Notiziario Caritas Bo - SPECIALE RIFUGIATI
- Subject: Notiziario Caritas Bo - SPECIALE RIFUGIATI
- From: "Caritas Diocesana di Bologna" <cdbosegr at iperbole.bologna.it>
- Date: Mon, 16 Jun 2003 09:26:43 +0200
| NOTIZIARIO 
  TELEMATICO DELLA CARITAS DI BOLOGNA  SPECIALE GIORNATA MONDIALE DEL RIFUGIATO 13 GIUGNO 2003 – n. 49 
 DA DOMENICA 
15 A DOMENICA 22 GIUGNO TUTTE LE INIZIATIVE PROMOSSE DALLA CARITAS DI 
BOLOGNA PER LA III GIORNATA MONDIALE DEL 
RIFUGIATO. 
 DOMENICA 15 - DOMENICA 22 "Iraq 1991-2003": Mostra 
Fotografica realizzata da Luciano Nadalini fotoreporte appena rientarato 
dall'Iraq. Mostra Fotografica (realizzata da Elena Rossini e Valentina 
Pozzi, allestimento di Anna Perani) e di TESTI degli studenti della scuola di 
italiano “Akuna Matata”. c/o Centro Poggeschi in Via 
Guerrazzi, 14 a Bologna. 
 MERCOLEDI’ 18 ore 18: incontro dibattito: "Cosa 
fa la Caritas?" e testimonianze di rifugiati politici.  c/o Centro Poggeschi in Via 
Guerrazzi, 14 a Bologna. 
 VENERDI’ 20 ore 9-13 - GIORNATA 
SEMINARIALE ore 9, interventi di: 
Michele Manca di Nissa (vice 
delegato Acnur), Avv. Nazzarena Zorzella (Ass. per gli studi giuridici 
sull’immigrazione), maresciallo Orlando Amodeo  (testimonianza su un percorso di 
immigrazione da Crotone), testimonianza rifugiato politico. ore 11, tavola rotonda sulla 
realtà cittadina: Raul Collina 
(resp. settore immigrazione del Comune di Bologna), rappresentante della 
Prefettura di Bologna. Modera Avv. Matteo Festi (legale 
di Caritas Bologna) c/o Provincia di Bologna (Sala 
Zodiaco, Via Zamboni, 13) 
 ore 20,30: proiezione del FILM 
“Cose di questo mondo” presso il cinema “Lumiere” in Via Pietralata, 55/a a 
Bologna. L’ingresso 
è di 5 euro. Durante la serata verranno raccolte offerte per le attività della 
Caritas di Bologna a favore dei rifugiati. 
 SABATO 21 ore 15: PARTITA DI CALCIO 
amichevole Rifugiati Caritas vs Ufficio stranieri Questura 
 presso il Campo Bernardi (Via 
degli Orti, 60 - Lunetta Gamberini). Sarà presente Giacomo 
Bulgarelli. ore 20: SPETTACOLO TEATRALE (unica data a Bologna) del Teatro 
Nascosto di Volterra in collaborazione con Medici senza frontiere, Ics e Amnesty 
International. A seguire FESTA e musica. All’interno della giornata di apertura 
della settimana “Festa Zonarè” presso il “Centro Interculturale Massimo 
Zonarelli”  in Via Vezza, 15 a 
Bologna.   DOMENICA 22 - ore 10.15 S. Messa animata dal coro Rifugiati presso la 
Basilica dei Santi Bartolomeo e Gaetano (sotto le 2 torri). -------------------------------------------------------------------------------- TUTTO QUELLO CHE AVEVANO DA CAMMINARE LO HANNO GIA' CAMMINATO LAGGIU'...... (di Francesca Tiberio - responsabile Ufficio Profughi e Rifugiati della Caritas di Bologna) L’Italia è l’unico paese 
europeo a non avere una legge organica sull’asilo politico. L’unico paese europeo a non 
aver pensato di legiferare in merito ad un argomento che comprende la vita, 
l’accoglienza e il modo di vedere chi fugge , chi lascia tutto, chi passa 
all’improvviso dalla propria vita bella o brutta, più o meno modesta, a un film 
che mai avrebbe pensato di vivere. E’ una legge sulla civiltà 
quella che dovremmo pretendere, una legge di civiltà e sviluppo che sarebbe 
nell’interesse stesso dell’Italia avere. Di 34 articoli della legge 
sull’immigrazione solo due riguardano l’asilo politico. Per questo è importante 
ricordare e parlare di asilo politico. Per questo, anche per questo 
il 20 giugno, giornata mondiale dell’asilo politico. E’ molto complicato parlare 
e descrivere ciò che avviene nel nostro ufficio da circa tre anni e mezzo, da 
quando si è aperto uno sportello richiedenti asilo 
politico. E’ impossibile trasmettere 
attraverso parole le sofferenze, le fatiche e le paure di chi entra in questo 
ufficio e al contempo tutte le comprensioni, le emozioni, le intuizioni e le 
infinite occasioni di crescita umana e spirituale che l’incontro con queste 
persone genera in chi accoglie. Mi piace ricordare che tutto 
parte lontano da qui, che tutto inizia con una fuga. Non avere il tempo né lo 
spazio di raccogliere le proprie cose, di salutare o informare i propri cari, di 
decidere dove o quando. Fuggire di notte, di 
nascosto, senza identità, verso l’ignoto, senza sapere, senza immaginare, 
fuggire per salvarsi, perché è ciò che si conosce, il proprio ambiente, che 
minaccia che aggredisce che fa scappare. Ecco il fallimento 
personale, la distruzione di ogni speranza, dei progetti, delle cose che si 
credeva di essere o fare e il fallimento collettivo, soprattutto per il 
rifugiati per motivi politici, rispetto a cause ad alto valore sociale e 
democratico. Si sceglie di fuggire? 
Non sempre, non 
esattamente. Ma la scelta è tra la vita e 
la morte e la vita è futuro anche per chi si lascia, perché chi rimane non saprà 
subito, non capirà subito, ma avrà garantito un futuro solo se chi scappa non 
avrà paura e riuscirà poi a farsi raggiungere. Senza nulla, si lascia 
tutto. Questo passaggio merita 
silenzio e riflessione per comprendere almeno in minuscola parte il senso 
dell’enorme lacerazione che questo comporta. Il viaggio può essere di 
vari tipi con documenti di altri, senza, chiusi in containers o dentro un 
camion, senza sapere dove si arriverà, senza sapere dove si è, senza sapere come 
e se si riuscirà. Il viaggio controllati da 
qualcuno o allo sbando, soli, disorientati. Il viaggio è raccontato a 
volte come un incubo di odori e morte. Poi si arriva, si 
giunge. C’è chi sapeva di arrivare 
in Europa, ma non in quale paese, chi invece non ha idea di nulla, chi non 
conosceva Bologna, chi viene lasciato di notte in stazione o di giorno in 
periferia. Poi incomincia una parte 
incredibile, decifrare dove come e perché, decifrare cosa e chi, capire 
come. L’arrivo è come quando nasce 
un bimbo e determina molto del dopo. Da quel momento il 
richiedente asilo prima e il rifugiato dopo saranno un richiedente asilo o un 
rifugiato, prima erano un  dottore, 
un falegname, un’insegnante, un ingegnere, una segretaria, ora solo un 
richiedente o un rifugiato nel suo rifugio, nella migliore delle ipotesi, quando 
riesce a sentirsi al sicuro quando il  
contesto lo fa sentire protetto come in un rifugio. Così egli sa che ha 
trovato protezione, ma ha la consapevolezza dell'aver perso tutto ciò che aveva 
e tutto ciò che era. Le fasi che la Caritas cerca 
di curare di più sono proprio queste, quelle della nascita del bambino, perché 
crediamo che ogni volta che un bambino nasce sia un miracolo meraviglioso, ogni 
volta che un richiedente asilo arriva nel nostro ufficio , significa che si è 
salvato la vita. Allora tentiamo goffamente 
di accoglierlo con le risorse esistenti, con informazioni e tutto quello che 
crediamo gli darà la possibilità di capire e orientarsi e sapere cosa lo 
aspetta, cosa deve e cosa può fare. Allora tentiamo di 
sorridergli, di fargli fare un esame della realtà molto duro, rispetto alle 
aspettative e  all’idea che spesso 
chi arriva qui ha dell’Europa, ma di farlo garantendogli che non sarà 
solo. Ogni cosa è peggio se la si 
affronta da soli. Ci sono le pratiche 
burocratiche, i documenti da presentare alla Questura per poter essere davvero 
richiedenti asilo, non solo nell’intenzione, c’è il bisogno di riposare di 
mangiare di un luogo dove stare, della lingua da imparare per poter ricominciare 
a comunicare. C’è l’impotenza di non poter 
fare, di essere forzatamente messi a riposo. Non si può lavorare, si toglie 
all’individuo la dignità di chi si guadagna il pane e anche la libertà di poter 
provvedere a sé stessi e ai propri cari. C’è la fatica di chiedere, 
di aspettare aiuti. C’è l’atteggiamento della 
gente. Ci sono coloro che  si è lasciati a casa, lontano, che si 
sentono abbandonati, che non capiscono perché chi è riuscito ad arrivare in 
Europa non ha la possibilità almeno di aiutare chi è rimasto e ha 
bisogno. C’è lo strazio e i sensi di 
colpa di padri e di madri che piangono e si impietriscono al telefono con i loro 
figli lontani, lì in quell’ufficio davanti a noi, testimoni rispettosi ed 
esterefatti davanti a tanto dolore. C’è la volontà di assistere, 
consolare informare e accompagnare in tutte queste fasi i richiedenti 
asilo. Parliamo di dieci mesi 
circa, spesso dodici o quindici, in cui vediamo le persone quotidianamente, in 
cui incontriamo e conosciamo ognuno di loro per come può o vuole essere 
conosciuto. Mesi in cui il tentativo è 
quello di assicurargli un luogo dove vivere, creando reti o contatti con 
parrocchie volontari, associazioni, privati, qualcosa da fare, cercando corsi di 
formazione professionale, di italiano, volontariato, in cui ricordargli chi è e 
chi tornerà ad essere appena i tempi lo permetteranno, attraverso incontri e 
ascolto, in cui garantirgli beni di prima necessità, informazioni sui luoghi e 
sul territorio, piccole risorse per potersi muovere in città con i mezzi 
pubblici, per poter telefonare a casa o cose simili. Spesso dico loro che quello 
che stanno vivendo non è la loro vita, ma solo una parte di essa, una parte in 
cui loro devono solo aspettare e raccogliere le energie per il dopo, per quando 
torneranno ad essere protagonisti attivi del loro futuro e ci si aspetterà che 
siano pronti. Dico lorospesso che ogni 
cosa ha un significato profondo e che ad ognuno di noi è stato dato un carico di 
dolore in base a quanto possiamo sopportare, ma ogni volta che lo dico penso poi 
che è dura dar un significato a certe cose e che nascere in una certa fetta di 
mondo rende sicuramente la propria razione di dolore minore in partenza e spesso 
scopro che sono loro ad insegnare significati e dolore a 
me. Molti di loro si 
integreranno o si sono già integrati perfettamente, lo so e lo vedo, altri, 
soprattutto chi ha subito le torture più pesanti si porteranno dentro dolore , 
odio e vendetta, che li segneranno indelebilmente. Ho conosciuto molte persone 
grazie a questo lavoro e ogni volta mi stupisco perché vorrei che la mia stessa 
fortuna potesse essere condivisa da tutti, perché incontrare certe persone è 
assolutamente unico. Non riesco mai a spiegare 
con le parole ciò che accade dentro all’ufficio, non riesco mai a raccontare gli 
sguardi, i destini ma di ognuno so a memoria i difetti, le debolezze e il numero 
di scarpe! Quando i mesi passano e i 
fallimenti, le stanchezze, le paure e questo stato di abbandono in cui 
nell’attesa della chiamata di Roma essi si sentono e i disagi e i ricordi e 
tutto si acutizza, li vedo deprimersi, contorcersi immobili, gridare silenziosi, 
ribellarsi pacificamente lasciarsi andare e perdersi… Allora penso a quel punto di 
partenza e allora penso alla fuga e a tutta quella moltitudine di persone che in 
questo momento cammina. Cammina e si sposta da un 
luogo all’altro lasciando tutto, di nuovo, per salvarsi. Allora penso che tutto 
quello che avevano da camminare l’hanno già camminato, laggiù da dove vengono, 
laggiù da dove scappano e ora non possono più, l’energia è 
finita. Penso spesso che è lì che 
noi dobbiamo arrivare, a donare loro un po’ di riposo e a ridare la fiducia nel 
cammino. Quest’anno oltre ai percorsi 
personali di circa ottanta persone, quattrocento circa dall’apertura 
dell’ufficio, abbiamo costituito una squadra di calcio e un coro 
religioso. Due cose apparentemente 
molto diverse. Stessa finalità, però, la 
stessa finalità che solo elementi universali quali la musica e  lo sport hanno il potere di alimentare: 
azzerare le differenze, stare insieme, ridere, giocare, 
essere. Mentre mi arrabbatto tra 
consolati, questure, ricerca di un posto letto e altre cose di questo tipo, 
spesso penso al sabato pomeriggio al campo da calcio, quando li vedo correre e 
ridere o alle prove del venerdì, quando cantano e penso che vale e che ed è 
forse il successo più grande del lavoro di quest’anno! Dopo la chiamata della 
Commissione di Roma arriva il verdetto: rifugiato o no. Ecco incomincia una seconda 
parte, ci si deve lentamente e ancora faticosamente come dopo il risveglio da un 
lungo letargo riprendere la propria vita e allora cercare lavoro, casa, fare 
venire i familiari, respirare, essere. Le difficoltà non finiscono, 
ma cerchiamo di accompagnare anche in questa fase le persone con i limiti delle 
poche risorse disponibili. 
 Il rifugiato è una persona 
in pericolo costretta a lasciare il proprio paese, a fuggire in quanto 
perseguitata per la sua razza, la sua religione, per la sua nazionalità o gruppo 
etnico, o per ragioni politiche. La convenzione di Ginevra 
nel 1951 così definiva. Noi pensiamo che un sistema 
di accoglienza giusto ed efficace è quello in cui il rifugiato può trovare asilo 
dalle persecuzioni nel pieno rispetto della sua persona e della sua dignità, 
verso un corretto sviluppo personale e un adeguato inserimento 
sociale. Pensiamo inoltre che la 
diversità sia ricchezza e che l’incontro tra chi ha lasciato il proprio paese e 
chi non lo ha mai fatto, lo scambio tra fissità e dinamicità, tra il niente e il 
tutto, tra pensieri lontani allarghi la mente e i cuori. Che tutto questo non 
sia da demonizzare, che nella terza giornata mondiale dell’asilo politico si 
debba essere contenti ed emozionati pensando a coloro che sono fuggiti cercando 
protezione, che hanno lasciato tutto e oggi sono qui, in una città con scarse 
possibilità di accoglienza per loro, in uno stato senza una legge organica che 
li tuteli, ma ce l’hanno fatta, non una ma cento 
volte. 
 ********************************************************************************************************************************************************* Per informazioni, suggerimenti, critiche... potete rivolgervi all'UFFICIO COMUNICAZIONE della Caritas di Bologna (Davide Bergamini): Via Fossalta, 4 - tel. 051267972 / fax 051238834 / e-mail: cdbosegr at iperbole.bo.it - Per offerte potete utilizzare il conto corrente postale numero 838409 intestato ad Arcidiocesi di Bologna - Caritas diocesana. IL NOTIZIARIO RADIOFONICO DELLA CARITAS DI BOLOGNA VA IN ONDA TUTTI I SABATI SU RADIO TAU ALLE ORE 12: frequenze per Bologna Fm 92.3, 92.59, 106 AVVERTENZA!!! - 
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