Buone notizie



Una bella storia di solidarietà umana e di un premio intitolato a un
giornalista recentemente scomparso, un caro amico: il risultato è anche una
bella pagina di giornalismo.

Franco Uda
Presidente Provinciale ARCI Sassari


(tratto da "La Nuova Sardegna" del 29 agosto 2002)

«Ho violato la legge? Non so, ma lo rifarei»
Il premio Mario De Murtas a Corrado Scala, il capitano che ha salvato 151
profughi
«Eroe io? No. In mare esistono regole valide in tutto il mondo e che vanno
rispettate E poi c'è la coscienza»

STINTINO (Sassari). Ha il volto annerito dal sole e dal sale, le mani
grandi di chi non è abituato a tenerle in tasca e un cuore grande così.
Corrado Scala non pensava di finire sulle prime pagine dei quotidiani
nazionali e non gli ha fatto certo piacere. Fino a ieri era uno dei tanti
capobarca con moglie, tre figli e un lavoro nel profondo Sud dello Stivale.
Capopalo è un piccolo centro di 3000 anime che vive di pesca e, da qualche
anno, di turismo. Corrado Scala è nato in barca e nel mare ha speso la
vita: prima come mozzo, poi come marinaio e da ultimo come comproprietario,
con due fratelli, del Cicho, una motobarca di 22 metri che dà lavoro a 6
famiglie. Per sei mesi l'anno il peschereccio di Portopalo non si allontana
dalla costa: lavora a strascico o con piccole reti per il pesce di passo.
Da maggio a settembre, allunga le puntate nel Mediterraneo e si concentra
sulla pesca dello spada. È durante una di queste battute che Scala e
l'equipaggio sono incappati nell'incontro che ha cambiato loro la vita: 151
profughi in cerca di un Belpaese che proprio bello non è.

«Ho visto un puntino immobile, sulla linea dell'orizzonte. Era lì che
ciondolava e allora ho preso il binocolo...». Erano le 5 di pomeriggio di
domenica 18 agosto quando l'equipaggio del Cicho, un peschereccio di 22
metri con 5 uomini a bordo, ha fatto un incontro che non scorderà mai più.
Quel puntino nero che ciondolava nel mezzo del Canale di Sicilia era
l'ennesima carretta del mare. Un guscio malridotto, stipato di disperati
disposti a giocarsi la vita per un futuro in Europa. Quella terra ricca e
un po' falsa spiata in tv. Quel paradiso che sembra aver scordato valori
come solidarietà e uguaglianza. Gli uomini del Cicho non ci hanno pensato
due volte: messi da parte i palamiti, hanno salvato 151 persone. Risultato:
peschereccio sequestrato e iscrizione nel registro degli indagati con
l'accusa di favoreggiamento d'immigrazione clandestina. Ieri, il capitano
del Cicho, Corrado Scala, di 45 anni, ha ritirato il premio Mario De Murtas
e ha raccontato la sua storia.
- Un puntino. E poi?
«Ho preso il binocolo e ho pensato di avere le traveggole. Su una barchetta
di 12 metri c'erano decine e decine di persone. Erano in piedi,
sull'albero, sui bordi, dappertutto. Cosa da non credere. Allora ho
avvertito i miei compagni, ho lanciato l'allarme via radio e ho dato motore
in direzione di quei disperati».
- Lei abita a Portopalo, sud della Sicilia. Non le era mai capitato di
imbattersi in una carretta del mare?
«Abito a Portopalo e, per lavoro, mi spingo spesso fino alle coste del
Nordafrica, ma una cosa del genere non potevo neanche immaginarla».
- Provi a raccontarcela, magari a qualcuno serve.
«E' difficile raccontare. Lei provi a mettere 151 persone in una barca
lunga 12 metri e larga 3. C'era gente ovunque e c'erano 16 bambini che
piangevano, ormai allo stremo. Quando ci siamo avvicinati abbiamo fatto
quello che avrebbe fatto chiunque: abbiamo fatto salire a bordo i più
piccoli e le loro madri, abbiamo offerto le nostre provviste e la scorta
d'acqua, distribuito qualche asciugamano e le ultime sigarette».
- Cosa vi siete detti?
«Qualcuno conosceva un po' d'inglese, ma in casi del genere basta un gesto
o uno sguardo. In mare non ci sono differenze, non stai a guardare se uno è
nero o curdo, o turco o siciliano...».
- Capitano, vada avanti. Dove eravate?
«Quando abbiamo agganciato la barca dei "clandestini" eravamo a una
ottantina di miglia dalle coste della Sicilia e a una sessantina da Malta.
Se non fossimo arrivati, non so che fine avrebbero fatto. Comunque, mi sono
rimesso in contatto con le autorità e da Roma è arrivato l'ordine di
puntare su Malta. Ho obbedito e ho fatto rotta verso l'isola, ma dopo una
mezz'ora i profughi hanno capito che non eravamo diretti in Italia e hanno
minacciato di buttarsi in acqua con i bambini se non avessimo fatto marcia
indietro. Una donna si è sentita male e a quel punto abbiamo lanciato un
nuovo allarme avvertendo che avremmo puntato verso la Sicilia».
- La risposta?
«Ci hanno detto che se la situazione era così grave potevamo far rotta
verso Pozzallo. E hanno detto che ci sarebbero venuti incontro».
- Invece?
Invece, abbiamo navigato per dieci ore senza vedere nessuno. Solo alle 3 di
notte siamo stati affiancati da una motovedetta della Guardia di finanza
che ci ha scortato fino al porto. Hanno fatto sbarcare tutti e per noi sono
cominciati altri guai».
- C'è un'inchiesta per favoreggiamento d'immigrazione clandestina e non
credo sia il caso di entrare nel merito delle decisioni del giudice, però
anche su questo si sarà fatto un'idea».
«Che vuole che le dica. Il magistrato non crede che una barca come quella
che abbiamo rimorchiato in porto potesse aver navigato con 151 persone a
bordo fino a 80 miglia delle coste siciliane. Anche io dico che è un
miracolo e proprio per questo, non mi pento di quello che ho fatto».
- Si sente un eroe?
«Nemmeno per sogno. In mare ci sono regole che vanno rispettate e che sono
valide in tutto il mondo. Il codice della navigazione impone di prestare
aiuto a chi è in difficoltà. E poi c'è la coscienza».
Eravate tutti d'accordo?
«Assolutamente sì. Con me sul Cicho c'erano mio fratello e altri tre
marinai, tutti padri di famiglia, tutti con figli piccoli. Come avremmo
potuto abbandonare al loro destino sedici bambini e tanta gente disperata?
Sa che erano in balia della corrente da una settimana? Che si erano ridotti
a bere acqua di mare e che avevano tutti problemi di stomaco? Che non
mangiavano da giorni?».
- Che cosa le resta sul piano personale di questa avventura?
«Il ricordo di quegli occhi disperati. Un'immagine straziante che non
dimenticherò più».
- E sul piano pratico? Lei da dieci giorni non lavora?
Noi a fine mese facciamo la "conta" del pescato e sappiamo qual è lo
stipendio. Per gli uomini del Cicho questo mese non ci sarà la conta».
- Chi vi aiuterà?
«Abbiamo ricevuto la solidarietà di tutti i compaesani, del vescovo di
Noto, di tanti amministratori pubblici. La provincia di Siracusa ci ha
promesso un aiuto. Io spero solo di riavere presto la mia barca perché non
chiedo altro che di tornare al lavoro».
- Che speranze le ha dato l'avvocato?
Adesso il peschereccio e a Portopalo, ma è ancora sotto sequestro. Aspetto
di sapere qualcosa, mi auguro che i tempi siano brevi».
- Ha letto che dopo quello che è successo a lei altri capitani quando
incontrano disperati in mezzo al mare si limitano a segnalare la loro
posizione alle capitanerie?
«Ho letto. Ma visto che qualcuno si è anche beccato una la denuncia per
omissione di soccorso. Non riesco a capire dove si voglia arrivare».
- Un'accusa ai politici?
«Per carità! Si vede che chi ha fatto certe leggi ha visto il mare solo
dalla spiaggia».
- E lei rifarebbe quello che ha fatto?
«Lo rifarei domani. Cosa vuole che sia una denuncia rispetto al valore di
151 vite umane? Io oggi sono in pace con me stesso. Tutto il resto passerà».


IL RICORDO
La passione
per la verità
e la libertà

di Costantino Cossu

Il giornalismo, il buon giornalismo, non è un mestiere per cinici. È perciò
che di buon giornalismo in giro se ne vede poco. I media sono fatti da
giornalisti che del cinismo hanno fatto quasi un emblema, qualcosa di cui
vantarsi, qualcosa di cui essere orgogliosi, una specie di marchio doc
della professione. Mario De Murtas era un buon giornalista. Per lui la
cifra della professione era la passione. La passione per la verità, che
faceva tutt'uno con la passione per la difesa della libertà e della dignità
di ciascuno. Era impegnato nella politica, Mario, faceva anche militanza
attiva, anche se fuori dei partiti, vecchi e nuovi. Ma quando faceva il
giornalista ciò che per lui contava era la passione per l'uomo. Lui, da
marxista ortodosso, avrebbe storto il naso a questa mia formula: passione
per l'uomo. Ma non so in quale altro modo definire l'impegno che Mario
metteva sempre, in qualsiasi circostanza della sua vita professionale,
nello stare dalla parte di chi ha meno voce per farsi sentire, dalla parte
di chi ha meno potere.
Credeva che stare dalla parte della verità significasse stare dalla parte
della giustizia. Verità e giustizia, la stessa cosa. Quanti giornalisti,
quanti media vedete oggi stare dalla parte della verità? Il cinismo
imperante è innanzitutto calcolo opportunistico, che porta a stare dalla
parte di chi ha più potere, quindi lontano dalla verità, dalla radice
stessa della professione.
Buon giornalista e persona straordinaria, Mario. Straordinaria nel senso
letterale del termine: fuori dall'ordinario. L'ordinario, in questo mondo
che sembra avvitarsi in una spirale di autodistruzione, è l'egoismo, la
prevaricazione, l'arroganza. Mario era tutto il contrario. Dirò di lui
un'altra cosa che lo avrebbe fatto irritare, ma, ancora una volta, non
trovo altre parole: era un agnello tra i lupi. "Vi mando come agnelli tra i
lupi": sono le parole di Cristo nel momento in cui assegna agli apostoli la
missione di andare per il mondo a testimoniare la verità. Ai lupi non piace
la verità, ti sbranano se ti ostini a dirla. Hanno denti robusti, i lupi.
Hanno potere e tanti amici, anche nei giornali. Ma non ci saranno mai
abbastanza lupi da cancellare dal mondo le persone come Mario.




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