Tibet: Amnesty International denuncia l'esecuzione di una condanna a morte per motivi politici



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COMUNICATO STAMPA

CS11- 2003

TIBET: AMNESTY INTERNATIONAL DENUNCIA L'ESECUZIONE DI UNA
CONDANNA A MORTE PER MOTIVI POLITICI

Amnesty International ha appreso la notizia dell'esecuzione di Lobsang
Dhondhup, un monaco tibetano di 28 anni, avvenuta il 26 gennaio
immediatamente dopo la lettura della sentenza che respingeva la richiesta
d'appello.

Lobsang Dhondhup era stato condannato a morte a dicembre assieme ad un suo
correligionario, Tenzin Delek Rinpoche', con l'accusa di essere implicato
in una serie di attentati avvenuti nella regione del Sichuan tra il 2001 ed
il 2002. La condanna di Tenzin Delek e' stata invece sospesa per due anni.

La sentenza era arrivata al termine di un processo molto lontano dagli
standard internazionali di equita' e correttezza; dal momento dell'arresto,
avvenuto in aprile, i due imputati sono stati costretti a trascorrere
lunghi periodi senza poter vedere familiari o avvocati ed hanno subi'to
pesanti torture e maltrattamenti. Vi e' il timore fondato che i due possano
essere stati indicati come colpevoli unicamente a causa delle loro
attivita' pacifiche e non violente a favore dell'indipendenza del Tibet e
della preservazione della sua identita' culturale.

Amnesty International esprime anche la sua forte preoccupazione per la
sorte di altri cinque monaci arrestati insieme a loro di cui non si e' piu'
avuta notizia; tre di loro sarebbero stati brutalmente picchiati dalle
forze di polizia prima di essere portati in carcere.

'Si tratta di un segnale terribile che riporta la situazione indietro di
anni' - ha commentato Paolo Pobbiati, coordinatore per il Tibet di Amnesty
Italia - 'e che cancella gli importanti gesti di distensione dei mesi
scorsi, tra cui la liberazione di alcuni prigionieri politici e l'abbozzo
di ripresa del dialogo con il governo tibetano in esilio. Erano anni che
non veniva registrata in Tibet una condanna a morte per motivi politici e
temiamo che le autorita' cinesi vogliano estendere l'utilizzo della pena di
morte ad accuse legate ad attivita' separatiste o contro la sicurezza
nazionale, come gia' avvenuto negli ultimi mesi nella regione del Xinjiang,
il Turkestan cinese'.

'Il sistema giuridico cinese non fa alcuna distinzione tra reati di
opinione e reati violenti' - ha aggiunto Pobbiati. 'La Cina sta portando
avanti la sua particolare lotta contro il terrorismo e la criminalita'
colpendo senza distinzioni anche dissidenti ed attivisti che adottano
strumenti di lotta non violenti. A questo va aggiunto che i tribunali sono
sottoposti a forti ingerenze politiche e non danno garanzie anche minime ai
diritti degli imputati: i processi sono solamente una ratifica di sentenze
decise in altra sede. In questo contesto l'applicazione della pena di morte
non fa che aggravare enormemente il quadro di una situazione gia' di per
se' drammatica'.

FINE DEL COMUNICATO

Roma, 28 gennaio 2003


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