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NOI NON SIAMO QUESTA CHIESA-(...cieli e terre nuove che irrompono nel nostro vecchio mondo e lo chiamano a tornare giovane...)."
- Subject: NOI NON SIAMO QUESTA CHIESA-(...cieli e terre nuove che irrompono nel nostro vecchio mondo e lo chiamano a tornare giovane...)."
- From: "DOMENICO MANARESI" <bon4084 at iperbole.bologna.it>
- Date: Thu, 1 May 2003 09:59:38 +0200
PER CONOSCENZA A TUTTI GLI AMICI (vedi qui di seguito e anche in allegato) Bologna, martedì 22 aprile 2003 Pasqua è passata. In questi giorni si è assistito a moltissime preghiere, a tridui pasquali colmi di fede, a riti splendidi e commoventi come il lavaggio dei piedi, a sinceri scambi di auguriŠ. Pasqua, mi si dice, significa "passaggio". Chissà se in queste preghiere e in questi "Buona Pasqua" era implicito anche l'augurio dell'amico Tonino Bello, vescovo, che (rievocando Isaia) aveva scritto sul letto di morte. "Vi benedico da un altare coperto di penombre, ma carico di luceŠ. Sono le luciŠdei cieli e delle terre nuove che, con la Resurrezione, irrompono nel nostro vecchio mondo e lo chiamano a tornare giovaneŠ" Nel "nostro vecchio mondo" c'è anche la Chiesa-cattolica-istituzione e sono certo che l'amico don Tonino, vescovo, pensava altresì ad una pasqua =passaggio-di-ringiovanimento anche di questa umana struttura, a lui pur tanto caraŠ Confesso che mi piace non poco pensare ad una Chiesa-cattolica-istituzione "tornata giovane" come la descrive il teologo Giulio Girardi nell'articolo che leggo da "ADISTA" (n.25 del 29 marzo 2003) e che riporto qui di seguito. Auguro fin d'ora a tutti (con 50 giorni d'anticipo!) una "Buona Pentecoste": e che lo Spirito Santo ci aiuti tutti, ma proprio tutti, a riflettere sul concetto di Misericordia. Soprattutto ci aiuti a discernere se, e in quale misura, coloro che presiedono le istituzioni ecclesiali hanno il potere e la vera autorità per non concedere il Perdono a fronte di una presunta Giustizia e ad una ipotizzata salvaguardia dei dogmi. Prima la Chiesa poi l'Uomo? Molto difficile per me sia credere a questa priorità ecclesiale, sia sentirmi parte di una struttura siffatta! Grato a chi mi aiuterà a meglio discernere e comprendere, auguro a tutti: shalom-salaam! Domenico Manaresi Mitt. Domenico Manaresi - e-mail: bon4084 at iperbole.bologna.it NOI NON SIAMO QUESTA CHIESA di Giulio Girardi - filosofo e teologo Il brutale provvedimento assunto dalla burocrazia vaticana nei confronti del nostro fratello Franco Barbero non richiede solo, nei suoi confronti, la solidarietà incondizionata e indignata di quanti credono in Gesù Liberatore. Perché al di là della sua estrema rilevanza personale e comunitaria, questo episodio è carico di un significato storico, che è necessario ed urgente esplicitare; che dovrà quindi, a mio giudizio, ispirare una feconda riflessione teologica e, probabilmente, aprire una nuova fase nella vita della chiesa e nella stessa Teologia della Liberazione. Don Franco considera questa lettera vaticana come il regalo del papa e del vescovo per i suoi 40 anni di ministero. Essa, in effetti, con la stessa condanna, illumina vivacemente il significato evangelico del suo ministero, lo spirito di apertura, di ricerca e di comunione con cui lo ha esercitato e lo esercita, la dignità e la libertà con cui egli reagisce a quella misura. Ma il significato teologico della "condanna" va molto al di là della persona di Franco e della sua comunità. Essa infatti definisce con terribile chiarezza l'identità dell'istituzione che ha emesso quella sentenza. Agli occhi di moltissimi cristiani, la gerarchia dimostra con tale decisione e con tale metodo, di non avere più nessuna autorità né dottrinale né morale, nessun senso della giustizia, nessun rispetto per la persona e la comunità. Essa tradisce clamorosamente l'amore e la scelta degli oppressi da cui era nata ed a cui era destinata a rendere testimonianza nel mondo. Con una decisione di questa gravità, la burocrazia conferisce piena legittimità alla serena ed aperta insubordinazione dello stesso Don Franco e della sua comunità. Essa ricorda ancora una volta che l'obbedienza non è più una virtù; virtù è solo l'amore. Essa fa di tale insubordinazione non solo un diritto ma un dovere. Ne fa anzi un gesto profetico, ricco di insegnamenti e di annunzi per il futuro della Chiesa nel mondo. Mi riferisco alla Chiesa di Gesù, non a quella istituzione che con il suo comportamento ha perso il diritto di portarne il nome; che con il suo comportamento provoca in tanti di noi il rifiuto di continuare a considerarcene membri. Don Franco e la comunità di Pinerolo ci indicano invece con la dignità del loro comportamento che la piena autonomia nei confronti della burocrazia romana è ormai condizione e segno essenziale della fedeltà al Sovversivo di Nazareth, a Gesù Liberatore. I fratelli e le sorelle di Pinerolo, con la loro affermazione di autonomia lanciano un messaggio alla chiesa universale, destinato, mi pare, ad avere fortissime ripercussioni. Un messaggio di libertà e di liberazione. Ogni comunità cristiana, stimolata da questa testimonianza, vedrà con tutta chiarezza che la sua libera ricerca, espressione, organizzazione, non è solo legittima, ma è un segno essenziale di fedeltà a Gesù Liberatore, di identificazione con gli oppressi e le oppresse del mondo. Vedrà con tutta chiarezza che la comunione ecclesiale non nasce dall'ortodossia né dalla sottomissione, ma dall'amore audace e storicamente impegnato. Tutti i vincoli alla creatività umana e cristiana imposti alle comunità dalla burocrazia saranno sciolti, consentendo alla vitalità delle chiese locali di esprimersi in pienezza. Liberate da questo giogo, emergeranno in tutta libertà e fecondità le Chiese indigene, le chiese negre e le loro teologie. Emergeranno in tutta libertà e fecondità le chiese locali, le loro comunità, le loro teologie. Il pluralismo religioso oggi represso potrà affermarsi nella sua ricchezza, perché nessuna istituzione avrà il diritto di confiscare Dio, proclamandosi unica interprete autentica della Sua rivelazione. Per questo il futuro della chiesa non dipenderà più dalle posizioni del nuovo papa, ma dalla capacità di autonomia e creatività di tutte e di ciascuna delle chiese locali, di tutte e di ciascuna delle sue comunità. Liberate dal giogo della gerarchia, le comunità cristiane potranno riscrivere la loro storia, indicando e denunciando i vari momenti di rottura, in cui la ricerca del potere imperiale da parte della Chiesa di Gesù, ha portato con sé l'abbandono della fedeltà agli esclusi ed alle escluse della storia; riconoscendo e denunciando le gravi complicità con i crimini del potere che tale ricerca ha spesso generato; riconoscendo il progressivo abbandono, di ieri e di oggi, della fedeltà al sovversivo di Nazareth. Riscrivere la loro storia, significherà, per le comunità cristiane, riscoprire nella sua purezza il messaggio originario e appassionante di Gesù. Significherà rompere con le strutture oppressive e coinvolgere la riscoperta delle origini comunitarie nella ricostruzione dal basso di un'alternativa di civiltà. =========================================================
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