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IL MOVIMENTO ANTI LIBERISTA E LA SCELTA NON VIOLENTA
- Subject: IL MOVIMENTO ANTI LIBERISTA E LA SCELTA NON VIOLENTA
- From: "Davide Bertok" <davide at bertok.it>
- Date: Fri, 01 Nov 2002 01:21:06 +0100
- Priority: normal
Milano, 29 ottobre 2002 IL MOVIMENTO ANTI LIBERISTA E LA SCELTA NON VIOLENTA Il Social Forum di Firenze e la manifestazione del 9 novembre contro la guerra offrono ancora una volta l’occasione ad un movimento ampio e variegato come quello antiliberista di definirsi rispetto a un tema centrale: violenza o non violenza. Dopo Genova, non c’è stata alcun “esame di coscienza”, alcuna ammissione di responsabilità o messa in discussione delle proprie scelte, da parte di portavoce e dirigenti riguardo ai rapporti ambigui e complici con una minoranza violenta. Eppure è stata proprio questa resistenza a definirsi, questo rifiuto di isolare i violenti in nome di una supposta unità del movimento, a creare le condizioni perché poi si scatenasse la bestiale violenza poliziesca. Non stiamo parlando solo dei famigerati black block, sui quali sussistono seri dubbi di connivenza con la polizia e ai quali sarebbe comunque ingenuo pensare di lanciare appelli non violenti, ma di frange consistenti, anche se ancora, per fortuna, minoritarie, che rimangono all’interno del movimento: dai centri sociali più radicali, a Ya basta, ai Disubbidienti di Casarini e compagni. Già molte volte questi prepotenti hanno imposto ad una maggioranza di tutt’altro avviso le loro scelte violente, spesso dettate semplicemente dalla volontà di protagonismo e dalla speranza di ottenere visibilità sui mass media, esponendo gli altri manifestanti al rischio di cariche e pestaggi. Sono bravissimi a presentarsi come i più rivoluzionari, a travestire le loro provocazioni da denuncia coraggiosa e a tacciare di codardia chiunque non accetti di venire coinvolto nelle loro guerre private contro la polizia, le “banche armate” o la Croce Rossa. Peccato che non li si veda mai quando si tratta per esempio di condurre un lavoro difficile, umile e continuativo, lontano dalla luce dei riflettori, a sostegno dei diritti degli immigrati, in particolare quelli rinchiusi nei lager come quello di via Corelli a Milano. Così pochi violenti rischiano di screditare un intero movimento, facendo passare l’equazione antiliberista = spaccavetrine. Tutto questo è noto da tempo, eppure adesso, alla vigilia del Social Forum di Firenze, ci troviamo ancora una volta nella stessa situazione ambigua che ha portato ai tragici fatti di Genova. Come umanisti, sosteniamo in tutto il mondo la necessità di opporsi al neoliberismo e di costruire un altro sistema, basato sui diritti umani e non sul profitto. Ci sentiamo dunque, almeno idealmente, parte del movimento che i mass media definiscono sbrigativamente “no- global”, ma non possiamo condividere l’ambiguità che sta portando ad accettare la violenza come un metodo di lotta. Negli ultimi tempi, per fortuna, altre voci oltre alla nostra si sono levate a denunciare questa situazione e a chiedere di isolare i violenti, ma gli appelli non bastano: occorre una chiara scelta di campo, ponendo la non violenza come discriminante e rifiutandosi di organizzare qualsiasi iniziativa, dai dibattiti alle manifestazioni, insieme ai violenti. Se Casarini e compagni vogliono insistere nelle loro bravate provocatorie, che lo facciano per conto proprio, senza nascondersi dietro ad una manifestazione pacifica come quella del 9 novembre a Firenze. Chi sceglie la violenza non può parlare di diritti umani. Chi sceglie la violenza non può far parte di un movimento che aspira a costruire un nuovo mondo, opposto al sistema inumano oggi dominante.
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