[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
MARCO FAZZINI INTERVISTA WOLE SOYINKA
- Subject: MARCO FAZZINI INTERVISTA WOLE SOYINKA
- From: Daniele Barbieri - Carta <pkdick at fastmail.it>
- Date: Mon, 7 Oct 2002 15:25:38 +0200
TESTIMONIANZE. MARCO FAZZINI INTERVISTA WOLE SOYINKA [La seguente intervista al grande scrittore africano abbiamo ripreso dal quotidiano "Il manifesto" del 4 ottobre] Primo scrittore africano a ricevere il Nobel per la Letteratura, Wole Soyinka ha saputo fondere in modo esemplare - dalla fine degli anni `50 quando vennero pubblicati i suoi primi libri - rielaborazione mitica e trattazione politica, in maniera da rendere i suoi regni cosmologici e spirituali una sensazionale soluzione per la ricerca della liberta' dei molti popoli oppressi della nostra geografia contemporanea. Lo abbiamo incontrato ad Ascoli Piceno, poche ore prima che gli venisse assegnato il Premio internazionale di poesia e traduzione della Fondazione Cassa di Risparmio di Ascoli Piceno con una motivazione che ricorda tutta la gamma delle forme letterarie da lui praticate - dalla poesia al teatro alla narrativa alla saggistica - facendone uno dei massimi intellettuali "del continente piu' ferito della storia". - Marco Fazzini: Per cio' che concerne strettamente la poesia, pensa sia ancora possibile scrivere e leggere tenendo a mente, in maniera moralmente e intellettualmente imperativa, l'impegno civile e sociale della scrittura? - Wole Soyinka: Non l'ho mai pensato. E' inevitabile che ci siano opere legate a questioni sociali, cosi' come ci sono opere derivate dalla percezione dei fenomeni, o altre direttamente legate ai nostri stati d'animo, e cosi' via: sono scelte che spettano ai diversi scrittori, altrimenti si rischia di scadere nella scrittura di propaganda, una scrittura totalmente menzognera. Mi piace prendere una poesia e gustarmela per il modo in cui allarga gli orizzonti umani, senza che sia necessariamente impegnata da un punto di vista politico. D'altronde, se confesso di essere un consumatore di questo bene creativo debbo credere che esso sia giusto e assolutamente veritiero. - M. F.: Da dove nasce, per lei, la poesia? Da una immagine, da una frase, oppure da un periodo di gestazione che risponde a una volonta' piu' ampia e piu' alta? - W. S.: Direi che la poesia nasce da una combinazione di tutto questo. Puo' nascere da una immagine trattenuta nella mente, o da un fenomeno che puo' tradursi immediatamente tanto in una immagine che in un'espressione destinata a descrivere un'esperienza totalmente diversa, cosi' come puo' nascere da un concetto puramente intellettuale che mi commuove. Puo' funzionare indifferentemente attraverso una via emotiva o politica, e talvolta attraverso uno stato d'animo in cui mi trovo, specialmente nelle ore piccole della notte. Ricordo, tempo fa, lo speciale stato d'animo che mi fu procurato stando seduto a un bar, osservando la gente che si muoveva tra il fumo, i loro gesti e le loro membra: sembrava stessero dentro a una caverna. E' un processo dagli svariati aspetti; non riesco a definirlo o catalogarlo con precisione, ne' riesco a definire la sua gestazione, che puo' essere breve o lunghissima. - M. F.: Durante la sua carriera, ha mai tenuto particolarmente presente qualche modello, o ha tratto idee da qualche scrittore in particolare? - W. S.: No, non riconosco alcun tipo di influenza letteraria. Lascio questa attivita' all'analisi e alla critica letteraria. Considero la creativita' come una giuntura sempre attiva attraverso variazioni ben congegnate, consciamente o inconsciamente, su sentieri inventivi sempre nuovi. Si potra' dire, per esempio, che l'Opera da tre soldi di Bertolt Brecht si e' plasmata sull'Opera del mendicante di John Gay, e che ne esistono versioni ambientate in Nigeria e nella repubblica dell'Africa centrale: queste sono influenze dirette e scoperte. Ma per cio' che mi riguarda sento di non avere alcun controllo sulle influenze inconscie e nascoste del mio operare. - M. F.: La figura di Ogun, dio della guerra e della creativita', dei metalli, della strada ma anche riparatore di diritti, esploratore (colui che va per primo), e' sempre stata una presenza costante nella sua opera sin dal poemetto, Ogun Abibiman, che lei scrisse nel 1976 per lanciare un invito alla lotta contro le diseguaglianze razziali del Sudafrica. Potrebbe descrivere qual e' la particolare attrazione che questa divinita' le ispira? - W. S.: Ogun rappresenta il volto ricorrente della condizione umana, la componente creativa dell'uomo ma anche la sua distruttivita'. La particolarita'" di Ogun, una delle tante divinita' yoruba, risiede nella prerogativa del rimorso e della restituzione nei confronti degli umani. E' un dio lirico, eppure, oltre a essere dio dei metalli, e' anche il protettore delle aziende agricole e il demiurgo che sovrintende allo sviluppo tecnologico. Per questo lo vedo particolarmente pertinente allo sviluppo scientifico contemporaneo; si pensi ai piloti, agli astronauti, ai motociclisti... E' anche un dio guerriero, dunque contiene in se' quella mistura di elementi diversificati che mi attrae particolarmente e mi spinge a investigare ancora il personaggio. - M. F.: Ho visitato il Sudafrica qualche mese fa e sono stato informato della rapida scomparsa di editori di poesia, un genere in declino anche in altre parti del mondo, compresa l'Europa. Di recente, per esempio, la Oxford University Press ha chiuso la sua collana di poesia contemporanea, mentre molti dei poeti appartenenti alle aree periferiche del Regno Unito (la Scozia, il Galles e l'Irlanda) si trovano oggi costretti a cercare canali londinesi o newyorchesi per poter far uscire i loro libri. Pensa sia un fenomeno fisiologico o esiste una qualche sorta di strategia economica che rema contro i principi sui quali, in passato, si e' basata la poesia? - W. S.: Penso che il motivo sia principalmente economico. Sto pensando alla enorme diffusione dei prodotti tipicamente consumistici come i computer, con i loro giochi elettronici, e a tutte le altre gratificazioni a buon mercato, come la televisione e la video-music: emittenti di immagini del tutto simili a un caleidoscopio. Puo' darsi che tutto questo non influenzi la poesia, che oggi va anche sui compact disk, o in metropolitana o su grandi camion dell'immondizia che la rendono visibile sulle strade; ma sappiamo che la poesia richiede concentrazione. Forse riesco a leggere un romanzo mentre qualcos'altro accade attorno a me, ma trovo difficilissimo leggere una poesia in presenza di altre distrazioni. Ho bisogno di tempo, concentrazione e spazio per leggere una poesia. E' forse per la crescente difficolta' a trovare concentrazione che si sta verificando il declino degli editori di poesia. - M. F.: So che lei ha aiutato, negli Stati Uniti, la nascita di un nuovo centro di studi sulla traduzione. Mi puo' parlare di questo progetto e delle idee che stanno dietro al suo impegno nei confronti di questa attivita', a volte definita un'arte minore nel campo della scrittura? - W. S.: Il mio impegno nasce dal fatto di essere un soggetto coloniale, uno che ha subito l'imposizione di una lingua straniera come mezzo d'espressione, ma anche dal fatto di essere cosciente del fatto che il popolo yoruba e' diviso in aree anglofone, francofone e addirittura germanofone, in particolare quelle verso la costa del Togo. Molte nazionalita' africane, di converso, sono confluite all'interno dello stesso confine nazionale, e lo stesso di conseguenza e' avvenuto per molte lingue. Sono convinto che tante etnie e tanti ceppi linguistici debbano essere preservati per assicurare continuita' alle varie identita', portatrici a loro volta di culture e storie del tutto singolari. La traduzione quindi assume una particolare funzione, ed e' per questo che ha costituito sempre una preoccupazione attorno alla quale fare ruotare il mio lavoro. Quando negli anni Sessanta, con l'appoggio di Senghor, si penso' di promuovere lo swahili come la lingua di tutta l'Africa nera, la traduzione divenne una strategia non solo linguistica ma anche culturale e politica. Ovviamente, per poter diffondere le opere scritte in altre lingue e renderle visibili a un piu' ampio pubblico africano, la traduzione in lingua swahili risulto' uno dei programmi sui quali si punto' con piu' insistenza. La traduzione per me, quindi, va di pari passo con la creativita'. Inoltre di recente, presso l'universita' del Nevada, l'istituto di lettere moderne ha avviato un particolare programma per la traduzione letteraria, sia per promuovere la traduzione in inglese di opere scritte in altre lingue sia per concedere borse di studio e di ricerca su autori e poetiche. E' curioso osservare che il tutto avviene a pochi passi dai casino' di Las Vegas, dove l'interesse per la poesia e la traduzione temo sia molto scarso. Questo programma si finanzia attraverso uno speciale progetto che prevede entrate provenienti da collezionisti di opere d'arte e libri d'arte; tutti i proventi sono indirizzati verso la traduzione e il finanziamento di uno speciale asilo per scrittori perseguitati in tutto il mondo da governi corrotti e totalitarismi di spietata violenza. - M. F.: Lei ha di recente presentato il suo ultimo lavoro teatrale, King Baabu, in Sudafrica. E' una piece ironicamente denunciataria: quale reazione ha incontrato a Citta' del Capo? - W. S.: In realta', King Baabu fu gia' messo in scena in Nigeria nel luglio dello scorso anno. Per me ha rappresentato una sorta di vendetta creativa contro il potere, la corruzione e la disumanizzazione. Non ho voluto direttamente riferire l'opera a un singolo paese africano, quale la Nigeria, perche' mi e' sembrato importante far uso di un piu' ampio scenario africano, anche se ovviamente le angherie di questo leader rimandano a cio' che e' avvenuto nel mio paese. E' stato rappresentato a Zurigo, visto che il regista e' svizzero, e quest'anno in Sudafrica, dove mi sono recato di recente, e poi nel Lesotho. Cio' che piu' mi ha colpito della reazione riscontrata a Citta' del Capo non e' stato solo il collegamento che hanno fatto tra il mio personaggio autoritario e Mugabe, il leader dello Zimbabwe, ma l'inaspettata pertinenza che hanno avvertito per tendenze simili all'interno del Sudafrica. L'insistenza mostrata nel tracciare quel parallelismo mi ha imbarazzato: infatti, mi e' difficile pensare al Sudafrica di oggi come a un paese degenerato fino al punto da trovare analogie con cio' che dico nel mio dramma. Eppure, dopo lo spettacolo, ho parlato con un dirigente dell'African National Congress che era andato a vedere lo spettacolo a Pretoria e, nonostante abbia rilevato come l'opera si rivolga genericamente all'Africa tutta, ha trovato la performance scioccante, tanto che non ha voluto rilasciare commenti, limitandosi a chiedere subito e semplicemente un whisky.
- Prev by Date: SCIOPERO GENERALE
- Next by Date: Opposizione Civile e l'Ulivo...di E.Marzo, Sylos Labini, E.veltri.
- Previous by thread: SCIOPERO GENERALE
- Next by thread: Opposizione Civile e l'Ulivo...di E.Marzo, Sylos Labini, E.veltri.
- Indice: