Le
relazioni presentate al convegno Simulazione & Dissimulazione
tenutosi ad Aversa e nell’opg a fine novembre del 2000 sono la
maggior parte del contenuto di questo numero di InterAzioni.
E rappresentano una sintesi del concetto su cui si basa il
senso stesso della pubblicazione: la possibilità di selezionare e
raffrontare argomenti di interesse psichiatrico forense con
interpretazioni rese possibili da altre letture collegate
all’argomento stesso. Letture psichiatriche in senso clinico quindi,
ma anche medico legali o giuridiche, raffrontate con interpretazioni
sociologiche e filosofiche, seguendo un cammino che rappresenta il
cammino stesso dell’istituzione opg oggi; muovendosi nella direzione
in cui porsi
argomenti che tendano a chiarire ed a definire l’identità,
rappresenta una delle possibili realizzazioni del desiderio profondo
che muove il lavoro degli operatori, perennemente alla ricerca di
strade che conducano al superamento della istituzione opg come
attualmente esiste nella sua forma normativa e nella prassi.
Argomento che, come ripetiamo da tempo, trova tutti d’accordo nella
necessità dell’attuazione, ma che, forse proprio per questo, rende
difficile la realizzazione di quanto preposto. Una sorta di
reingegnerizzazione della struttura passa dunque anche attraverso
processi di rivisitazione e scelta dell’interpretazione, resa
possibile dall’ascolto dell’interpretazione di altri; ed in questo
senso il convegno i cui atti vengono pubblicati aveva ricevuto
spinta iniziale da una definizione letta, che intendeva la
simulazione come un comportamento che è teso a negare i fatti e ad
affermare i desideri.
Le suggestioni prodotte da tale
interpretazione in chi legge la simulazione e la dissimulazione con
gli occhi di psichiatra od ancora di più di psichiatra forense, non
sono diverse per intensità da chi legge da magistrato, o ancora da
legislatore, o da filosofo, trovandoci in campi che comprendono,
nelle proprie conoscenze e competenze, gli argomenti in questione.
Ma se il simulare (o il suo contrario) può essere un reato, una
finzione o magari un sintomo, e non necessariamente deve essere
azione disonesta, esso
può presentare segni di riconoscimento che possono
individuare un comportamento, una scelta, un errore ed a volte un
delitto. Ed il riconoscerli è argomento di studio, raffinato,
complesso, molto spesso insidioso, anche per l’empiricità frequente
delle letture, che analizzano il passaggio dallo stantìo vorrei ma non posso al posso e voglio farlo,
portato anche fino all’eccesso ed alla perdita di controllo cui può
arrivare chi simula o dissimula comunque la propria malattia o, più
in generale, la propria condizione. Intendendola anche come il
proprio stato o il proprio desiderio, consapevolmente consci di
tutti i rischi che tale impostazione propone. Il tutto riferito
all’OPG di Aversa, e di cui InterAzioni è una delle voci, porta una
ulteriore crescita nel processo di trasformazione; dove anche i
convegni vengono vissuti come momenti di riflessione di tutto
l’Istituto, teso, come sempre, alla ricerca di una identità che
segue un tragitto lungo e tortuoso prima della sua identificazione,
utilizzando mezzi che possano chiarire l’essere ed il divenire,
spingendolo verso una modalità consona ai tempi ed alle conoscenze.
Non a caso del resto InterAzioni è la prima, ed al momento unica,
rivista scientifica che viene prodotte e redatta in un opg, e
nell’opg più antico e terrifico d’Italia, il primo tra i primi, con
tutto quello di costruttivo e di orrendo che una connotazione simile
propone. Rivista che per sopravvivere deve affidarsi alla
benevolenza di sensibili sponsor anonimi ed in incognito che
permettono le spese vive esclusivamente, nulla riconoscendo agli
operatori che lavorano alla realizzazione del prodotto. E non
ricevendo inoltre alcuna sovvenzione del ministero di appartenenza
della struttura, a conoscenza dell’esistenza di InterAzioni, ma più
pronto a finanziare giornalini di sindacato o bollettini di
gradevole formato di ricerca. Ciò porta all’impossibilità di
rispettare i tempi di pubblicazione, azione che, pur dimostrando le
difficoltà che la rivista riceve, rappresenta anche la stenica
volontà di produrre materiale di studio; per questo è il terzo
numero pubblicato ed avrebbe dovuto essere il quinto, ma
riconosceremo agli abbonati, pochi per adesso, i diritti che son
loro.
Si leggeranno in questo numero scritti
di Fornari o Bruno o Andreoli o Capozzi, e di altri ancora, che
hanno affrontato l’argomento della simulazione e del suo contrario
con il rigore previsto dal proprio essere scienziati, ma con la
sensibilità individuale del loro essere studiosi. Tanto che ci è sembrato
opportuno pubblicare tra i lavori anche una perizia elaborata da
Jung nel 1904 nei confronti di un mentecatto dalla vita difficile e
ladro di biciclette, che offre la possibilità di una lettura colta e
deliziosa della perizia psichiatrica che con tanto schematico
automatismo oggi viene ad essere scritta. Un altro insegnamento che
non porta ad essere o sentirsi i tenutari della verità, ma che
produce un tragitto di dubbio, fondamentale in qualsiasi processo di
crescita; che significa anche riguadagnare il tempo perduto,
recuperare gli spazi non usati, iniziare le collaborazioni con
l’esterno, come sottoscrivere accordi e protocolli con servizi ed
asl più sensibili, così da dare una continuità terapeutica ad un
individuo che prima ci appare malato e dopo criminale. I risultati
dell’applicazione di tale interpretazione rendono gratificante
l’impegno: le maggiori dimissioni effettuate, un miglior controllo
sulla patologia psichiatrica grave, notevole riduzione degli atti
violenti nei pazienti internati, sono il risultato di interazioni
tra una psichiatria esterna, ancora alla ricerca di pragmatismi
improbabili, e di una psichiatria interna alle strutture
psichiatrico giudiziarie, troppo a lungo ristretta in un significato
di contenzione, fuori tempo e fuori qualsiasi innovazione
scientifica. Ed è dalle interazioni tra due psichiatrie ormai non
più divisibili, con quanto di scienze umane e di espressioni che il
connubio produce e si trascina, che deve crearsi la possibilità di
un superamento dell’opg che non sia soltanto legge da legiferare e
da applicarsi non si sa come. Ma un reale progetto che garantisca
sia la difesa sociale che la dignità del malato, non più
semplicemente internando, ma rilevando modalità terapeutiche che
siano al passo con i tempi e le esigenze; e integrandosi
nell’applicazione di leggi che necessitano delle interazioni per
essere correttamente applicate.
Con simile intenzione, la suggestione
del negare i fatti e affermare i desideri da cui parte lo studio
pubblicato, può, ridicolmente, rappresentare una delle scarse
possibilità a nostra disposizione per affermare il desiderio di
migliorarsi e risolversi. |