A Muyesser Gunes, kurda, ambasciatrice di pace e dig nità in Italia, con rabbia infinita




A TUTTE E TUTTI COLORO CHE L'HANNO CONOSCIUTA
E A COLORO CHE QUESTE RIGHE POTREBBERO FORSE AIUTARE A CONOSCERLA...

Oggi con un comunicato l'Ufficio d'informazione del Kurdistan in Italia ha
dato notizia dell'uccisione, sulle montagne kurde, del secondo figlio di
Muyesser Gunes, presidente della "Iniziativa della Madri per la Pace" in
Turchia, che aveva già perso un figlio nella guerriglia.

Il primo era stato ucciso combattendo.
Il secondo, invece, è stato massacrato nell'imboscata tesa il 22 maggio,
presso Bingol, a un gruppo di combattenti attestati sulle montagne in
posizione puramente difensiva, come ha deciso da due anni il loro partito e
il suo presidente prigioniero.
E' stato ucciso probabilmente con armi chimiche, insieme ai suoi compagni e
compagne, nella grotta in cui erano stati sorpresi grazie a due informatori
e dove erano stati prima torturati. Questo risulta dalle denunce delle
famiglie, alle quali i corpi martoriati, gettati in una fossa comune, non
sono stati mostrati se non in fotografia.

Muyesser è stata recentemente in Italia, per un lungo giro d'iniziative e
incontri per la pace. Teneva a incontrare soprattutto le donne italiane, e
il momento più bello e toccante è stato il suo intervento a Genova
all'assemblea delle donne contro il G8.

L'ultimo giorno in cui si trovava fra noi, venni a sapere della morte del
suo secondo figlio.
Lei ancora non lo sapeva, e giustamente, credo, non ne fu informata:
dovevano essere i suoi compagni e compagne a darle la terribile notizia, al
suo ritorno in Turchia.
Per me fu però agghiacciante guardarla e sentirla parlare di pace, e sapere
che la guerra l'aveva toccata ancora.
Quella sera, piangendo di rabbia e di dolore, scrissi per lei questo testo,
che solo ora può circolare e che le dedico.

Ci associamo, come rete associativa di Azad, alla proposta della Uiki che
tante donne italiane la vadano a trovare in Turchia.
Per chi voglia dedicarle o indirizzarle un testo, un saluto, un messaggio,
il fax (06.57305132) e la mail di Azad (ass.azad at libero.it) è a
disposizione.

§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§

Muyesser ora certo ha gli occhi chiusi.
Di tanto in tanto
si perdevano nel vuoto stasera
nel suo volto stanco.
Forse non dorme
    e non perchè il letto è straniero.
Forse dorme
    le sue mani si contraggono convulse
    un grido le si strozza nella gola.
"Da quel giorno non dormo senza incubi" ha detto.
Incubi ricorrenti ogni notte
per mesi per anni
ogni notte
da quando le dissero che suo figlio era morto.
Un messaggio secco
    come una sentenza,
un foglietto tagliente
    come lama d'acciaio:
"ucciso in uno scontro fra soldati e terroristi".

Era bello il maggiore dei suoi figli, diceva
    (nei suoi occhi brillavano lacrime)
alto più di due metri
forte come un gigante.
    "Non hai forse la coda?
    Mostra la coda, kurdo!
    Che lingua parli, bestia?"
Fuggì via dalla scuola del villaggio
ma in città i Lupi grigi lo attendevano.
    "Prendilo, è kurdo!
    Schiaccia quella serpe!"
Finchè un giorno a vent'anni
    (bello era e forte
    forte come un gigante)
si volse indietro per l'ultimo sorriso
sul sentiero che porta alla montagna.

Muyesser forse ora sogna quel sorriso
ma le sue mani si serrano a sangue
su un foglietto tagliente
    come lama d'acciaio.
Forse sogna i soldati,
da quel giorno tornarono ogni sera:
    "ancora qui? portateli in caserma
    capiranno che devono sloggiare,
    questo nido di vipere va chiuso!
    tu vecchio, non sei kurdo
    secondo me sei armeno
    ora vedremo, togliti i pantaloni
    verifichiamo se sei circonciso...
    i tuoi nipoti, figli di cani,
    fratelli di quel cane sovversivo,
    vieni a cercarli domani in prigione!"

"Parla di te" le chiesero le compagne italiane...
    non era certo facile
come si può spiegare
l'arroganza il potere
e come raccontare la tortura
la fierezza il dolore
la fatica di vivere ogni giorno
l'orecchio teso a ogni passo nella sera
quell'urlo che saliva fino al cielo
il giorno che bruciarono le stalle e gli animali...
    con che parole dire
l'ultimo sguardo alla casa di pietra
quella carezza ai tronchi dei pistacchi
visti nascere e crescere coi figli
l'ultimo addio dalla sponda di un camion
in quell'alba liquida e gelida
    l'ultima alba sui monti di Siìrt
una svolta
un singhiozzo
e già il camion precipita verso la metropoli...

    Come si può spiegare tutto questo con parole?
    guardatemi negli occhi
    leggete nei miei occhi
    guardatemi e saprete,
    dicevano i suoi occhi fieri e stanchi.

"E' bella Istanbul ma è troppo grande
due ore d'auto per attraversarla tutta
ti ci perdi
    e quell'aria pesante di fumi...
Sarebbe bella Istanbul
se solo si potesse respirare
se le case non fossero topaie".

Ha quasi cinquant'anni Muyesser
    (così dice l'anagrafe, sorride)
ha cresciuto sei figli, e uno è morto
    ed un altro è disperso
    forse ad Istanbul
    forse anche lui in montagna
ma gli anni più pesanti sono questi sei anni
nella metropoli dove non sei nessuno
e non respiri se non fumi e scarichi
e non ci sono alberi di pistacchio
    e all'alba non c'è gallo
    nè risveglio di uccelli
    ma solo strida tristi di gabbiani dal Bosforo...
Sola, con il marito che lavora a giornata
    se e quando c'è lavoro
e cozze, tante cozze da riempire di riso
perchè i figli le vendano insieme ai fazzoletti
per pagare l'affitto di quella topaia
    nel quartiere di Gazi
    quartiere sovversivo di kurdi ed alawiti
    quartiere che conobbe il rombo dei blindati
    e la loro mitraglia.

Come si può spiegare
la fatica di vivere ogni giorno?
Ed un giorno è sparito l'altro figlio
stanco di vendere cozze e fazzoletti
stanco d'insulti e miseria e paura
    se n'è andato
forse è ad Istanbul forse in prigione
    o forse vaga libero
    coi suoi compagni
    sulle sue montagne...

Sa parlare due lingue Muyesser
ma preferisce il kurdo
lingua dolce che sa di rugiada e pistacchio
e fu bello sentirlo parlare
quando entrò nella sede dell'Hadèp.
Poter parlare il kurdo
e parlarlo fra donne:
    "di che villaggio sei?"
    "tuo marito è in prigione? ogni quanto lo vedi?"
    "lo so cosa vuol dire
    ho anch'io un figlio e una figlia in montagna"
    "di questi tempi già mietevamo il grano..."
e scoprire il rispetto degli uomini alle donne
di compagni a compagne:
    "hevàl, gradisci un tè?"
    "ritorna quando vuoi, qui di te c'è bisogno"
    "sai chi è Leyla Zana?
    le donne come te sono la nostra forza..."

Forse ora nel sonno sorride Muyesser
risente il fumo caldo odoroso di tè
e scorre la sua vita
    come un album di foto
    come un film
    di cui si scopre regista ed attrice
dalla sua tana nella metropoli
alle compagne dell'Hadèp di Gazi
fino allo sciopero della fame
    Ocalan in Italia
    la grande speranza
    e bastoni levati a colpirla
la marcia delle donne fino ad Ankara
i sit-in per gli scomparsi nella piazza di Taksìm
    ancora quei bastoni
e le donne sorelle davanti alle prigioni
le lunghe discussioni sulla scelta di pace
    (ce l'aveva già dentro, la scelta della pace,
    fin da quando sentiva nella sua stessa carne
    il dolore delle madri dei soldati,
    soldati turchi uccisi...
    nemici?
    può essere nemico il pianto di una madre?)

Le venne naturale:
organizzarsi insieme
le Madri kurde e turche
insieme per la pace
contro la guerra sporca!

Sorride Muyesser nel suo letto straniero
    piccola grande donna
    di villaggio e metropoli
    ed ora ambasciatrice
due settimane da Napoli a Trieste
il velo bianco che vuol dire pace
decine d'assemblee
centinaia di occhi amici
a Genova l'abbraccio lungo e forte delle donne
e la magia notturna di Venezia
e gl'incontri con sindaci e assessori
e le fotografie sullo sfondo dei Fori
da mostrare domani alle compagne kurde...

Ti sia leggero e dolce il sonno, Muyesser.
Perchè domani le tue compagne
t'abbracceranno forte piangendo
all'aeroporto d'Istanbul
e prima ancora di leggere quel foglio
    lo riconoscerai
sentirai la sua lama entrarti nelle viscere
    e saprai
    guardandole negli occhi
che mentre in Italia parlavi di pace
t'hanno ammazzato il tuo secondo figlio...

.............................................
D.F. - Roma, 17 giugno 2001