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il 15-16 giugno vota si per estendere i tuoi diritti
- Subject: il 15-16 giugno vota si per estendere i tuoi diritti
- From: "associazione culturale punto rosso" <puntorosso at puntorosso.it>
- Date: Fri, 13 Jun 2003 13:51:30 +0200
Domenica e lunedì si votano due referendum importantissimi. Riguardano i diritti di tutti perché indicano una inversione di tendenza contro il neoliberismo. Sui diritti delle persone, in primis dei lavoratori, non si tratta. La dignità e la salute non sono merci di scambio e non devono essere regolate dal mercato, ma dalla politica come bene comune. Per l'estensione dell'Art. 18 a tutti i lavoratori, perché il lavoro, precario e non, non sia il luogo del sopruso VOTA SI al referendum sull'art. 18 Per il diritto alla salute, contro gli elettrodotti della morte VOTA SI al referendum sugli elettrodotti Associazione Culturale Punto Rosso - Forum Mondiale delle Alternative Di seguito trovate due contributi esplicativi Mario Agostinelli Si ai diritti! E' singolare come il dibattito sul referendum per l'estensione del reintegro da licenziamento ingiustificato anche al di sotto dei 15 dipendenti sia stato finora avvolto da una cortina fumogena che ha sviato l'informazione sullo sfondo dei calcoli politici e delle responsabilità individuali, offuscando l'oggetto della discussione, e diffondendo così la sensazione che ci troviamo soltanto di fronte ad una sorta di incidente da rimuovere. Eppure, proveniamo da una straordinaria stagione europea - e non solo - in cui milioni di persone nelle piazze, nelle assemblee, con scioperi e forum partecipatissimi, hanno sollevato speranze di cambiamento riscoprendo la persona, la cultura della pace ed i diritti sociali in contrasto con i dogmi della globalizzazione liberista. Tanto più nel nostro Paese, dove una mobilitazione senza precedenti ha riproposto il lavoro al centro di una idea rinnovata di cittadinanza solidale. Ma l'offensiva durissima contro le conquiste, la rappresentanza e la democrazia dei lavoratori non si è arrestata e ad una azione vastissima, non solo del mondo del lavoro, ma anche di settori che hanno travalicato i confini politici tradizionali, ha fatto riscontro una convergenza tra associazioni padronali e governo disposta ad infrangere lo stesso tessuto costituzionale e diretta contro due cardini quali l'articolo 11 della Carta e l'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Con questo retroterra, quanto più ci avviciniamo al 15 giugno tanto più sarà difficile non andare al cuore dei contenuti e continuare solo a recriminare sulla opportunità più o meno discutibile del referendum. Muoviamoci subito, allora, con la stessa pacata determinazione di Epifani, rivolta sia a dar valore alla partecipazione, mentre Berlusconi ci vorrebbe solo spettatori passivi, sia ad aprire una impegnativa stagione di riforme e di estensione per via legislativa dei diritti dopo l'affermazione del si. In effetti le questioni reali sono tutt'altro che risolte o risolvibili se il referendum non ci fosse e rimanesse in piedi su due piani complementari l'attacco del governo italiano e della destra europea di Aznar-Berlusconi-Blair contro il modello sociale a cui si ispira tutto il giuslavorismo del vecchio continente. Bisogna partire dal fatto che, in contrasto con lo slancio delle manifestazioni di questi ultimi mesi e con l'ispirazione che stava dietro le conquiste dello Statuto, la maggior parte dell'esperienza quotidiana nei luoghi di lavoro - per giovani e ragazze in particolare - è tornata ad essere lontana da una partecipazione dignitosa e creativa alla produzione di valore sociale e che la precarietà che oggi contraddistingue la prestazione lavorativa determina insicurezza ed un'esistenza difficile da programmare. La cittadinanza è in pratica scissa dal lavoro e l'estraneità e l'alienazione rispetto a quest'ultimo sono esse stesse inafferrabili, perché non si può emancipare o liberare qualcosa che oggi c'è e domani chissà. Un'area sempre più vasta, in particolare nel settore delle piccole aziende e delle prestazioni a tempo, ha sempre più coscienza dei propri diritti, ma non è in grado di darsi rappresentanza diretta per conquistarli. E' costretta così a sperare in una attenzione "assistenziale" dall'esterno, magari anche da parte di un sindacato a cui partecipa per simpatia, ma senza potersi autocostituire e farne quindi parte attiva con lotte e scioperi, o utilizzando permessi o assemblee ad essa inapplicabili. Questa vastissima porzione del lavoro ha avuto l'intelligenza di guardare agli strumenti che negli anni del fordismo la classe lavoratrice aveva conquistato: l'articolo 18, l'assemblea nei luoghi di lavoro, la delega sindacale, i permessi retribuiti, il collocamento pubblico: tutti codificati nello Statuto del 1970 e attinenti però ad un modello organizzativo della produzione che si va riducendo e che li riguarda direttamente in parte minima. Come conseguenza, mutua da quegli strumenti e dalla centralità dell'articolo 18 l'idea forte e radicale di estenderli ed adeguarli alla propria realtà e vede nel si al referendum una occasione per aprire un percorso non dissimile da quello lungo e aspro che aveva portato la democrazia oltre i cancelli delle fabbriche trent'anni fa. A questa esigenza, che ha preso vigore anche dalle iniziative forti di una intera stagione, non si può rispondere guardando altrove proprio quando le forze conservatrici, usando i numeri del maggioritario per svuotare ogni dialettica sociale, varano i decreti che cancellano la contrattazione e il controllo del mercato del lavoro in sfregio a milioni di lavoratori in sciopero o inviano un contingente militare in Iraq a fianco degli occupanti, a dispetto di migliaia di bandiere che rimangono appese ai balconi. Si ritiene d'altra parte realistica l'apertura di una stagione di riforme per via legislativa destinate all'allargamento del potere del mondo del lavoro senza contemporaneamente provare a dimostrare a questo Governo, anche attraverso lo strumento democratico di una consultazione del corpo elettorale, che la maggioranza del Paese considera questi i temi prioritari rispetto ad una agenda politica caratterizzata invece dagli affari e dallo scontro con la magistratura? Bisogna capire poi che il movimento di Porto Alegre, di Genova e di Firenze sente vicino il sindacato perché l'impotenza provata di fronte ad un sistema di impresa che oggi nella sua dimensione globale sfugge ai vincoli contrattuali cui precedentemente doveva sottostare nei luoghi tradizionali della produzione, lo porta a puntare su diritti universali anche nei luoghi di lavoro. Il movimento vive quindi come indispensabile il bisogno di riunificare il lavoro tutelato e quello senza leggi e contratti sulla base di diritti che valgano per tutti. Un obiettivo che rimarrebbe però sulla carta, se non si desse anche al lavoro cosiddetto informale la possibilità di autoorganizzarsi e di darsi una sua rappresentanza, senza la quale qualsiasi conquista non è né importabile né esigibile. In fondo, Maroni nel "libro bianco" ed i giuslavoristi europei autori del documento sul lavoro di Blair Aznar e Berlusconi hanno già imboccato una strada alternativa all'estensione dell'articolo 18: cancellare i diritti in essere nel rapporto di lavoro, flessibilizzare al massimo e destrutturare il mercato del lavoro con la sua privatizzazione ed il sostegno di ammortizzatori in caso di licenziamento, così da trasformare il diritto all'occupazione in una perenne attesa di una prestazione a comando. Il passo necessario al corso di questa strategia sta nell'abolire - altro che estendere! - il reintegro al licenziamento ingiustificato. L'ineffabile ministro del welfare, che lo sa bene, al referendum infatti partecipa con un no tondo. In questo contesto le perplessità che hanno indotto alcuni ad indicare l'astensione andrebbero riconsiderate. Infatti solo con la prevalenza del "si" viene dischiusa la possibilità nei sessanta giorni successivi al 15 Giugno di un percorso legislativo in cui politica ed economia si pongano al servizio dei diritti. In questi giorni si legge che le conseguenze del referendum sarebbero vessatorie per i datori di lavoro e che si renderebbe impossibile la sopravvivenza di un intero settore dell'economia, con la conseguente perdita di posti di lavoro. E' facile osservare che la norma attuale è discriminatoria per i lavoratori e che di questo non se ne parla proprio. Giancarlo Paletta, nel dichiarare l'astensione del PCI sullo Statuto, aveva messo in guardia che con la soglia dei 15 dipendenti si sarebbe introdotta una divisione da recuperare prima o dopo nel mondo del lavoro. Ecco quindi l'opportunità perché la sfida di rendere esigibile il reintegro per giusta causa anche sotto la soglia attuale venga modulata nel tempo con una serie di misure che incidano sulla struttura produttiva e sull'organizzazione del lavoro in modo tale che la competizione si trasferisca dai costi alla qualità, alla cooperazione, all'immissione di tecnologia e conoscenza, al credito agevolato per obiettivi: tutti temi decisivi ma mai affrontati perchè nella quotidianità si lascia spazio ad un accanimento vero e proprio sul fattore lavoro. In questo modo l'Italia, anziché entrare nell'"economia della conoscenza", obiettivo di un'Europa sociale, e produrre stabilità attraverso la formazione e la valorizzazione del fattore umano, si fa sostenitrice di un modello di precarizzazione, incrementando la propria presenza nelle piccolissime imprese attraverso una attività produttiva di beni e servizi condizionata da fattori di costo. Con il doppio effetto di portarci in una zona bassa della competizione internazionale e di condizionare lo sviluppo dei diritti. Quando si pensa che tutte le azioni economiche e commerciali di successo per le imprese minori (distretti, consorzi, trasferimento di tecnologia, marchi di qualità) ne aumentano virtualmente la dimensione per dare efficacia a rapporti economico-produttivi di tipo cooperativo, non si capisce perché una azione per i diritti non debba situarsi in una medesima prospettiva accompagnandosi a misure ad hoc di politica economica ed industriale e debba invece sottostare alla peggiore competizione al ribasso. Tra l'altro, pochi considerano la riduzione della platea degli aventi diritto che si è già verificata dall'approvazione dell'articolo 18 ad oggi, riduzione che dal punto di vista politico, in particolare per la sinistra, è un problema di non poco conto. A parte il pubblico impiego, dove l'applicazione vale in qualsiasi unità del territorio nazionale, nel settore privato l'effetto congiunto dell'aumento degli occupati nelle piccole imprese, dell'esplosione del lavoro parasubordinato e dell'estensione abnorme dei contratti atipici, ha comportato dal 1970 ad oggi la sottrazione del 20% della forza lavoro occupata all'obbligo del reintegro, con uno scompenso più sfavorevole per le nuove generazioni. Sono modifiche strutturali della produzione e dell'organizzazione del lavoro ad avere provocato questo sconvolgimento, ma è del tutto comprensibile che la rappresentanza del lavoro chieda ora di correggere questa asimmetria, che va a totale vantaggio delle imprese. Da ultimo occorre pensare anche alle prospettive sindacali di un successo del si. Sul piano dei diritti si potrebbero considerare ad esempio le comunicazioni anche in rete tra lavoratori dispersi nella catena produttiva, le assemblee territoriali, i permessi retribuiti a rotazione, l'accesso allo scambio di informazioni via Internet, locali e bacheche autogestite in mense interaziendali. Metteremmo infatti alla prova anche nell'area del lavoro più esposta le tutele del Titolo III dello Statuto, oggi applicabili solo sopra i 15 dipendenti, che consentirebbero la nascita di un sindacato "dei" e non "per" i lavoratori, come sta a cuore alla CGIL. In fondo, con la discussione sul contenuto di questo referendum stiamo riscoprendo come la soglia dei 15 dipendenti appartenga ad un modello non generalizzabile e sia anacronistica rispetto alle prospettive. C'è chi punta ad abbatterla verso l'alto, ma per estendere a tutti il risarcimento monetario e chi, al contrario, ne vuole eliminare l'incongruenza cogliendo la sfida attualissima del valore del lavoro e dell'irriducibilità della persona. Questo alla fine è il senso della polarizzazione in atto. Si tratta di una dicotomia ancora presente nella prospettiva costituente dell'Europa e ancora non pienamente risolta nemmeno con la Carta dei Diritti Fondamentali. Il Forum Sociale Europeo di Parigi, a Novembre, assumerà il tema della dignità e del diritto universale del lavoro nella piattaforma con cui andrà al confronto con le proposte della Convenzione, che fin qui sembrano appannaggio di riservate decisioni di una ristretta elite guidata da Giscard d'Estaing. Sarebbe imbarazzante trovarci ad un appuntamento di movimento, magari di massa e condiviso come quello del 2002 a Firenze, per avanzare le stesse richieste che si sono eluse quando erano in campo in un appuntamento democratico come quello del 15 Giugno. Domande e risposte sul Referendum contro la Servitù coattiva degli elettrodotti 15 e 16 GIUGNO Cosa è un elettrodotto? E' una linea elettrica per il trasporto a distanza dell'alta tensione. Votando sì al referendum che cosa si ottiene? Viene abrogato un regio decreto del 1933 che stabilisce il diritto di esproprio, senza alcuna autorizzazione, dei terreni per costruire elettrodotti. Si tratta della cosiddetta "servitù di elettrodotto". Cosa è la servitù di elettrodotto? E' l'obbligo che ha ogni proprietario di permettere il passaggio delle condutture elettriche attraverso i suoi terreni. E' una norma coattiva. Cosa significa "norma coattiva"? Una norma "coattiva" consente di imporre una scelta anche contro la volontà di chi la subisce. In questo caso l'elettrodotto può essere imposto anche contro la volontà del proprietario del terreno e contro la volontà e la programmazione urbanistica degli enti locali. Gli elettrodotti sono pericolosi? Producono "elettrosmog" e quindi costituiscono un rischio per la salute. Cosa è l'elettrosmog? L'inquinamento elettromagnetico è un inquinamento invisibile e inodore, prodotto dalla corrente elettrica (centrali elettriche, elettrodotti, elettrodomestici) e dagli apparati radiotrasmittenti (ripetitori radiotelevisivi, di telefonia mobile, cellulari, radioamatori, radar, ecc). L'Organizzazione Mondiale della Sanità e lo Statuto della Comunità europea invitano ad applicare il principio di precauzione, che afferma che "occorre usare con prudenza e cautela tutte quelle tecnologie che non risultano essere sicuramente innocue, superando il criterio corrente per il quale va ammesso l'utilizzo di processi e prodotti finché non sia dimostrata la loro nocività." Il problema nasce per i cosiddetti "effetti a lungo termine", derivanti da esposizioni prolungate anche a dosi di centinaia di volte inferiori a quelle stabilite per proteggersi dagli effetti immediati (per esempio un'abitazione situata vicino ad un elettrodotto o un impianto di radiotrasmissione). Che effetti può avere l'elettrosmog sulla salute? Può provocare un aumento dell'incidenza di alcune gravi patologie, tra la quali la leucemia infantile. Inoltre può diminuire la resistenza delle difese immunitarie. Gli effetti sulla salute possono essere rilevati solo da indagini epidemiologiche sulle popolazioni esposte per anni. Sono più pericolosi i telefonini o i tralicci dell'alta tensione? Sembra che per le basse frequenze (gli elettrodotti) il rischio sia più elevato rispetto alle alte frequenze dei cellulari e alle tecnologie connesse (ripetitori, trasmettitori, ecc.). Il referendum è in relazione con il "principio di precauzione"? Sì. Con il referendum, si vuole affermare il principio di precauzione che dice: occorre usare con prudenza e cautela tutte quelle tecnologie che non risultano essere sicuramente innocue, superando il criterio corrente per il quale va ammesso l'utilizzo di processi e prodotti finché non sia dimostrata la loro nocività. I promotori del referendum affermano: "Non vogliamo che, nel caso dell'elettrosmog, avvenga come con l'amianto: i primi studi sulla sua nocività risalgono agli anni 30, mentre gli interventi legislativi di tutela arrivarono dopo 40 anni e tantissime vittime". Perché esiste la norma di imposizione coattiva dell'elettrodotto? Perché nel secolo scorso occorreva elettrificare l'Italia. Gli articoli di legge che si vogliono abrogare sono nati quando la gestione dell'energia elettrica era di competenza statale e bisognava portare l'elettricità a tutti, permettendo il passaggio di un elettrodotto attraverso le proprietà pubbliche e private, indipendentemente dalla volontà dei proprietari o degli amministratori: quando sono state emanate, s'ignoravano i gravi effetti sulla salute e sugli equilibri naturali dei territori attraversati. Oggi dopo una fase di massiccia elettrificazione - i nuovi elettrodotti devono rispettare la salute e la volontà dei cittadini. Perché i promotori del referendum ritengono oggi dannosa la "servitù di elettrodotto"? Perché la vecchia norma oggi appare uno strumento che favorisce i giochi della deregolamentazione e della privatizzazione del settore energetico. Essa garantisce cioè gli allacci alle centinaia di centrali private che, attraverso la liberalizzazione, possono essere imposte contro la volontà delle comunità locali e consentire la devastazione del territorio della cosiddetta "alta velocità" ferroviaria (la TAV). Che rapporto c'è fra il referendum e la privatizzazione dell'energia? Secondo Roberto Musacchio (PRC) oggi la normativa di cui si propone l'abrogazione serve di fatto a "garantire gli allacci alle centinaia di centrali private (oltre 600 richieste!) che con la liberalizzazione vogliono essere imposte al nostro territorio da parte di multinazionali grandi e piccole". Qual è la posizione dei DS su questo referendum? Sul sito Internet dei DS si legge: "Il quesito referendario propone l'abrogazione della servitù coattiva di elettrodotto stabilita dall'art. 119 del testo unico sulle acque e gli impianti elettrici (regio decreto del 1933). Questa norma prevede che "ogni proprietario è tenuto a dar passaggio per i suoi fondi alle condutture elettriche aeree e sotterranee che esegua che ne abbia ottenuto permanentemente o temporaneamente l'autorizzazione dall'autorità competente". La vittoria del SI abrogherebbe anche l'art. 1056 del codice civile, che ha un analogo contenuto. La Corte Costituzionale, nel dichiarare ammissibile la richiesta di referendum, ha precisato che il quesito riguarda soltanto la servitù coattiva e non si estende alla procedura espropriativa per pubblica utilità dei fondi interessati dal passaggio delle condutture elettriche. In altre parole, la vittoria del SI non impedirebbe la costruzione di nuovi elettrodotti, ma si limiterebbe a rendere obbligatorio il ricorso alle procedure di esproprio, con un indennizzo più elevato per i proprietari dei terreni. Tecnicamente è dunque improprio definire questo referendum come un "referendum sull'elettrosmog". Il quesito, come abbiamo visto, riguarda solo alcune procedure relative alla costruzione di nuovi elettrodotti. Non riguarda né gli elettrodotti esistenti (anzi, uno degli effetti indesiderati potrebbe essere quello di rendere più onerosi e quindi più difficili gli interventi di risanamento) né tutte le altre categorie di impianti che generano campi elettromagnetici, quali ad esempio le antenne per la telefonia mobile ed i ripetitori radiotelevisivi. Il referendum non incide sulla legislazione vigente in materia di inquinamento elettromagnetico, né per quanto riguarda la tutela dell'ambiente nè per quanto concerne la tutela della salute. La vittoria del SI non modificherebbe dunque neanche i provvedimenti del governo Berlusconi, che hanno portato ad una negativa e preoccupante inversione di rotta nella legislazione italiana. Resterebbero infatti in vigore i decreti con i quali il governo ha recentemente stabilito limiti talmente blandi, per quanto riguarda i campi magnetici generati dagli elettrodotti, da vanificare quel principio di precauzione che era base della legge quadro approvata nel 2001 dal centrosinistra: i valori di attenzione fissati dal centrodestra sono infatti 20 volte più alti di quelli previsti dal governo dell'Ulivo e segnalati dagli studi epidemiologici come valori di cautela. Così come resterebbe purtroppo in vigore anche il decreto Gasparri in materia di autorizzazioni per gli impianti di telefonia mobile (…) Per queste ragioni ritenendo fuorviante, parziale e sostanzialmente inefficace il quesito referendario non abbiamo aderito al comitato promotore del referendum (al quale non hanno aderito neanche le principali associazioni ambientaliste, né CONACEM, il più rappresentativo tra i coordinamenti dei comitati contro l'elettrosmog) (…) La vittoria del SI, come abbiamo visto, non risolve i problemi dell'inquinamento elettromagnetico: questo va detto, con sincerità ed onestà". Qual è la posizione di Beppe Grillo su questo referendum? Ha detto: "Abrogare questa legge è doveroso, perché se l'azienda è una spa e non una società pubblica e giusto che debba patteggiarsi i luoghi dove far passare i cavi elettrici. Ma quello che è importante è capire come dovrà essere intesa l'energia. L'energia è la nostra politica sanitaria, industriale. E' la politica vera. Energia e informazione sono i due "cavi" che chi li detiene ha le briglie per condurre l'umanità. Come vedi le più grandi società di energia sono i più grandi network di comunicazione. L'Enel va per la sua strada perché ha un uomo che punta sul futuro, questo Scaroni. Credo che alcuni anni fa abbia patteggiato un anno e 4 mesi per appalti finti. Adesso è amministratore delegato dell'Enel. Un uomo di larghe vedute, che punta sul futuro: infatti con i soldi degli azionisti ha comprato una miniera di carbone in Bulgaria. Lui il futuro lo vede nel carbone perché è più democratico, inquina meno... Ho già iscritto mio figlio a un corso di spazzacamino, poi ho ripreso in mano il piccone. Non si sa mai, magari si apre la possibilità di qualche posto di lavoro in miniera. Se le persone addette al nostro futuro sono queste…" (da un'intervista rilasciata a Liberazione nel mese di maggio 2003). Qual è in conclusione lo scopo del referendum? I VAS (Verdi Ambiente e Società) affermano: "Oggi le società private che producono e trasportano l'energia, utilizzano questa normativa per prevaricare i diritti dei cittadini e scavalcare le Amministrazioni comunali, progettando centrali ed elettrodotti che privilegiano gli interessi delle aziende, tenendo conto solo dei costi per la loro realizzazione e dei progetti di sviluppo delle società elettriche, a discapito della salute dei residenti, del rispetto del territorio e delle economie preesistenti". I VAS così sintetizzano lo scopo del Referendum: "Dire sì a questo Referendum vuol dire: SANCIRE il diritto dei cittadini di dire no al passaggio di un elettrodotto che potrebbe danneggiare la loro salute e l'ambiente in cui vivono, restituendo il territorio ai cittadini e agli Enti locali che lo amministrano FERMARE un modello di sviluppo che, grazie alla bassa incidenza del costo d'utilizzo del terreno, è basato su pochi e potenti centri di produzione dell'energia, che viene trasportata e distribuita attraverso una rete d'elettrodotti sovradimensionata rispetto alle effettive esigenze del Paese FAVORIRE l'innovazione e lo sviluppo delle tecnologie legate alle fonti rinnovabili, con un riequilibrio del mercato". Dove si possono trovare informazioni su questo referendum? Le informazioni sono disponibili su questi siti (da cui sono state tratte molte delle informazioni qui riportate): http://www.elettroreferendum.it http://www.rifondazione.it/vol/2003html/030227elettrodotti.html http://www.rifondazione.it/castelli/documenti_fed/altro_referendum.htm http://www.vasonline.it/news/2003/05_elettrosmog_ref.htm http://www.lacaverna.it/documentazione/articoli/referendum/articolo6.htm ------------------------------------------------------------------- ASSOCIAZIONE CULTURALE PUNTO ROSSO puntorosso at puntorosso.it FORUM MONDIALE DELLE ALTERNATIVE fma at puntorosso.it LIBERA UNIVERSITA' POPOLARE lup at puntorosso.it EDIZIONI PUNTO ROSSO edizioni at puntorosso.it VIA MORIGI 8 - 20123 MILANO - ITALIA TEL. 02-874324 e 02-875045 (anche fax) www.puntorosso.it
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