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Fw:Lampedusa 6 ottobre



Ricevo e inoltro il resoconto di una "normale giornata di deportazioni"
aLampedusa. Ringrazio che l'ha scritto.
saluti filippo
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questo è il resoconto della giornata dei rimpatri illegali
da Lampedusa verso la Libia.
Alcuni di noi erano lì, hanno visto, hanno filmato, hanno fotografato, hanno
parlato, hanno gridato, hanno sofferto, hanno subìto i carabinieri e i loro
complici. Le televisioni e la stampa di qualsiasi colore (tranne rare
eccezioni su
internet) hanno totalmente ignorato questi fatti gravissimi che si sono
consumati nell'indifferenza totale. Proprio per rompere questo pesante e
colpevole silenzio, il documento che seguirà deve essere inviato e diffuso
il più largamente possibile, ad organi di stampa, televisioni, siti
internet, email, fotocopiato, distribuito ad amici e parenti e a semplici
conoscenti, insomma a tutti, ma proprio tutti, anche a coloro che pensiamo
non siano interessati.



Resoconto della Rete Antirazzista Siciliana


La giornata delle deportazioni: mattina del 6 ottobre 2004-10-06

Siamo in cinque della rete antirazzista siciliana
insieme a Lillo Miccichè, deputato regionale dei
Verdi.
Arriviamo alle nove del mattino a Lampedusa. Il
panorama è surreale: l'isola è militarizzata. Ovunque
jeep militari, polizia, carabinieri. Andiamo
all'aeroporto che è adiacente al Centro di detenzione
per migranti, ma prima passiamo da un bar, dove la
gente parla ancora del concerto di Claudio Baglioni,
come se nulla fosse.
Dalle vetrate dell'aeroporto si vede un pezzo del
cortile del campo dove sono trattenuti i migranti. Il
sole è a picco, fa un caldo estivo. Li vediamo lì
fuori nel cortile (probabilmente perché i capannoni
del campo straripano), ammassati sotto l'unico filo
d'ombra disponibile, attaccati ai muri.
.Ci guardiamo intorno e non c'è nessuno, la RAI è
ripartita con la stessa nave con cui noi siamo
arrivati, e di parlamentari, ovviamente, neanche a
parlarne.
Alle 12 e 20 atterra un cargo militare, solo il primo
dei quattro arrivati nell'arco della giornata.
Alessandra e Ilaria, due di noi, riescono a
raggiungere una terrazza da cui si può vedere tutto il
cortile del campo. Ci sono tre gruppi di uomini, per
ognuno circa 50 persone. Quelli del gruppo più vicino
al cancello vengono fatti mettere in fila contro il
muro. Probabilmente stanno iniziando ad ammanettarli.
Lillo Miccichè aveva chiesto di entrare al campo già
ieri e questa mattina. Gli hanno accordato il permesso
solo per oggi pomeriggio alle 5. Facile capire perché.
Infatti iniziano ad arrivare anche gli altri aerei:
tutti C130 dell'aeronautica militare. Alle 12:45
iniziano gli imbarchi.
Dal centro si viene caricati direttamente sull'aereo,
c'è una distanza di soli 40 metri. Ma il trasporto
degli uomini dal cancello del campo all'aereo ha tutte
le modalità di una deportazione. In fila per due
scortati da uomini in borghese con guanti e
mascherine, da donne sorridenti vestite di azzuro
(operatrici della Misericordia?), carabinieri e
soldati in tuta mimetica,
In fila per due. I polsi legati da corde di plastica, trascinati quasi di
corsa a gruppi di venti. Noi siamo cinque. Solo cinque. Dove sono i
parlamentari? Dove sono coloro i quali avrebbero il dovere di opporsi a
tutto questo? Lillo Miccichè inizia a urlare. Grida che questo è un crimine,
che si stanno violando tutte le leggi nazionali ed internazionali, cerca di
forzare il cordone dei carabinieri per arrivare sulla pista. Ovviamente
viene spintonato e buttato a terra. Urliamo anche noi: vergogna! C'è il
nostro striscione: NO AI LAGER, NO ALLE DEPORTAZIONI. Ilaria parla arabo, e
scrive su un cartello Hurria, libertà in arabo. I carabinieri le intimano di
metterlo via. Non si può comunicare con i deportati, e, addirittura,
scomodano l'interprete arabo della misericordia per accertarsi che sul
cartello non ci siano scritti messaggi sovversivi o insulti. Le nostre voci
sono coperte dal rombo dei motori degli aerei, i deportati non possono
sentirci anche se ci vedono attraverso i vetri. Niente. Non possiamo fare
niente. Ne hanno portati via circa 400, più o meno 100 per aereo. Nessuno
dice per dove. Alle 15 sono tutti partiti. Il centro ora è quasi tornato
alla normalità: "solo" 200 "ospiti". Andiamo via anche noi, cerchiamo di
riprendere fiato, di trovare un modo per sopportare ciò che abbiamo visto.
Dobbiamo attendere le 17, quando finalmente Miccichè potrà accedere al
centro. A un bar incontriamo due poliziotti che si fermano a parlare con
noi. Ci dicono testualmente che ne hanno "stivati" da 65 a 70 per cargo, ma
soprattutto ci dicono che sono stanchi. Sono stremati perché nel pomeriggio
di ieri uno degli "ospiti" del centro ha tentato di impiccarsi e loro hanno
persino dovuto salvargli la vita. Non capiscono il perché di questo gesto,
loro li trattano così bene. gli danno persino l'acqua e le sigarette. Quando
chiediamo loro perché li ammanettano per fare 40 metri, ci rispondono che
basta guardarli in faccia questi clandestini per capire che sono pericolosi
e non hanno rispetto di niente. Quante cose le nostre forze dell'ordine
capiscono dai visi di questi migranti: da dove vengono, se sono o meno dei
rifugiati, se sono buoni o se sono delinquenti, se sono palestinesi,
iracheni o libici. Caspita che bravi. tutto dai tratti somatici. In base a
questo, solo in base a questo sono avvenute le deportazioni di questi
giorni, nell'indifferenza di un paese intero, nella contentezza degli
abitanti di quest' isola in cui persino i bambini ci dicono che i
clandestini devono annegare nelle fogne.


L'ingresso al CPT di Lampedusa. Pomeriggio del 6
Ottobre 2004:


Entrano al Centro di Lampedusa, il Deputato Regionale
dei Verdi Lillo Miccichè, e Ilaria da Palermo
(Laboratorio Zeta) per la Rete Antirazzista Siciliana,
come interprete di lingua araba e inglese. Un doppio
cancello. Il primo li fa accedere, costeggiando la
postazione delle forze di sicurezza, carabinieri e
polizia, al secondo: l'ingresso alla zona del lager
vero e proprio.
Li investe un odore acre di immondizia, circa trenta
sacchi celesti accatastati tra il cancello e uno dei
container che fungono da dormitorio. Sono accompagnati
e accolti da un capitano dei carabinieri, da
carabinieri in tenuta antisommossa leggera, in tuta
anfibi e manganelli, da poliziotti, da qualcuno in
borghese, e dall'interprete di lingua araba del Campo.
Una "scorta" di dieci, a tratti quindici persone.
Vengono subito presentati a tale signor Scalia,
direttore del Campo per la Misericordia di Palermo,
che li colpisce per la situazione grottesca che
incarna: ha indosso una maglietta rosanero del Palermo
"Voliamo in serie A". Si incamminano, fanno i primi
dieci passi tra due container dormitorio, e mentre il
signor Scalia parla loro, incontrano le facce degli
uomini che stanno trattenuti lì dentro, appoggiati
alle pareti gialle di alluminio. Li scrutano, e mentre
li guardano negli occhi, dopo quei primi dieci passi
si accorgono di quell'odore che li accompagnerà per
tutta la loro visita al campo: merda, piscio,
spazzatura. Non possono più guardare le facce e gli
occhi di quegli uomini: l'odore è nauseabondo, e si
concentrano per capire da dove provenga. Vedono rivoli
di liquami che scorrono tra gli spazi che circondano i
quattro container-dormitorio, la mensa e i servizi
igienici: è una fogna a cielo aperto. Il signor Scalia
dice all'onorevole e all'interprete che quei liquami
sono solo acqua, racconta che sei volte al giorno, in
questa situazione di emergenza, hanno fatto spurgare i
pozzi.
Ma quell'acqua puzza. Tutto puzza.
Scalia mostra i tubi per lo spurgo, e un piccolo
corridoio di asfalto pieno di immondizia sparsa per
terra. Inizia poi a parlare di numeri: 1200 "ospiti"
fino a lunedì, che dormivano ovunque: nei container,
nella mensa, nei cortili a cielo aperto. Parla poi
degli imbarchi: oltre quelli imbarcati il 4 ottobre
per la Libia e per Crotone, altri 99, stamattina
presto, per porto Empedocle, e 372 stivati in quattro
c130 dell'aeronautica militare. L'onorevole e
l'interprete svoltano di 180 gradi sull'altro
corridoio di asfalto. Incontrano i servizi igienici.
La porta deve restare aperta. Gente che piscia
all'interno, e loro la vedono. Cominciano a guardare
dentro i container dormitorio, lunghi circa 20 metri e
pieni di due file di letti a castello. Giacigli di
gomma piuma gialla, a volte senza niente sopra, a
volte con piccole coperte di lana. Basta, niente
altro. Il signor Scalia continua a parlare.
L'onorevole gli chiede quale sia la procedura adottata
con i migranti appena arrivati al campo. Scalia
risponde, con voce incerta, quasi a singhiozzi, che
vengono raccolti nome, cognome, nazionalità, data di
nascita e luogo di provenienza. Poi viene loro
chiesto, dopo avergli letto i diritti, se vogliono
fare richiesta di asilo in Italia. L'onorevole e
Ilaria smettono di ascoltare e chiedono di entrare
dentro i container e parlare con gli "ospiti".
Incontrano per primi tre africani neri. L'onorevole si presenta, comunica ai
tre uomini perché si trova lì. Loro si sciolgono in un sorriso nervoso e un
po' timido. Iniziano a rispondere alle domande. Si parla in inglese. Al
campo non esiste un interprete di inglese e i carabinieri non comprendono
questa lingua, quindi la conversazione è tranquilla: solo l'onorevole,
Ilaria e i tre uomini. Sono nigeriani e stanno male. Non si sono potuti
lavare, sono arrivati malati. Sono spaventati. Con loro, il 3 ottobre, erano
arrivati anche due bambini con loro padre, ma lunedì li hanno portati via,
non sanno dove. Ilaria gli chiede se gli è stata comunicata la possibilità
di chiedere asilo politico. Rispondono di no, e che non hanno neppure avuto
l'opportunità di chiederlo loro stessi. Dichiarano di volere fare la
richiesta. Ilaria la scrive in italiano, loro in inglese. Queste tre
richieste di asilo sono già state inviate via fax agli uffici dell'ACNUR, a
Roma. Miccichè e Ilaria si rivolgono poi a un gruppo di 15 uomini che
parlano in arabo. Vengono dalla Tunisia, dal Marocco, c'è un uomo di 70 anni
che viene dalla Palestina. L'interprete di arabo della Misericordia che
gestisce il centro è lì con loro. I due delegati si accorgono subito che la
conversazione che stanno per affrontare sarà diversa dalla precedente.
Davanti all'interprete i migranti dichiarano che nel campo va tutto bene,
che tutti sono gentili con loro e che non hanno bisogno di niente. Chiedono
solo di poter lavorare. L'onorevole spiega anche a loro perché è li. Poi si
allontana, insieme alle forze di sicurezza, per visitare il posto di polizia
che dovrebbe raccogliere le identificazioni e le richieste di asilo, ma
scopre che tale ufficio è completamente inutilizzato da mesi.

Nel container rimane Ilaria affiancata dall'interprete
del campo. Spiega ai migranti che quello che sta
accadendo in questi giorni al centro e il centro
stesso sono una palese violazione dei diritti umani,
che gli uomini che escono dal centro vengono spediti
non si sa dove, a volte a Crotone, o ad Agrigento, o
in Libia. Ilaria vede che l'interprete si allontana in
fretta e subito dopo torna con le forze dell'ordine e l'Onorevole, a cui
viene subito intimato dal capitano dei carabinieri di non dichiarare che
alcuni dei migranti sono stati deportati in Libia. In assenza di Ilaria
l'interprete del centro riferisce al capitano che l'attivista della rete ha
detto cose che in realtà non sono mai uscite dalla sua bocca, e infatti poi
le ritratta davanti a lei. Comincia l'operazione "psicosi da rivolta".
Sembra una pratica standard: Il capitano e il direttore del centro iniziano
a gridare insieme agli altri carabinieri e poliziotti invitando l'onorevole
e Ilaria a uscire. "ecco, avete visto cosa avete fatto. Ora uscite.presto
succederà qualcosa". I migranti in realtà sono tranquillissimi. Miccichè non
batte ciglio e chiede di continuare la visita nel campo e invita 4 uomini
trattenuti lì, provenienti da paesi diversi, a parlare con lui fuori dal
primo cancello. Scortati dagli operatori della misericordia, ancora
dall'interprete del campo, e dai carabinieri, l'onorevole riesce a bloccare
l'operazione psicosi. Parla coi 4 uomini e si fa raccontare le loro storie.
Dice loro ciò che farà quando sarà fuori di lì: racconterà quanto siano
difficili le condizioni dei paesi di provenienza di chi è trattenuto al
centro e si batterà perché escano tutti da lì e possano circolare
liberamente in Italia. Una conversazione bella, serena, conclusa in un
applauso. Gli altri migranti, ammassati contro la recinzione applaudono i
loro 4 rappresentanti, salutano, rimangono lì.



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