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Lotte dei lavoratori, confederali, extraconfederali, e referendum
- Subject: Lotte dei lavoratori, confederali, extraconfederali, e referendum
- From: "comunismo libertario" <comunismolibertario at firenze.net>
- Date: Tue, 9 Jul 2002 16:23:07 +0200
Vi inviamo la presa di posizione di un compagno di Comunismo LIbertario in merito alle vicende dell'articolo 18 ed ai referundum promossi. Lotte dei lavoratori, confederali, extraconfederali, e referendum di Giulio Angeli della redazione di Comunismo Libertario e membro del direttivo CGIL della Camera del Lavoro di Pisa <http://comunismolibertario.firenze.net>http://comunismolibertario.firenze.net Nella conferenza stampa indetta dalla CGIL il giorno 25 giugno us, sono state definite alcune importanti iniziative in materia di diritti, che si vanno a aggiungere a quelle di lotta già intraprese dal maggiore sindacato italiano: il ricorso alla Corte Costituzionale sull'articolo 18, la raccolta di firme per due proposte di legge di iniziativa popolare (una per estendere i diritti dai "padri ai figli", l'altra sugli ammortizzatori sociali), la raccolta di firme per due referendum abrogativi dell'848 e 848 bis, laddove il governo ha traslocato l'art. 18. L'iniziativa "giuridica" della CGIL si va quindi ad aggiungere alle proposte che l'Ulivo sta approntando sulla medesima materia e all'iniziativa referendaria già in atto per l'estensione dell'art 18 alle aziende sotto i 15 dipendenti, portata avanti da un ampio arco di formazioni politiche e sindacali e da molte personalità. Vi è una implicazione di questa variopinta strategia referendaria, implicazione che non esitiamo a definire strategica, e che accomuna le varie anime del sindacalismo entraconfederale, compresi molti compagni anarchici e libertari che in esso militano, con i partiti politici dell'arco costituzionali e con il gruppo dirigente della CGIL e che consiste nell'intento di spostare la lotta dei lavoratori "anche sul terreno istituzionale", contemporaneamente ed oggettivamente diffondendo un identico ed esplicito messaggio di smobilitazione delle lotte. Ciò che si critica, oltre alle differenze dei due schieramenti referendari, differenze non significative sul piano strategico, è la comune volontà interclassista che intende spostare l'iniziativa dal terreno sindacale a quello istituzionale che è e rimane un terreno ingestibile da parte dei lavoratori e da essi distante. In ogni caso nessun assertore dell'iniziativa referendaria ha significativamente sostenuto l'aggregazione del movimento su obiettivi realmente sindacali quali un'ampia e generalizzata vertenza salariale, l'unica in grado di unificare il movimento tutelando i suoi settori più deboli e precari. C'è da dire che, obiettivamente, gli extraconfederali hanno tentato di articolare una tale proposta, ma l'incosistenza strategica della loro linea li ha condotti all'isolamento e a scontare un ruolo non significativo nell'ambito del movimento sindacale, ruolo che non consente di incidere nei rapporti di forza tra capitale e lavoro impedendo, appunto, un'iniziativa di classe efficacemente unitaria. La nostra decisa avversione al ricorso al referendum si basa su di una valutazione politica dei meccanismi istituzionali propri della democrazia borghese, valutazione che ci consente di affermare che la difesa degli interessi dei lavoratori e delle classi subalterne non possono essere deformati dai meccanismi interclassisti delle istituzioni e del parlamentarismo, in base ai quali si chiamano a pronunciarsi, su questioni vitali per i lavoratori, anche i settori più reazionari ed antioperai dello schieramento padronale e della piccola borghesia commerciante, professionistica e imprenditorile, assieme ai settori più qualunquisti dell'intera popolazione nazionale, plasmati e riplasmati dall'informazione di governo. Siamo e restiamo convinti che la democrazia sindacale abbia acquisito contenuti che niente hanno in comune con la democrazia interclassista che sostituisce i rapporti quantitativi alle dinamiche di classe, che si rivolge alla "gente", ai "cittadini" anziché ai soggetti identificabili in base alla loro condizione sociale. Nella storia del nostro paese vi sono state fasi nelle quali il perseguimento di obiettivi "borghesi" ha prodotto benefici per i lavoratori e per le loro condizioni di vita obiettivi referendari che, come il divorzio e l'aborto, hanno consentito oltre al raggiungimento di un maggiore livello di civiltà anche uno sviluppo della coscienza complessiva della classe lavoratrice che iniziava a confrontarsi con problematiche sociali generali e importantissime (quali l'emancipazione della donna), da non rinviarsi alla costruzione rivoluzionaria ma da conquistare subito, anche se solo parzialmente, nell'ambito dei rapporti di classe caratterizzanti la società capitalistica. Il divorzio e l'aborto servivano a tutti: soprattutto alle donne, a tutte le donne. Ma tra di esse sono state proprio quelle appartenenti alle classi sociali meno abbienti a trarre i maggiori vantaggi da queste conquiste di civiltà. Non è lecito trasporre lo strumento referendario in uno scenario completamente diverso, chiedendo a tutti di pronunciarsi su problemi che riguardano solo alcuni. Non è lecito né da un punto di vista sindacale né, tanto meno da un punto di vista di classe perché compito del sindacato e delle avanguardie di classe non è quello di consegnare la difesa degli interessi dei lavoratori agli equilibri politici ed istituzionali, sottraendola così al controllo esclusivo da parte dell'organizzazione sindacale, dei suoi quadri e degli organismi di rappresentanza dei lavoratori e, quindi, dal controllo dei lavoratori medesimi. Assistiamo preoccupati ad alcune manifestazioni disgreganti: non abbiamo mai avuto particolare fiducia nella linea perseguita dalle varie anime del sindacalismo extraconfederale né, simmetricamente, in quella propria dell'attuale gruppo dirigente della CGIL che continua a rivendicare la concertazione. Avevamo, invece, fiducia in alcuni settori della CGIL raccolti attorno a "lavoro e società/cambiare rotta", settori che si erano distinti per l'articolazione di una corretta linea di classe. Questa linea ha subito un primo colpo con l'adesione della FIOM alla strategia referendaria; ha subito un secondo colpo con l'adesione alla medesima strategia da parte di molte componenti dell'area della minoranza interna alla CGIL. Ha subito, infine, un terzo colpo con l'adesione della CGIL alla proposta dei referendum abrogativi. Alla tesi, un poco scontata, secondo la quale i referendum verranno affiancati da iniziative di lotta, è possibile opporre le seguenti considerazioni: il sindacalismo extraconfederale non ha la capacità di condizionare alcunché con le sue inefficaci iniziative di lotta e quindi utilizza i referendum per assumere quell'iniziativa sindacale che la sua impotenza non gli consente di espletare. La CGIL intende dare uno sbocco istituzionale alla lotta, in quanto è consapevole che l'attuale mobilitazione, essendo destinata a crescere e a generalizzarsi, potrebbe anche sfuggirgli di mano. In ogni caso il segnale che i lavoratori percepiscono dagli extraconfederali e dai vertici della CGIL è quello della confusione (5 referendum proposti) e della smobilitazione delle lotte, in una fase di attacco padronale laddove s'impone il perseguimento di obiettivi che, come quelli salariali, sono gli unici in grado di unificare tutti i lavoratori.
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