l'accoglienza dello straniero: una prova d'amore



OMELIA DEL GIORNO 30 GIUGNO 2002

"UNA PROVA DI AMORE"

La Sacra Scrittura ci offre oggi un episodio d'accoglienza che riguarda il grande profeta Eliseo. Eccolo: "Un giorno Eliseo passava per Sunem, ove c'era una donna facoltosa, che 1'invitò con insistenza a tavola. In seguito tutte le volte che passava, si fermava a mangiare da lei. Essa disse al marito: io so che è un uomo di Dio, un santo, colui che passa sempre da noi. Prepariamogli una piccola camera al piano di sopra in muratura, mettiamoci un letto, un tavolo, una sedia e una lampada, sì che, venendo da noi, vi si possa ritirare". Recatosi egli un giorno là, si ritirò nella camera e vi si coricò. Eliseo chiese al suo servo: "Che cosa si può fare per questa donna?" Il servo disse: purtroppo essa non ha figli e suo marito è vecchio". Eliseo disse: "Chiamala!" La chiamò, essa si fermò sulla porta. Allora disse: "L'anno prossimo, in questa stessa stagione, tu terrai in braccio un figlio!" (Libro dei Re: 4,8-16). Noi sappiamo bene o dovremmo sapere che l'accoglienza di cui oggi Gesù parla con insistenza è il tema che agita tante discussioni. C'è una accoglienza tra amici che si fa sempre più rara perché non abbiamo neanche tempo di andare a trovarli, tanto ci siamo chiusi nella penosa stanza dei nostri interessi, che sono riusciti a fare piazza pulita del meraviglioso giardino che invece e avere tempo di coltivare amicizia e stare con loro. E c'è l'ccoglienza dello straniero, ossia di chi non conosciamo, dallo sconosciuto allo straniero, che si fa sempre più difficile, fino a toccare i pericolosi sentieri del razzismo, che non li vuole. A volte non ci si pone neppure la domanda del perché tanti bussano alla nostra porta, alla porta della nostra nazione, indifferenti se sono spinti dalla fame e quindi dalla necessità di trovare ancora uno spiraglio per credere nel cuore dell'uomo e quindi nella vita. Un sondaggio condotto in questi giorni da Eurisko, sugli immigrati, stabilisce che: sono d'accordo con la presenza tra noi perché favoriscono la nostra apertura culturale, il 48% - sono una risorsa per la nostra economia, per il 47,9: ed è già un dato incoraggiante. Nello stesso tempo il 34% ha detto che la loro presenza è una minaccia per la nostra sicurezza: per il 28% sono una minaccia per la nostra occupazione. Per il 25% sono un pericolo per la nostra cultura e religione. Una inchiesta che mostra bene il volto contrastante della nostra gente. Ma per noi Cristiani il discorso prende tutto un altro aspetto. Noi sappiamo che tutti, ma proprio tutti, indipendentemente dalla nazione, razza o religione, sono figli dello stesso Padre. Tutti ma proprio tutti, sono amati da Lui. Tutti in fondo apparteniamo alla stessa famiglia. E se della stessa famiglia, dovremmo conoscere la grande virtù dell'accoglienza. Chi accoglie voi, dice Gesù, accoglie me e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. Chi accoglie un profeta come profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto come giusto avrà la ricompensa del giusto. E chi avrà dato anche un solo bicchiere d'acqua fresca ad uno di questi piccoli, perché è mio discepolo, in verità vi dico, non perderà la sua ricompensa (Mt.10, 37-42) E Gesù non fu accolto, sebbene figlio di Dio, fin dalla nascita, costretto così a trovare rifugio in una povera grotta a Betlemme. Costretto a fuggire in Egitto, quindi, conoscere 1'esperienza dell'emigrato. E nella vita pubblica a volte non veniva accolto nei villaggi dove si recava, fino al totale rigetto, perché si era dichiarato per quello che era "Figlio di Dio" e quindi fu crocifisso. "Per Lui non c'era posto". E' incredibile che 1'uomo non abbia accolto Dio, anzi lo ha voluto morto. E Lui è il solo Amore che dà senso alla vita. E' 1'amico vero che tutti i giorni ci chiama intorno alla mensa della Eucarestia come ad affermare che con Lui., tutti siamo una sola cosa. Non suscita meraviglia quindi che noi possiamo avere sentimenti che nulla hanno a che vedere con quelli di Gesù. Voglio offrirvi una testimonianza che aiuti a riflettere e ci mostri come noi uomini perdiamo facilmente la memoria. Quando ero parroco in Sicilia, negli anni 60 era grande 1'emigrazione dei siciliani verso terre che potessero offrire motivi di serenità con il lavoro. Ogni famiglia era come dimezzata. Ritenni mio dovere di pastore, visitare i nostri emigrati in Germania, in Svizzera. Erano un esempio di laboriosità. La loro vita si svolgeva in baracche o in mansarde, cercando di spendere il meno possibile. La loro preoccupazione era quella di risparmiare tanto e quindi inviare in famiglia il guadagno per rimettere in sesto la casa, e soprattutto assicurare il pane ai propri cari. Non interessavano diritti o altro. Interessava fare in fretta per tornare in famiglia che era il bene più grande. Erano accolti perché necessari alle fabbriche ma rifiutati come uomini, e quindi sottoposti a umiliazioni e segregazione: tanto da essere considerati "necessari intrusi". Venivano chiamati con disprezzo "zingari". Ed in città, volendo con loro visitare un giardino pubblico fummo accolti con un avviso che diceva: "Vietato ai cani e agli italiani". Era duro per me sopportare non tanto la durezza del convivere nella povertà, quanto vedermi con loro accomunato al disprezzo...mentre potevo benissimo impartire lezioni di civiltà, perché proprio in nulla avevo da sentirmi inferiore. E non era certamente un demerito essere italiano, anzi un grande orgoglio per civiltà, cultura e religione. Un anno volli visitare i nostri negli Stati Uniti, a Brooklyn, e la storia della loro immigrazione avvenuta all'inizio del secolo scorso, era la stessa storia di quanti ora arrivano da noi sulle nostre coste. Dovevano pagare una somma alla mafia che li sistemava su autentiche carrette di mare poi abbandonarli a se stessi. E fu il genio degli italiani a farsi strada nel tempo. Così avvenne in Venezuela. Basterebbe interrogare tanti nostri emigrati e conosceremmo le umiliazioni. Quello che succede ora con quanti vengono da noi, pare ripeta la stessa storia di mortificazione...che noi abbiamo ricevuto. Quando dalla esperienza avuta, dovremmo avere altri sentimenti più buoni. Io del resto posso considerarmi un emigrato nella nostra Italia. Nato in Brianza, 1'obbedienza prima mi ha mandato come parroco a S. Ninfa (TP), dove si era creata una situazione difficile per tante ragioni, a cominciare dal comportamento de1 Clero. Dopo 20 anni sono stato chiamato da Paolo VI a essere Vescovo di Acerra in una situazione altrettanto difficile. Tutti sappiamo come siano diversi i caratteri e le culture nelle diverse regioni del nostro Paese. Ma è bastato andarci con la sola ricchezza della carità, che vede Dio in tutti, e tutti diventano meravigliosi fratelli. Non posso non testimoniare che, come ho dato tutto me stesso così sono stato amato in modo incredibile ovunque. E' difficile anche solo tentare di descrivere come Sicilia e Campania siano diventate meravigliosa parte del cuore e della vita in me e in loro. Ho solo da ringraziare tutti. Penso anche i nostri Missionari, sacerdoti, suore, laici che sono tra gente ed etnie diversissime. Ma sono la testimonianza più bella che, nel cuore quando c'è Dio, ogni uomo è un prezioso fratello, che fa davvero innamorare, al punto che i missionari preferiscono la missione alla loro patria. E quando li senti parlare, parlano con la passione di gente che si trova bene dove è...arrivando a trovarsi male tra di noi per i nostri egoismi. Davvero 1'umanità è, se amata, una sinfonia di popoli?Come a rendere vere le parole di Gesù: "Chi accoglie voi, accoglie me e chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato".

Antonio Riboldi - Vescovo

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Acerra, 27 Giugno 2002