David Makara è libero ed i suoi aguzzini sono dentro



David Makara è libero e, mio tramite, ringrazia tutti i lettori italiani che
hanno seguito la sua vicenda. La cosa incredibile è che i suoi aguzzini sono
già dentro e già condannati: trattasi di quattro poliziotti con il suo capo.
Hanno usato le stesse manette.

Secondo International Justice and Mission la cosa non è mai accaduta prima
in Kenya e da speranza a molti continuando qualla ventata di novità che
Kibaki ha portato nel paese liberando, tra l'altro, 250 detenuti dal braccio
della morte.

Mi è sembrato utile dare questa buona nuova in un periodo ove non
abbandonano a livello internazionale.

Naturalmente ognuno può far l'uso che vuole dell'articolo in allegato.

A presto

Fabio

Per ulteriori informazioni riguardo Makara vedere anche:

http://web.vita.it/articolo/index.php3?NEWSID=28057


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Ti immagini? Sono libero!

Apparentemente la frase non ha senso, è lì, tra astrazione e realtà. Ma David Makara, colpito a fuoco il 15 Dicembre 2003, amputato al braccio destro, operato all’addome, incatenato al suo letto per 100 giorni, dopo mesi di agonia in prigioni a dir poco ripugnanti e sovraffollate oggi è libero. E, questa frase, la ripete in continuazione. Gli hanno sparato addosso, durante il governo Moi, alcuni poliziotti ubriachi. Verso sera, dopo una giornata passata a taglieggiare i poveracci che affollano la città di Nyahururu, sita all’equatore, in Kenya. Pensavano di averlo finito con tre colpi. Invece David se l’è cavata, seppur malconcio e sanguinante iniziando, cento giorni fa, il calvario che lo ha portato all’odierna resurrezione. E’ accaduto oggi 4 aprile 2003 alle ore 16.00 presso il primo Tribunale di Nyahururu. In aula sono presenti tutti i vincitori della lunga ed estenuante battaglia nonviolenta: gli americani di International Justice and Mission, il direttivo di Saint Martin, organizzazione per la quale David prestava volontariato, i nove giovani che si sono fatti arrestare durante un atto di disobbedienza civile in solidarietà a Makara, la società civile partendo dai suoi parenti e dai suoi amici. Fuori dall’aula, come per i precedenti appuntamenti con la “giustizia”, metà città. Aula strapiena, fatiscente, aria viziata, controsoffitto decadente, quattro lampadari impolverati, una scrivania con un panno viola per il giudice, due file di sedie sgangherate per l’accusa, la difesa e la stampa. Panche per la gente. Un muretto separa gli imputati dal resto della gente. Silenzio di tomba o l’omino incravattato caccia dall’aula chi fiata. Il verdetto doveva essere alle 9 del mattino ed è scivolato al tardo pomeriggio. David entra dal lato prigioni, dopo una giornata di attesa, assieme ad altri due, arrestati assieme a lui. E’ più magro e più stanco di sempre. Abitare in una cella con 64 altri prigionieri non è il massimo. Sussurra qualcosa al direttore di Saint Martin e poi alla sua difesa, si guarda attorno, cerca solidarietà. Sembra dire: avete fatto qualcosa? Vi sono buone nuove? Non guarda il giudice; da lui sembra non aspettarsi poi molto. Nessuno gli rivolge la parola perché l’omino incravattato, se gli gira, potrebbe rinviare il giudizio di una quindicina di giorni. Ha il potere, lui. Il giudice interroga il pubblico ministero che ritira tutti gli addebiti di furto con violenza smontando conseguentemente cento giorni di bugie. Lui che ha il potere, non gli resta altra via che pronunciare le parole di libertà; seppur malvolentieri. David salta il recinto degli imputati, si fa largo tra la folla e sfreccia all’aria aperta. Lo vediamo correre all’impazzata tra i molti che lo salutano senza fermarlo. E’ il trambusto ed il tutto è accaduto in un battibaleno. Tutti abbandonano l’aula. E’ gioia e libertà. Anche se non sembrerebbe dato che in molti piangono; americani compresi. E’ una delle prime volte che la gente assapora la giustizia qui in Kenya. Anche un disgraziato come Makara, ex ragazzo di strada, mariuolo che ha vissuto certamente di espedienti, ha la possibilità di conoscere una cosa semplicissima quanto la giustizia. L’oppresso ha avuto ragione sull’oppressore. La forza della legge sulla legge della forza che ha tenuto a bacchetta per generazioni questo paese. Vi sono mamme, zie, amici che urlano di gioia. Alcuni danzano. E’ vietato all’interno del cortile del Tribunale ma chi se ne frega: Makara è libero. I giornalisti accorrono in ritardo e chiedono come questo possa essere accaduto. Si è talmente abituati che i poveri Cristi finiscano dentro mentre i corruttori se ne stanno a spasso che si è meravigliati della notizia. Ore 16.40 Makara entra in Saint Martin; è l’abbraccio. Ognuno se lo stringe a se e lui ripete costantemente: ti immagini? Sono libero! E’, finalmente, a casa. Non cessa di sorridere. Non gli interessa il braccio amputato o i mesi persi in prigione; ora ha una vita davanti. Gli amici americani si siedono e si rilassano. Hanno lavorato per tre mesi senza sosta facendo pressing presso le autorità politiche e giudiziarie locali, regionali e nazionali assieme al team di azione nonviolenta e diritti umani di Saint Martin. Quest’ultimo non ha lasciato correre giorno senza andare a trovare Makara; se lo si perde di vista è spacciato. Ad ogni appello si perdevano le speranze; l’accusa inventava sempre nuove fandonie pur di condannarlo a morte. La polizia ha tentato di farlo addirittura evadere per poi incolparlo di fuga e quindi condannarlo per direttissima. A tanta arroganza si è risposto documentando ogni respiro con la forza della nonviolenza e della competenza e si è intervistata metà Nyahururu, accumulando prove su prove di innocenza. Per mesi si sono raccolte e-mail, fax, lettere e scritti di solidarietà dall’estero, e soprattutto dall’Italia, per avere Makara libero; tutti finiti in allegato al faldone della difesa. Questa è stata rappresentata da un vecchio saggio di nome Kamau. Non vedente. Si avvale di un portatile a sintesi vocale e di molti giovani avvocati che pendono dalle sue labbra. Zoppica sorretto da un bastone per ciechi. Rappresenta la parte migliore dell’Africa: i nervi saldi nei momenti della disperazione, il saper che il tempo potrebbe esser d’aiuto, la memoria per smantellare nel contraddittorio ogni accusa, l’età che lo pone come un venerabile di fronte al pubblico ministero. Alla notizia che Makara è stato liberato ha sorriso. Ha aperto il suo notebook ed un nuovo file con il nome di un altro disperato rinchiuso nella prigione di Nakuru. La settimana prossima vi sarà l’udienza; c’è molto lavoro da fare.

Fabio Pipinato