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Retata colf a Trento - ricorsi accolti - testo provvedimento
- Subject: Retata colf a Trento - ricorsi accolti - testo provvedimento
- From: Atas Onlus Trento <atasinfo at tin.it>
- Date: Wed, 24 Apr 2002 21:38:00 +0200
In seguito alla mobilitazione per la "retata" di collaboratrici familiari regolarizzabili dello scorso 25 marzo, comunichiamo che il Tribunale Civile di Trento ha accolto il ricorso collettivo (5 ricorrenti - provvedimento notificato il 22.4.2002) promosso dalle associazioni firmatarie del comunicato unificato del 28 marzo scorso (v. allegato), presentato attraverso il nostro Servizio di Consulenza Legale e l'avvocato Ottorino Bressanini, che ringraziamo. Alleghiamo il testo della decisione e ringraziamo tutti quanti hanno dato il loro sostegno a questa azione da più parti, facendo sentire viva la coscienza sociale in Trentino. In questo provvedimento il giudice ha annullato l'espulsione di tre delle cinque ricorrenti e diminuito da cinque a tre anni il divieto di reingresso in Italia per le altre due. Queste ultime infatti risultano essere entrate in Italia da alcune settimane e le loro posizioni non sono state ritenute regolarizzabili con il proposto provvedimento di sanatoria in corso di approvazione al Parlamento. Notiamo che non è stato necessario documentare la loro posizione lavorativa delle ricorrenti, così non esponendo alla sanzione penale i loro datori di lavoro e non perdendo l'offerta di lavoro che potrebbe sanare la loro posizione. Queste, in sintesi, le motivazioni: 1. interpretazione della legge alla luce dell'articolo 2 della Costituzione: le esigenze di presidio delle frontiere e di ordinata regolamentazione del flusso migratorio possono cedere alle istanze di solidarietà politica, economica e sociale sottese alla situazione di positivo inserimento sociale e lavorativo, nonché di assenza di condotte che violano l'ordine pubblico. L'espulsione non può perciò essere automaticamente applicata in caso di mancanza del permesso di soggiorno; 2. è in fase avanzata l'iter di approvazione di un disegno di legge volto proprio a regolarizzare le posizioni di lavoratori stranieri che svolgono lavoro domestico, come nel caso delle ricorrenti, purché presenti in Italia d aprima del 1° gennaio 2002. Sarebbe diseconomico e irragionevole costringere le straniere all'abbandono del territorio italiano in presenza delle circostanze sanabili; 3. alle stesse conclusioni non si può giungere per le due ricorrenti che risultano essere entrate da poche settimane in Italia, non potendosi ritenere che vi sia uno stabile inserimento socio-lavorativo sanabile da tutelare. Peraltro si ritiene congruo ridurre da 5 a 3 anni il periodo di divieto al reingresso in Italia conseguente all'espulsione. Suggeriamo di chiedere al Questore di Trento o al Commissario del Governo di revocare i decreti di espulsione emessi nelle stesse sircostanze, qualora non siano stati annullati con ricorso temestivo al Tribunale Civile. Cordiali saluti e buon lavoro, Rita Bonzanin Direzione A.T.A.S. O.n.l.u.s. via C. Madruzzo, 21 38100 TRENTO tel. +39 0461 263330 fax +39 0461 263346 atasinfo at tin.it ------------------------------------------------------------ servizi di informazione e accoglienza per cittadini stranieri immigrati in provincia di Trento, in convenzione con la Provincia Autonoma di Trento, ai sensi dell'art. 17 della legge provinciale 2 maggio 1990, n. 13. ------------------------------------------------------------------------------ C.C. 515/02/P Cron. 668/02 TRIBUNALE DI TRENTO P- V-,nata --- nella Repubblica di Moldova; C- T- ,nata a ----(Repubblica Moldova)il -----;S- S-, nata in Ucraina il ---------; N- O-, nata in Ucraina il ----- e B- O-, nata in Ucraina il ---- proponevano ricorso cumulativo avverso il decreto del 25.3.2002 con cui il Questore di Trento le espelleva dallo Stato Italiano perché irregolarmente presenti sul territorio nazionale in quanto prive del prescritto visto di ingresso e di autorizzazione al soggiorno (S- S-, C- T- e P- V-),in quanto priva di documenti di identificazione e di autorizzazione al soggiorno e non in grado di dare contezza di sé(B- O-)e in quanto, entrata nello spazio di Schengen nel febbraio 2002 con visto rilasciato dall'ambasciata austriaca a Kiev e valido lino al 27.2.2002,non richiedeva il permesso di soggiorno entro i prescritti otto giorni lavorativi e alla scadenza del visto non lasciava il territorio italiano(N- O-). Raccontavano le ricorrenti di essere entrate nel territorio nazionale con regolare visto di ingresso, così come si poteva ricavare dalla lettura dei loro passaporti, nella prospettiva di un regolare inserimento nel mondo del lavoro. In effetti, avevano svolto attività di assistenza a cittadini italiani anziani e disabili, sia pure con rapporti di lavoro non formalizzato. Eccepivano l'automaticità dei decreti di espulsione, non preceduti dalla motivata valutazione circa la ritenuta prevalenza del diritto alla regolamentazione del flusso migratorio su quello, di cui la legge sull'immigrazione pure si fa carico, della solidarietà economica e sociale. Chiedevano l'annullamento degli impugnati decreti di espulsione e, ìn subordine, la sospensione della loro esecutorietà e, in ulteriore subordine, della riduzione della durata del periodo di divieto di ingresso sul territorio italiano. All'udienza camerale, in cui erano presenti funzionari della Questura, il difensore delle ricorrenti insisteva per l'accoglimento de ricorso e delle istanze subordinate. A scioglimento della riserva, si osserva quanto segue. La giurisprudenza prevalente è nel senso che l'esegesi costituzionalmente orientata della normativa sulla disciplina dell'immigrazione evidenzia le istanze di solidarietà che il legislatore del 1998 ha manifestamente inteso privilegiare, in aderenza alle indicazioni precettive dell'art 2 della Costituzione. Istanze, queste ultime, che possono naturalmente cedere alle contrapposte esigenze di presidio delle frontiere e di ordinata regolamentazione del flusso migratorio; ma solamente quando quest'ultime abbiano ragioni di porsi e di imporsi. La qualcosa non pare prospettabile nel caso in questione, in cui la ricorrente B- O- è presente in Italia quanto meno dal 16.0.2000, C- T- è presente in Italia quantomeno dal 15.7.2001 e P- V- è presente in Italia quantomeno dal 14.08.2001 (così come risulta dal visto Schengen apposto sul loro passaporto), legate da rapporti di lavoro subordinato per il servizio di assistenza domiciliare, sia pure necessariamente non formalizzato. Sul punto va osservato che le straniere non hanno indicato i loro datori di lavoro ma, in ragione del fatto che la legge sanziona penalmente colui che assume alle proprie dipendenze il lavoratore straniero privo di permesso di soggiorno, è ragionevole ritenere che si sia trattato di un'omissione dettata dall'impulso di non pregiudicare tale posizioni soggettive. Si versa, insomma, in un caso in cui le esigenze pubblicistiche di regolamentazione del flusso migratorio debbono all'evidenza cedere a fronte di quelle solidaristiche volute dal legislatore in favore dello straniero. Più propriamente, il principio di diritto è nel senso che l'espulsione delle straniere non poteva esser automatica, ma doveva conseguire solo all'avvenuta comparazione tra la necessità della tutela del flusso migratorio e le istanze di tutela del loro diritto a non essere allontanate dallo Stato ospitante. E' evidente, peraltro, che tale eventuale motivato provvedimento avrebbe finito per essere in contrasto insanabile - sotto il profilo della contraddittorietà - con la storia personale delle ricorrenti, presenti in Italia da un considerevole lasso di tempo e fattivamente impegnate in un'attività lavorativa idonea a sostenerla. A parere del giudicante non è condivisibile l'orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione, secondo cui "il decreto di espulsione dello straniero che non sia in possesso del permesso di soggiorno o non ne abbia chiesto il rinnovo è atto vincolato ai sensi dell'art. 13, secondo comma, del D. Lvo nr 286/1998, mentre le valutazioni relative all'ordine pubblico, alla integrazione sociale e alle possibilità di lavoro dello straniero attengono al procedimento di concessione o rinnovo del permesso, il cui controllo è demandato esclusivamente al giudice amministrativo, dinanzi al quale sia stato impugnato il diniego (Cass. 5/12/2001 nr 15414). L'art 13 del Dlvo l998/286, infatti, stabilisce che avverso il decreto di espulsione può essere presentato ricorso al Tribunale, senza che vengano in nessun modo circoscritti o limitati i motivi a sostegno di tale gravame. Aggiungasi che la giurisdizione ordinaria è, per definizione, la giurisdizione dei diritti e non solamente degli interessi legittimi, cosicchè lo straniero espulso può far valere, in sede di opposizione al decreto di espulsione, oltre che ragioni di stretta censura dell'atto amministrativo in quanto tale, anche pretese fondative del suo sostanziale e non affievolito diritto a non essere allontanato dal territorio italiano pur in difetto del mai richiesto permesso di soggiorno. Tra queste pretese giudizialmente azionabili possono rientrare certamente il lavoro svolto pregressamente sia pure all interno di un quadro fattuale e preternormativo, l'inserimento sociale già perfezionatosi, la durata della permanenza sul territorio italiano, l'assenza di condotte violatrici dell'ordine pubblico e della sicurezza dei cittadini italiani, ecc. La ritenuta automaticità della risposta espulsiva nei confronti dello straniero privo di permesso di soggiorno, che non tenga conto di queste istanze neppure al limitato fine di motivatamente disattenderle così come in sede di opposizione all'atto amministrativo l'opinata limitazione delle censure ad aspetti afferenti solamente all'esistenza o meno ditale permesso di soggiorno, oltre che violare l'art 2 della Costituzione e le sue istanze di solidarietà politica, economica e sociale, finirebbe con il violare anche il diritto a vedere tutelate, in modo congruo ed esaustivo, davanti all'organo giurisdizionale ordinario al quale per legge si deve ricorrere, le ragioni che si ritengano essere a fondamento della pretesa di rimanere sul territorio nazionale. La cognizione del giudizio, specularmente, non può che estendersi a tutti gli aspetti sostanziali che possano far ritenere consolidato il diritto delle opponenti al decreto di espulsione alla permanenza sul territorio italiano. Non può non aggiungersi che è in fase avanzata un disegno di legge in materia di immigrazione che prevede la regolarizzazione del lavoro irregolare degli stranieri occupati in lavori di assistenza familiare e presenti in Italia prima del 1° gennaio 2002. Poiché le ricorrenti rientrano astrattamente in tale procedura regolarizzativa, ancor più ingiustificato appaiono i decreti di espulsione emessi nei loro confronti che, nel pregiudicarle irreparabilmente in tale legittima aspettativa, opererebbero un irragionevole ed ingiustificato trattamento in favore(art 3 Cost) di chi, pur presente irregolarmente sul territorio italiano e per le più svariate ragioni non colto da decreto di espulsione, sarebbe in grado di regolarizzare la propria posizione lavorativa e di residenza. Da ultimo, sarebbe diseconomico, sul piano della congruità ed adeguatezza dell'interpretazione della norma, costringere le straniere all'abbandono del territorio italiano in presenza di presupposti che, già allo stato dei fatti, consentirebbero loro l'instaurazione formale di un contratto di lavoro. Sotto il profilo della necessità di non pregiudicare, nelle more dell'approvazione della normativa sulla sanatoria in materia di lavori di assistenza familiare, in modo irreparabile il diritto delle ricorrenti ad ottenere la regolarizzazione dei loro rapporti di lavoro in corso, si imporrebbe comunque la sospensiva dei decreti impugnati, la norma di cui all'art 700 cpc essendo di carattere generale. Alle conclusioni di cui sopra non si può giungere per quanto concerne le posizioni di N-O- e S- S-, presenti sul territorio italiano, rispettivamente, al più presto dal 27 febbraio 2002 e dal 15 marzo 2002 e, al più tardi, dal 17.2.2002 e dal 15.2.2002. E' evidente, che dato il brevissimo lasso di tempo a decorrere dal quale esse dimorano in ltalia, non è dato presumere un loro stabile - sia pure non formalizzato - inserimento lavorativo. Aggiungasi che la sanatoria legislativa non si applicherebbe nei loro confronti cosìcchè, anche sotto questo aspetto, non vi è ragione di tutelarne la permanenza sul territorio italiano. PQM Definitivamente pronunciando sul ricorso avanzato da P- V-, C- T-, S-S-, N- O- e B- O- avverso il decreto di espulsione del Questore di Trento Accoglie Il ricorso di P- V-, C- T- e B- O-. Respinge il ricorso presentato da S- S- e N- O-. Riduce nei loro confronti a tre anni il divieto di fare ritorno sul territorio nazionale. Si notifichi alle interessate e si comunichi alla Questura. Tn 17 aprile 2002 Il Giudice Corrado Pascucci ------------------------------------------------------------------------------ - A.C.L.I. del Trentino - A.N.O.L.F. del Trentino - A.T.A.S. O.n.l.u.s. - CARITAS DIOCESANA - CENTRO INTERCULTURALE DELLE DONNE UJAMAÀ - C.G.I.L. del Trentino - Coordinamento Lavoratori Immigrati - C.I.S.L. del Trentino - COMUNITÀ ISLAMICA DEL TRENTINO-ALTO ADIGE - COOPERATIVA PUNTO D'INCONTRO - FONDAZIONE MIGRANTES RETATA DI COLF STRANIERE A TRENTO - ASPETTANDO LA SANATORIAŠ Trento, 28.03.2002 COMUNICATO Le associazioni suddette esprimono perplessità e sconcerto per gli interventi di questi giorni dell'Autorità di Pubblica Sicurezza volti a espellere dal territorio italiano lavoratrici immigrate e a interdire il loro reingresso per cinque anni (dieci anni, secondo la proposta al voto del Parlamento in questi giorni). Gli scriventi si interrogano in particolare sulle motivazioni che inducono l'Autorità ad adottare provvedimenti con questi effetti proprio nel momento in cui è all'approvazione del Parlamento una legge regolarizzatrice che ha già incontrato il parere favorevole della maggior parte dei rappresentanti politici e di governo. Risulta incomprensibile l'intervento dell'Autorità di Pubblica Sicurezza che contraddice la già espressa volontà del Governo e del Parlamento di regolarizzazione della posizione delle stesse lavoratrici, prevista entro un mese circa. L'espulsione renderà infatti inammissibile la loro istanza di sanatoria, mentre la denuncia dei datori di lavoro porta alla pesante punizione degli stessi che la legge sulla sanatoria vuole invece fare emergere e regolarizzare tra qualche settimana. Ricordiamo che la legge in corso di approvazione intende sanare anche le posizioni dei datori di lavoro, ma solo se le lavoratrici che intendono regolarizzare non siano state espulse o abbiano ottenuto l'annullamento o la revoca del provvedimento di espulsione. Perciò è necessario proporre ricorso, affinché i giudici valutino la ragionevolezza, legittimità e opportunità di questi provvedimenti, entro il termine previsto dalla legge di soli cinque giorni. L'automaticità dell'applicazione dell'espulsione si pone infatti in contrasto con principi di civiltà giuridica già espressi dalle più alte corti, che hanno inteso privilegiare istanze di solidarietà sociale in aderenza all'art. 2 della Costituzione rispetto alle quali possono cedere, nel bilanciamento dei valori in gioco, quelle contrapposte del presidio delle frontiere e dell'ordinata regolamentazione del flusso migratorio (Corte Costituzionale, sent. 13-21.11.1997 n. 353; Consiglio di Stato IV sez., 30.3/20.5.1999; Corte di Cassazione I sez. Civ., sent. 6374/99, v. anche Tribunale di Trento, decreto 04.10.2001 n. 1581/01/C). Nell'ambito di tali protette istanze di solidarietà sociale va certamente ricompresa la positiva valutazione di coloro che, sebbene entrati clandestinamente nel territorio nazionale o qui rimaste dopo la scadenza del permesso di soggiorno temporaneo o del visto, abbiano trovato idonea e positiva collocazione nel mercato del lavoro e nel tessuto della comunità locale. Per di più se si consideri che a) si tratta nella maggior parte di casi di famiglie gravate da necessità di cura ad anziani o malati che non trovano adeguata risposta da parte dei servizi pubblici e b) la legge prevede procedure di assunzione tali da non permettere il preventivo incontro tra domanda e offerta di lavoro, fondamentale soprattutto nei contesti di lavoro domiciliare. Non potendo ottenere in via ordinaria un permesso di soggiorno lo/a straniero/a che, arrivata in Italia con visto turistico, trovi un impiego, questa possibilità è prevista solo tramite leggi eccezionali di sanatoria.
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