Supremo aforisma della cultura politica,comunismo e libertà sono inconciliabili.



Title: I
Sommario

 

Al lettore                                                                             p. 5

 

I – LA DIVERSITA’ MORALE                                        p. 7

 

II – UNA LETTURA UMANISTICA
      DEL MARXISMO                                                        p. 26

 

III – DAVVERO COMUNISMO=NAZISMO p. 95

 

Al lettore

 

Una voce concorde risuona oggi nel gran mondo della politica e della cultura: comunismo e libertà sono inconciliabili, comunismo e nazismo sono la stessa cosa, Stalin è uguale a Hitler. E come si fa a dubitarne? C'è forse qualcosa di più ovvio di questo supremo aforisma della cultura politica del 2000?

In sublimi accoppiate, clericali e radicali, cattolici di centro-destra e cattolici di centro-sinistra, conservatori e liberali, repubblicani e socialdemocratici, socialisti di varia e dispersa natura e, soprattutto, suprema garanzia del vero, post-comunisti diessini, e quanti sono uomini di cultura, di governo o di chiesa, cioè, per non far nomi Papa Wojtyla e Intini, Berlusconi e D'Alema, Boselli e Veltroni, i filosofi Buttiglione e Colletti, e via elencando (mi perdonino gli dei se ho imbrattato con questi superflui nomi queste candide carte de­stinate soprattutto ai grandi nomi di Marx e Gramsci!), lo ripetono quotidianamente e trionfalmente da ogni pulpito e seggio. Senza ti­more di apparire banali, usano tutti le stesse parole, che poi libri, rotocalchi e quotidiani distribuiscono in librerie ed edicole, e che radio e televisione diffondono nell'etere. Si astengono, ovviamente, da questo coro concorde soltanto i diretti interessati. E di fronte a tante e tante autorevoli voci, che altro possono fare i milioni di uo­mini e donne che poco sanno e niente ricordano, se non convincersi che le cose stiano davvero così, e passarsele anche loro di bocca in bocca, persuasi e beati? D’altronde, che altra verità può esserci tra gli uomini, se non le opinioni degli uomini? (Intendo di quelli che hanno il potere di confezionarle e diffonderle).

Eppure, se non si vuole appartenere passivamente a questo variopinto gregge, qualche domanda bisognerà pur porsela, e qualche altra risposta bisognerà pur darla.

In queste pagine porrò le mie domande e darò le mie risposte. Poco mi curo se appariranno blasfeme alla massa solenne dei benpensan­ti, né so prevedere se e quanto troveranno corrispondenza in altri, anche se la cosa non mi dispiacerebbe. Preferisco comunque la solitudi­ne che “portare il cervello all' ammasso", cosa di cui con involontaria comicità ci hanno accusato per anni i benpensanti che, essendo maggioranza, all’ammasso il loro cervello l'avevano già portato, quando noi, come sempre, eravamo minoranza senza ammassi.

Nella prima parte di questo mio scritto mi lascerò andare a personalissime divagazioni, dalle quali, credo, risulterà che ognuno è “comunista" (o altro) a modo suo, e che le etichette che ciascuno di noi si dà o riceve dagli altri, sono molto accidentali e approssima­tive. Indi tenterò quella che io chiamo una lettura umanistica della tradizione socialista, cercando di chiarire la profonda bellezza del pensiero di Marx e di Gramsci, assolutamente difforme dalla ridutti­va e banale lettura che ne hanno dato e ne danno i corifei sia dell’ anticomunismo liberal-cristiano sia del socialismo reale. Da ultimo cercherò di chiarire che cosa siano stati, nella tradizione culturale e nella pratica politica, il comunismo da una parte e il nazi-fascismo dall’altra, e come e perché, in quest' ultimo mezzo secolo, il comuni­smo sia stato il nome della speranza per milioni di oppressi e sfrut­tati in tutta la terra: tanto che perfino qualcuno come me, uscito, ancora inesperto di politica, fuor del pelago del fascismo e della guerra alla riva della libertà, é stato così folle da dichiararsi comunista.

Ancora oggi, nonostante l'oscuramento e la quasi improbabilità del nome, non posso non dichiararmi tale, anche perché, riter­rei disonesto e inelegante fingere di essere stato altro, oppure dichiarare pentimento (cosa oggi molto di moda), che potrebbe sembrare opportunismo.

   Buona lettura, dunque, al benevolo o malevolo lettore (se ce ne sarà qualcuno).

Bolsena, aprile 2000……

 

I – LA DIVERSITA’ MORALE

 

I1 canone storiografico fondamentale

Seria quaerenda et ludo : bisogna saper affrontare le cose se­rie anche scherzando (ma potrebbe significare: anche con uno sport guerresco). Questa era l'insegna o «impresa» con cui un cavaliere si presentò «il lune di carnovale 5 marzo 1565» a un «magnifico torneamento» combattuto nel Theatro Vaticano con molti feriti per «molti bei colpi, così di lancia come di spada, su per la testa», alla presenza del papa che, scrive il cronista, «si può credere che non lasciasse di goderne». Anch'io potrei assumere questa insegna, mentre mi accingo a una battaglia idea­le, che forse sarebbe da affrontare un po' sul serio e un po' scherzando: e chissà che il papa non ne goda.

Non sarà una battaglia da poco, dato che, mentre tante persone­ sagge si affannano a dichiarare che non possono più dirsi comunisti, io invece mi accingo un po' follemente a spiegare perchè non posso non dirmi comunista. Il fatto è che io sono morto idealmente nel 1989, e i morti non cambiano né pensieri né nome. Questa mia morte avvenne al momento (ma non a causa) della caduta del muro di Berlino nell'ottobre 1989, quando finì l' egemonia di quella cultura neomarxista che negli scaffali ideali dei posteri occuperà quasi per intero la seconda metà del secolo XX dopo Cristo.

Ma perché alla fine della guerra in tanti abbiamo scelto di da­re alle nostre speranze il nome terrificante di comunismo? Si è trattato della scelta del secolo, se non del millennio: ma non era,come assai stupidamente si è detto, tra comunismo e

libertà, dato che nessuno di noi comunisti si sognava di fare a meno della libertà. Purtroppo, nell'apparenza politica si è ridotta alla scelta tra paesi definiti del «socialismo reale», e paesi che si autoproclamavano del «mondo libero» e che io per giustizia di­stributiva chiamerò del «liberalismo reale». Ma era un'appa­renza ingannevole: in realtà si trattava di ben altro, se stare dal­la parte degli oppressi oppure degli happy fews. E comunque, i termini di quella difficile scelta non li aveva inventati nessuno di noi, ma ciascuno se li era trovati imposti dalla storia: biso­gnava stare o di qua o di là, pena l'isolamento e l'impotenza.

Di questo genere sono le difficoltà dell'uomo nel venire al mondo, costretto sempre a vestirsi secondo i tempi, a pensare con parole già fatte e a mettere un'etichetta ai propri pensieri. Ma sul perché profondo delle scelte temo che nessun uomo sia in grado di dare una risposta razionale che valga per tutti. Nessuna ragione umana ha forza di persuasione universale. Anzi, su questo debbo esporre un mio dubbio finora irrisolto e che temo di non riuscire a risolvere mai. Si tratta del giudizio da dare, ap­punto, sull'uomo, «l'ipotetico e malinconico uomo in genera­le", come diceva Gramsci: se sia o non sia un essere razionale, in grado di dominare gli eventi, operare delle scelte positive e dare un nome alle cose e a se stesso.

Ebbene: da una parte io ho tentato a lungo di dare una rispo­sta ottimistica a questo dubbio, teorizzando o sognando la pos­sibilità storica di un «uomo onnilaterale». Questo sogno del­l’uomo onnilaterale, che mi ha accompagnato per molti anni, lo si può trovare nel bellissimo mito narrato nel Convivio di Pla­tone dal grande comico Aristofane, che davvero diceva scher­zando cose serie. E’ un mito nel quale a me la parte più profon­da pare non quella della duplicità sessuale dell'essere umano, sferico e bifronte, ma quella della perfetta completezza, che fa­ceva paura agli dei, onde Zeus per indebolirci ci divise in due.

Ma nella sua forma non mitica me l’aveva suggerito Marx, intorno al quale avevo addirittura scritto un libro col titolo appunto di Uomo onnilaterale, se con fosse che l’editore me l’ha intitolato Marx e la pedagogia moderna. Lì io, casualmente, davo del suo pensiero una lettura parallela ed opposta a quella che ne faceva intanto Marcuse parlando di “uomo a una dimensione”.

Lui pensava alla realtà, io alla possibilità. Che bel sogno un mondo di uomini onnilaterali, capaci di essere “pescatori al mattino e filosofi alla sera”, come diceva Marx! Fuor di metafora, che bel sogno quello di uomini capaci tutti di operare attivamente e di pensare profondamente!

Questo sogno valeva di fronte alla possibilità storica, o insomma alla speranza o magari all’utopia. Ma di fronte alla realtà, l’esperienza mi mostrava che in tutta la loro storia gli uomini hanno sempre scelto o seguito il peggio: per progredire (e non c’è dubbio che abbiano progredito: ma con quante contraddizioni!) hanno obbedito a sovrani imbecilli o malfattori, creduto a sacerdoti di tutte le religioni, combattuto guerre fratricide, fatto rivoluzioni e controrivoluzioni insensate.

E allora un diavoletto malvagio e antimarxista, o più probabilmente quello che la Bibbia chiama «il cattivo spirito di Dio» (se Dio esistes­se, esisterebbe anche lui), mi veniva suggerendo una risposta meno ottimistica ma forse più veritiera. Si tratta di quello che io

chiamo il «canone storiografico fondamentale», grazie al quale soltanto diventa possibile capire, anche se non giustifica­re, i comportamenti umani. Lo confiderò con una certa tituban­za in tutta la sua crudezza, così come mi è stato suggerito da quel diavoletto, anche se potrei enunciarlo più nobilmente con le parole dei più grandi filosofi e poeti. Ma, sempre nella convinzione che seria quaerenda et ludo, non mitigherò

:: _Jrole dei pili grandi filosofi e pactio Ma, sempre nella con­

le parole. Anzi, il padre Dante, che non solo nell' inferno parla di puttane e di unghie merdose, del tristo sacco che merda fa di quel che si trangugia, di fare del cul trombetta, del membro che l'uom cela, del “luogo là dove si trulla", di "un col corpo sì di merda lordo", e di altre simili sconcezze e che perfino in paradiso parla di porci e di cloaca e di puzza (il che, riferendosi al papato, si comprende bene), Dante, dicevo, mi incoraggia a ripetere la parola oggi entrata prepotentemente nell'uso, e dirò: «Gli uo­mini sono un po’...». No: non lo dirò con la parola oggi in uso: mai seguire troppo la moda! Lo dirò piuttosto (ahi!) con le mi­stiche parole del Vangelo di Giovanni: «Gli uomini preferiscono­ le tenebre alla luce». Sono, insomma, oscurantisti (i dominanti) o ottenebrati (i dominati)……

 

Marx umanista

Marx è tra i grandi della storia ai quali mi sento più legato come ai tanti altri amici ideali di ogni epoca e paese che mi hanno aperto l'animo ad esperienze di poesia e a speranze di rinnovamento umano.

Non ci si stupisca di questa dichiarazione d'amore: annovero tra questi anche autori molto diversi, per non dire opposti. Di là dalle soluzioni pratiche che propongono, molti autori possono esserci vicini per la loro tensione verso la «visione del bene», come Platone appunto, o per l'intransigenza con cui hanno sa­puto opporre il loro ideale alla realtà, come Dante. E ciò anche se la loro visione e le loro speranze dichiarate non coincidono con le nostre. Comunque, devo difendere Marx da un secolo e passa di calunnie e stravolgimenti, che vengono non solo dai denigratori liberali o cattolici, ma anche dagli applicatori del socialismo reale, e dai capricciosi stravolgimenti dei nostrani estremisti di sinistra. Si sa, del resto, che quanto più una cosa è idiota, tanto più viene presa per buona e diventa senso comune.

Ciò in forza del canone storiografico fondamentale, che qui non sto a ripetere: ma dite una qualsiasi idiozia e avrete molte probabilità di vederla diventare luogo comune.

Ricordo a Roma, subito dopo la liberazione, quando le di­scussioni alla ricerca di un orientamento ideale appassionavano un po' tutti molto più di quanto oggi si possa immaginare, il ge­suita padre Lombardi, detto «microfono di Dio», e il latinista Concetto Marchesi, comunista, discutere di cristianesimo e co­munismo davanti a un uditorio numeroso e appassionato. Pare­vano Platone e Aristotele nella «Scuola d' Atene» di Raffaello nelle Logge vaticane. Padre Lombardi, platonicamente ispirato, alzava gli occhi e il dito al cielo, evocando i massimi problemi, o piuttosto le massime e insensate parole di spirito e materia, di persona umana e di collettivismo, attribuendo sprezzantemente a sé le prime e all'altro le seconde: erano gli insensati luoghi comuni dell'idiozia diffusa. Certo è che, soprattutto nei dibatti­ti politici, materialismo e spiritualismo sono parole senza senso, che hanno assai poco a che fare con la tradizione filosofica e, soprattutto, coi comportamenti reali di chi le pronuncia. Eppure riempiono vanamente le vuote menti dei miseri mortali……

 

Il muro e la cortina

Segno della battaglia ormai perduta dal comunismo fu l'improvvi­sa decisione di erigere il muro di Berlino. Uno scandalo mondiale.

Ma come mai, quando le potenze occidentali eressero una sterminata cortina di ferro sugli immensi confini lungo i quali il "libero Occidente" veniva a contatto con l' "impero sovietico" non ci fu alcuno scandalo nè anima candida che levasse i suoi guai? Come si fa ad anatemizzare un muro di mattoni, e ad esal­tare una cortina di ferro? Miracoli del mondo occidentale e cri­stiano! Davvero è più facile vedere una pagliuzza nell'occhio altrui che una trave nel proprio. Certo: alzare quel muro è stata una barbarie e un'idiozia totale, ma lo è stata proprio perché al­tro non era che una meschina replica della barbarica cortina di ferro alzata prima dagli occidentali. Bella la cortina, brutto il muro? Già: come le rivoluzioni di febbraio e di giugno nel 1848. Eppure, provate a immaginare uno Stato che ospiti nella sua capitale tre potenze occupanti con tanto di eserciti e di ae­roporto: peggio della nostra povera Italia, che condivide la sua capitale con lo Stato vaticano! Non c'e forse da impazzire fino al punto di inventare un muro? Ma sarebbero savi, al confron­to, quelli che già prima hanno inventato una cortina? Idiozia, ipocrisia, settarismo, disumanità: come definire questi atteggiamenti? Io non finisco di vergognarmi per gli uni e per gli altri.

Eppure, diciamocelo. II muro è caduto e, fosse o no piccola cosa in confronto alla cortina, con la sua caduta è crollato un sistema, un mondo. In minimis videtur Deus: Dio, o chi per lui, si vede dalle cose minime. Quello è stato un simbolo, un em­blema: non la causa, ma l'esito visibile e, nel suo piccolo, di­rompente di un contrasto mondiale. Mi si chiederà se questa tre­menda lezione della storia non basti a farmi correggere le mie idee difformi e bislacche? Rispondo no, non può bastare: l'Eu­ropa centro-orientale non può farmi dimenticare il resto del mondo; e altre rivoluzioni sono finite nell'obbrobrio e nella sconfitta, e tuttavia hanno fatto la storia.

Ma poi, gli "orrori" saranno orrori propri dell'ideologia (lo sono certamente dell'ideologia nazi-fascista), o non piuttosto delle persone e dei popoli?……

  

La conventio ad excludendum

Questi liberali e democratici! Recitano a fare la democrazia, ma qual è la loro democrazia? Torniamo a vederla in Italia.

Domenica 19 marzo 2000, la Tv mi ha dato una risposta tra le tante: un filosofo cattolico, noto consigliere politico di papa Wojtyla (l'ho già nominato all'inizio col dovuto disgusto), di­chiara candidamente che "in una democrazia occidentale e cri­stiana i partiti totalitari, cioè fascisti e comunisti, dovrebbero es­sere emarginati". Perfetto, per una democrazia occidentale e cri­stiana: in un regime clericale, almeno i comunisti sarebbero man­dati al rogo. E costui è un moderato, un centrista nel centro-de­stra. Ma sarebbe un moderato chi gli rispondesse che andrebbero emarginati i filosofi cattolici come lui, se non proprio tutti i partiti religiosi? Quando si capirà che "moderato" in politica vuol dire centrista, non vuol dire moderato in morale, e che il settari­smo sta anche al centro, tra i cosiddetti moderati? Cavour, libe­rale centrista, quando ordinava di "sparare all'altezza della cinto­la" sugli operai in sciopero, era forse moralmente un moderato?

Duecento anni di pensiero socialista (dopo quello cristiano e liberal-democratico) di altissima dignità morale, di elevato li­vello teorico, che dava voce a disperate speranze umane, mirando alla liberazione dell'uomo da ogni vincolo materiale per con­sentire a ciascuno un'alta vita spirituale, può davvero essere escluso dal patrimonio culturale dell'umanità, perchè una vicen­da politica che ha dichiarato di ispirarvisi lo ha adulterato ed è stata infine costretta al fallimento? Cancelliamo forse Gesù per­ché ci sono stati il persecutore dei “pagani” Teodosio, il massa­cratore di eretici Domenico, il colto predicatore di schiavitù Nic­colò V, il corrotto Alessandro VI a gavazzare (come tanti altri papi e cardinali nelle stanze vaticane: leggete i cattolici Dante, Petrarca e Boccaccio, se non credete a me), un Pio IX che per contrastare l 'Italia ha anatemizzato liberalismo, democrazia e progresso, su su fino a un Wojtyla che stringe la mano a Pino­chet e ribadisce la condanna di Giordano Bruno? Cancelliamo forse Voltaire e Diderot perchè ci sono stati, a scelta, Robespier­re con la ghigliottina o Napoleone coi cannoni? La pratica ha sempre smentito l'ideologia: corruptio optimi pessima. Ma biso­gna forse per questo ripiegare sull'eterno peggio e rinunciare a ogni ricerca dell'ottimo, o almeno del meglio?

Ma infine, che cosa mai significheranno questi nomi: cristia­nesimo, liberalismo, democrazia, socialismo, comunismo? Per accoglierli come riferimento ideale per le proprie scelte e i pro­pri comportamenti, occorre sempre depurarli dei loro storici or­rori. Questo vale per me quanto al comunismo, nel quale ne­cessariamente mi sono riconosciuto, ma del cui nome in fondo mi importa poco: ma sì della sua storia, passata e futura……