 38. Die amtlich eingetragenen Gründer dieser Firmenschachteln waren in Wirtschaftskreisen eher unbekannt: Biedere Leute mit kleinen Einkünften, Hausfrauen und Rentner. Tatsächlich, recherchierte später die Staatsanwaltschaft, steckten hinter 35 der 38 Unternehmensschachteln - Silvio Berlusconi und seine Freunde. Er habe, sagte der, mit der Massengründung der Holdings unter fremden Namen störende bürokratische Formalien umgehen, Fristen abkürzen wollen. Deshalb habe er Bekannte dafür gewonnen. Polizeiermittler und Staatsanwälte bezweifelten die Version. Der Firmendschungel und das verwirrende Verschieben von Millionenbeträgen hatte, so glaubten die Experten, nur einen Zweck: Die Herkunft der Gelder, die am Ende auf Berlusconis Fininvest-Konten landeten, sollte verschleiert werden. Über die Italiana-Holdings werde, so der Verdacht, Geld der Mafia gewaschen. 1994 wurde deswegen ein Untersuchungsverfahren gegen Silvio Berlusconi und seinen wohl engsten Mitarbeiter und langjährigen Freund, Marcello dell'Utri, eingeleitet. In mühevoller, jahrelanger Arbeit durchforsteten Spezialisten der DIA (Direzione Investigativa Antimafia), eine Sondereinheit der Polizei im Kampf gegen die Organisierte Kriminalität, Berge von Überweisungs- und Kassenbelegen. Sie stießen bei einem der Berlusconi-Steuerberater auf eine Liste von 25 Zahlungen zu Gunsten von Fininvest. Danach flossen den Kassen der Berlusconi-Firma zwischen dem 25. Februar 1977 und dem August 1978 insgesamt 16,94 Milliarden Lire (damals etwa 45 Millionen Mark) zu. Und, nicht eben üblich, ein erheblicher Teil des Geldes wurde bar eingezahlt. Seither wollen die Gerüchte nicht verstummen, Berlusconis Startkapital sei schmutziges Geld gewesen. Aussteiger aus dem Milieu, so genannte Pentiti (Reumütige), berichteten bei polizeilichen Vernehmungen oder als Zeugen vor Gericht, Berlusconi und sein Spezi Dell'Utri hätten jahrelang mit den Bossen der sizilianischen Cosa Nostra gedealt und dabei gute Geschäfte gemacht. Antonino Giuffrè, der im April vorigen Jahres verhaftete Stellvertreter des "Bosses aller Bosse", Bernardo Provenzano, behauptete Anfang Januar dieses Jahres vor einem Gericht in Palermo, Berlusconi habe sich in jenen Zeiten sogar mit Stefano Bontade getroffen, damals einer der Spitzen-Mafiosi. Der Top-Zeuge belastete vor allem Dell'Utri, der jahrelang Berlusconis Werbekonzern Publitalia leitete und der für ihn 1992 die Parteigründung von Forza Italia organisierte. Er verortete den Berlusconi-Spezi als "nahe bei der Cosa Nostra". Dell'Utri sei über viele Jahre eine Art Verbindungsmann zwischen der Mafia und Berlusconi gewesen. Als dann später das Parteiprojekt Forza Italia anlief, habe Oberboss Provenzano ihm, Giuffrè, persönlich gesagt, man befinde sich bei dieser politischen Neugründung "in guten Händen", man könne "ihnen trauen". Überprüfen kann man diese Zeugenaussage so wenig wie viele ähnliche zuvor. Stefano Bontade wurde am 23. April 1981, unmittelbar nach seiner Geburtstagsfeier erschossen. Bernardo Provenzano ist seit fast 40 Jahren flüchtig. Verstorben ist auch ein anderes interessantes Mitglied der sizilianischen Mafia, der frühere Clan-Chef der Porta-Nuova-Familie, Vittorio Mangano. Der zog Anfang der siebziger Jahre mit Kindern, Frau und Mutter in Berlusconis Villa in Arcore ein, als eine Art "Hausfaktotum", sagt Berlusconi.
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