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question time su donne afghane
- Subject: question time su donne afghane
- From: "Forum delle Donne" <forumdonne.prc at rifondazione.it>
- Date: Thu, 11 Jul 2002 21:36:18 +0200
Resoconto stenografico dell'Assemblea Seduta n. 166 di giovedì 27 giugno 2002 (Iniziative per la valorizzazione del contributo delle donne afgane alla ricostruzione del proprio paese - n. 2-00389) PRESIDENTE. L'onorevole Deiana ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00389 (vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti - http://www.camera.it/_dati/leg14/lavori/stenografici/sed166/aurg05.htm#sez5). ELETTRA DEIANA. Signor Presidente, illustrerò questa mia interpellanza facendo alcune considerazioni preliminari per chiarire il contesto nel quale e per il quale ho preso questa iniziativa. Durante la guerra in Afghanistan, come elemento di utilizzazione aggiuntivo a quello della lotta al terrorismo e dell'abbattimento delle strutture terroristiche di Al Qaeda, si è fatto riferimento al burqa e all'infame trattamento inflitto dal regime dei talebani alle donne. Si è trattato di un elemento aggiuntivo per giustificare e legittimare in qualche modo le operazioni di guerra: i bombardamenti, i cosiddetti effetti collaterali (la morte di civili), insomma tutto il quadro operativo di vera e propria guerra che è stato approntato in quei territori. La sottoscritta, assieme ad altre colleghe parlamentari - e come altre donne hanno fatto nel passato - ha più volte avuto modo di richiamare l'attenzione dei mass media e delle forze politiche sulla situazione che le donne soffrivano in quel paese, senza avere nessun riscontro, nessuna attenzione. D'altronde, nessun riscontro e nessuna attenzione hanno avuto le sollecitazioni affinché si guardasse con attenzione a quello che le stesse donne facevano in Afghanistan e nei campi profughi al confine con il Pakistan per alleviare la loro condizione e per affermare diversi punti di vista rispetto all'icona - consegnata a noi occidentali - che vedeva le donne prigioniere del burqa ed assolutamente incapaci di denunciare la loro condizione e di cercare strade nuove per uscire da quella situazione. La soggettività femminile - come io la definisco - lavora dovunque nel mondo, ma non viene messa in luce, valorizzata, stimolata e supportata in modo adeguato. Faccio queste considerazioni poiché sono utili a chiarire il contesto della mia interpellanza urgente: da una parte, vi è l'utilizzazione del burqa per aggiungere, in qualche modo, elementi di legittimazione della guerra e, dall'altra, il silenzio, di questo come di tutti i parlamenti, sulla situazione vissuta in precedenza dalle donne. Oggi ci troviamo a fare i conti con un diverso quadro della situazione in Afghanistan, in parte provocato dagli effetti della guerra; è un quadro - si dice - di avvio alla democratizzazione e alla pacificazione. Nei giorni scorsi si è arrivati alla formazione del Governo Karzai, ciò dovrebbe rappresentare un elemento di stabilizzazione del paese. Voglio sottolineare due aspetti che hanno a che fare con le premesse che prima ho formulato e che, solo apparentemente, sono lontani e diversi. Innanzitutto, vi è un primo elemento di valutazione politica: la formazione del nuovo Governo Karzai non rappresenta affatto una pacificazione, né tantomeno l'avvio di un reale processo di democratizzazione. La Loya Jirga, cioè la grande assemblea dei capi tribù afgani, si è conclusa con la nomina del nuovo Governo, ma con questo voto si sono anche sedimentate una serie di nuove tensioni nel paese. Sicuramente, il premier Karzai ha lanciato un messaggio chiaro, da capo di Governo: ha detto che a Kabul si comanda, che le milizie locali agli ordini dei signori della guerra dovranno obbedire al Ministero della difesa, che le tasse - raccolte direttamente dai molti signorotti e capi tribù - dovranno andare al governo centrale e la moneta - ancora oggi sono usate altre valute, per cui la banca centrale non ha idea di quanti soldi circolino - deve essere unica. Inoltre, Karzai ha ribadito l'impegno alla lotta al terrorismo e ad un processo di pacificazione. Tuttavia, la situazione è, nei fatti, diversa anche per la pesante intromissione e presenza dietro le quinte, perlomeno sul piano diplomatico e della formazione del processo di istituzionalizzazione del nuovo potere, degli Stati Uniti che mirano ad un controllo egemonico dell'area, contribuendo ovviamente con queste manovre a rendere esplosivo il contesto. L'intervento degli Stati Uniti, finalizzato a far uscire di scena i potenti clan tagiki, è fallito. Il ministro degli esteri, Abdullah Abdullah, e quello della difesa, Mohammad Khan Fahim, sono rimasti al loro posto (si tratta di due grandi signori della guerra). D'altra parte, conoscendo i metodi che gli Stati Uniti adottano e teorizzano con sempre maggiore virulenza nella fase attuale dominata dalla strategia dell'operazione Enduring Freedom, non vi è da dubitare che faranno di tutto per garantire il controllo strategico della zona, alimentando anche, se sarà necessario, la ripresa di una conflittualità tra le varie etnie e tribù; conflittualità che, già prima dell'instaurazione del regime dei Taleban, costò sofferenze indicibili, violenze e violazioni dei diritti della parte femminile della popolazione afgana, come, in maniera molto esauriente e lucida, quelle di noi che sono andate a visitare quelle zone, hanno appreso da molte rappresentanti di quelle associazioni femminili che hanno combattuto, nell'indifferenza quasi totale dell'occidente, la loro battaglia in difesa dei loro diritti e dei diritti delle donne del loro paese. Le donne sono, ovviamente, esposte più di altri soggetti a queste dinamiche, per il contesto di violenza che, potenzialmente e fattualmente, contrassegna ancora il paese e perché nulla di strutturale si è andato sedimentando in questa esperienza di formazione del nuovo Governo né probabilmente avrebbe potuto sedimentarsi. La composizione di genere, vale a dire dal punto di vista della copresenza di donne e di uomini nel Governo Karzai, è bassissima per quanto riguarda le donne. Soltanto alla signora Suhaila Seddiqi, è stato confermato il Ministero della sanità. Durante i lavori della Loya Jirga si sono manifestate enormi difficoltà per la rappresentanza delle donne, per il gruppo del 13 per cento che rappresenta la parte femminile della società afgana, ad ottenere parola e a poter sviluppare il punto di vista delle donne nel dibattito della Loya Jirga. Questo è il contesto in cui si colloca l'interpellanza proposta. Si tratta di un'interpellanza che mira a mantenere vivo il contesto, secondo un impegno che ho assunto con altre parlamentari e con esponenti della resistenza femminile al regime dei Taleban e alla riproposizione di nuove forme di integralismo e di fondamentalismo che possano di nuovo violare i diritti delle donne, soprattutto nel quadro di utilizzazione delle dinamiche negative interne, con la quale intendiamo rivolgere alcune domande al Governo. Vorrei, in particolare, sapere quali iniziative il Governo intenda intraprendere per valorizzare e promuovere, attraverso una diffusa informazione nel nostro paese, il contributo che le donne afgane stanno offrendo alla costruzione della pace e della democrazia in Afghanistan. Spentasi l'attenzione sulle vicende militari in Afghanistan, la situazione torna ad essere di estrema indifferenza rispetto a quanto concretamente sta accadendo in quella parte del mondo, mentre i processi vanno avanti. Le donne continuano così a rappresentare una forza vitale per l'affermazione di quei principi di civiltà, democrazia e pacificazione che, in modo a mio giudizio alquanto farisaico, vengono adottati anche nel nostro paese. Quindi vorrei chiedere cosa intenda ancora in questo contesto fare il Governo per appoggiare i progetti di crescita e sviluppo promossi dal ministero degli affari femminili, per il quale non è stata ancora indicato un responsabile in Afghanistan e che è stato l'unico ministero che, durante il viaggio di una delegazione di parlamentari italiani in Afghanistan, ha prodotto una documentazione sui progetti che stava elaborando, corredando il progetto stesso di precise richieste di aiuto ai paesi europei. Infine chiedo ancora cosa intenda fare il Governo in sede internazionale per farsi promotore delle istanze di queste donne, sensibilizzando la Comunità europea e gli altri paesi occidentali nel loro complesso affinché rivolgano una maggiore attenzione al processo di integrazione e partecipazione delle donne africane alla vita del loro paese. PRESIDENTE. Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri, onorevole Baccini, ha facoltà di rispondere. MARIO BACCINI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, in risposta all'interpellanza formulata dall'onorevole Deiana, vorrei ricordare che il Governo italiano intende sostenere il ruolo delle donne afgane nella società locale ed opera attivamente anche attraverso l'Unifem, il fondo delle Nazioni Unite per le donne, al fine di sostenere il ruolo delle associazioni delle donne e delle ragazze afgane a favore di una maggiore diffusione, a tutti i livelli, della coscienza dell'apporto che le donne possono dare alla vita politica e amministrativa del paese. L'azione del Governo italiano è però anche a più vasto raggio a favore del ristabilimento di una situazione accettabile dei diritti umani in Afghanistan ed in occasione della cinquantottesima sessione della Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite svoltasi nella primavera di quest'anno, l'Italia ha proposto ed ha fatto approvare, per consenso, una risoluzione di ordine generale che riafferma i principi di restaurazione e di rispetto dei diritti umani contenuti nell'accordo di Bonn. Essa ribadisce inoltre il sostegno all'opera dell'autorità interinale afgana e l'impegno ad individuare e punire i responsabili di abusi, nonché a tutelare la vita e i diritti dei rifugiati dei bambini e delle donne. Per quanto riguarda il particolare ruolo delle donne nella ricostruzione dell'Afghanistan, la risoluzione sottolinea l'importanza che venga assicurata la loro piena ed effettiva partecipazione ed integrazione in tutti i processi decisionali concernenti il futuro del paese, inclusa, in particolare, la loro partecipazione agli organi rappresentativi e di Governo previsti dall'accordo di Bonn. Il testo invita altresì l'autorità interinale afgana a riaprire le scuole per le ragazze e ad adottare con urgenza le misure necessarie per cancellare ogni norma legislativa che discrimina le donne, assicurando la loro piena ed effettiva partecipazione alla vita del paese a tutti i livelli. Si intende inoltre garantire la loro reintegrazione nei posti di lavoro, il rispetto della integrità fisica e che i responsabili di violazione dei diritti umani siano portati dinanzi alla giustizia. Il Governo guarda oggi con attenzione all'attività politica avviatasi in Afghanistan a seguito della convocazione della Loya Jirga e intende continuare a vegliare affinché il nuovo Governo, guidato dal presidente Karzai, mantenga gli impegni presi dall'autorità interinale e prosegua nell'opera di rivalutazione del ruolo delle donne. Non nascondiamo d'altra parte le difficoltà e le lentezze che accompagneranno l'opera di ammodernamento delle strutture amministrative del paese. Auspichiamo, tuttavia, che i principi contenuti nella risoluzione della Commissione per i diritti umani costituiscano la linea guida per l'azione politica ed amministrativa della autorità locali e del Governo di Kabul. Venendo più in concreto agli interventi della cooperazione da parte dell'Italia, che ha riconosciuto fin dall'inizio l'importanza delle donne afgane a svolgere un ruolo costruttivo nel processo di pace, si ricorda innanzitutto il finanziamento di un programma di intervento biennale proposto dal Fondo di sviluppo delle Nazioni Unite per le donne. Tale organismo interviene, in particolare, a favore delle donne in situazioni di emergenza post-conflitto e ha già operato con successo nei campi profughi del Pakistan, per favorire la sicurezza economica, i diritti e le possibilità di una vita più sicura alle donne afgane. La strategia dell'iniziativa finanziata dall'Italia per un ammontare superiore a 2,5 milioni di euro - su un totale di circa 11 milioni di dollari - si basa sul sostegno delle associazioni di donne che stanno da qualche tempo operando in Afghanistan, nelle regioni limitrofe e a livello internazionale per il sostegno della popolazione colpita da più di vent'anni di guerra e da un lunghissimo periodo di discriminazione sofferta delle donne. L'Unifem opera in collaborazione con il Ministero afgano per le questioni femminili. Tutto questo mostra con chiarezza, onorevole Deiana, che il Governo italiano è impegnato in maniera significativa dalla prima ora - come ella sa - in un intervento anche di mediazione politica presso gli organismi internazionali, al fine di superare tutte le problematiche che lei ha ricordato e che ricorda anche in questo momento con questa importante interpellanza, proprio per rivitalizzare qualsiasi spinta al fine di sollevare, soprattutto sui diritti umani, i problemi che oggi insistono sull'area e che, con l'intervento italiano, credo possano essere affievoliti. PRESIDENTE. L'onorevole Deiana ha facoltà di replicare. ELETTRA DEIANA. Signor Presidente, non posso che dichiararmi parzialmente soddisfatta, come mi capita spesso, soprattutto su argomenti che hanno a che vedere con le grandi questioni, come la guerra e come l'intervento italiano al seguito di azioni di guerra. Infatti, conosco bene l'impegno italiano nel finanziamento, nell'aiuto, nell'appoggio ad iniziative di tipo umanitario. Tuttavia, non credo che questioni drammatiche come quelle che sono state e continuano ad essere vissute dalle donne afgane possano essere affrontate esclusivamente in chiave umanitaria. Credo vi sia una dimensione politico-strategica che, ovviamente, non può essere risolta né affrontata in questo breve spazio che concerne un punto specifico, ma che, tuttavia, voglio ribadire in questa sede: la dimensione dell'impegno del nostro paese perché si abbandoni, in sede occidentale, qualsiasi logica di neoprotettorato, in parti del mondo come quella in esame. Infatti, la pretesa di imporre forme nuove di protettorato nelle zone del mondo che conoscono la fatica dell'emancipazione e della liberazione umana, come l'Afghanistan, non può che introdurre elementi di tensione e di conflittualità. Quindi, rimane un piano grandissimo, che è radicalmente alla base della situazione, per come si è sviluppata fino ad adesso e per come rischia di svilupparsi nuovamente. Il rischio è che si ripiombi in una situazione di preregime e regime, in ragione dei superiori interessi degli Stati Uniti e dell'Occidente, che segue gli Stati Uniti in questa incredibile avventura di neoprotettorato in una zona molto importante dell'Asia. Affermo ciò per sottolineare che non possono essere soddisfacenti risposte che pongono l'accento solo su un aspetto, come ha fatto il sottosegretario. Vorrei rilevare anche un altro aspetto. L'appoggio sul piano umanitario non può essere disgiunto dall'appoggio sul piano politico e culturale, della trasmissione dell'informazione e della formazione di un'opinione pubblica democratica che guardi con interesse, non meramente umanitario, a ciò che avviene in Afghanistan, ossia al grande sforzo che una parte della società femminile afgana sta compiendo per far uscire dalla minorità giuridica, culturale e simbolica, le donne del proprio paese. Credo che lo sforzo di costruire un punto di vista occidentale e del nostro paese, per capire quale grande partita di umanità, di esperienza umana femminile, di soggettività, di autoemancipazione e autoliberazione (quindi, di emancipazione e liberazione per l'intera società afgana) si stia giocando in quella zona, lo sforzo di costruire questo punto di vista, attraverso l'informazione, l'attenzione, la comunicazione, varrebbe molto più (o, perlomeno, sarebbe di pari valore) dell'impegno finanziario. Si tratta, dunque, dello sforzo di sensibilizzare un'opinione pubblica attenta ai processi, perché altrimenti si elargiscono soldi e si tiene tranquilla la coscienza. Credo che far conoscere la vicenda che ha visto coinvolta la signor Sima Samar - ex ministra della condizione femminile, fortemente messa sotto accusa dai fondamentalisti del suo paese, accusata di essere la Salman Rushdie afgana, di essere blasfema e traditrice - e costruire un punto di vista democratico, di solidarietà, facendo conoscere la soggettività, l'iniziativa politica e culturale, l'impegno grande di civilizzazione e di costruzione di una civiltà più sopportabile tra donne e uomini (ciò che le donne hanno fatto in tutti i paesi e continuano a fare), sia molto importante. Ciò rappresenterebbe un contributo che questo nostro paese potrebbe dare, anche partendo dalle grandi risorse che le donne italiane hanno mostrato di possedere su questo terreno; potrebbe costruire un ponte di solidarietà con le donne afgane molto più potente, dal punto di vista della trasformazione dei processi di democratizzazione e pacificazione di quel paese (o, perlomeno, ugualmente potente), rispetto a quanto possono fare i contributi finanziari, rispetto ai quali non ho motivo di dubitare: è l'unico punto, su cui, forse, posso dichiarami soddisfatta. (Sezione 5 - Iniziative per la valorizzazione del contributo delle donne afghane alla ricostruzione del proprio paese) I sottoscritti chiedono di interpellare i Ministri degli affari esteri e per le pari opportunità, per sapere - premesso che: le donne afgane elette nella Loya Jirga sono circa 200 su 1551 delegati, appena il 13 per cento; alcune di queste donne si sono fatte strada nel mondo politico con estremo sacrificio, riuscendo, alle elezioni, a battere colleghi potenti e famosi; queste donne, come da loro stesse denunciato, incontrano notevole difficoltà a superare, in seno all'assemblea, l'ostilità e il maschilismo dei colleghi uomini, tanto che sono sempre di più costrette a rivendicare il loro diritto alla parola; come riportato da un lancio Agi/Reuters del 12 giugno 2002, una delle delegate che rappresentano diversi milioni di donne afgane ha protestato in assemblea gridando: «Quando ci alziamo e cerchiamo di intervenire, gli altri delegati cominciano a urlare e ci dicono di restare sedute. Dicono sempre che non è il momento giusto, ma anche noi siamo parte di questo Paese»; le delegate si stanno battendo per un Afghanistan democratico, rivendicando il diritto di scegliere contro chi vorrebbe ridurre la Loya Jirga a un'assemblea per ratificare decisioni prese altrove; il loro esempio è da stimolo per tutte le altre donne del Paese, affinché escano dallo stato di terrore psicologico, in cui hanno vissuto per anni sotto il regime talebano, e si sentano libere di sviluppare e affermare la propria personalità; la libertà d'espressione e di opinione e la possibilità di partecipare alla costruzione democratica del proprio Paese sono diritti inalienabili; le donne che si sono liberate del burqa sono appena un venti per cento -: come intenda il Governo valorizzare e promuovere, attraverso una diffusa informazione nel nostro Paese, il contributo che le donne afgane stanno dando alla costruzione della pace e della democrazia in Afghanistan; come intendano appoggiare i progetti di crescita e sviluppo promossi dal Ministry for women's affairs; se e come intendano, in sede internazionale, farsi promotori delle istanze di queste donne, sensibilizzando a una maggiore attenzione al processo di integrazione e partecipazione delle donne afgane alla vita del loro Paese. (2-00389) «Deiana, Giordano, Mantovani, Cima, Titti De Simone». (25 giugno 2002) Forum delle donne di Rifondazione comunista Viale del Policlinico 131 - CAP 00161 - Roma Tel. 06/44182204 Fax 06/44239490
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