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Rivoluzionare il sistema penitenziario? Rompere le barriere del preconcetto?



Rivoluzionare il sistema penitenziario? Rompere le
barriere del preconcetto?

di Padre Dario

Sembrano sogni ripetutamente sconfitti dalla realtà di
segregazione che annulla le persone in carcere.
La Carovana della Pace della Famiglia Missionaria
Comboniana è andata invece a scovare un segno di
alternativa, in Brasile. Si chiama APAC (Associação de
Proteção aos Condenados) e il suo stesso nome distacca
le differenze rispetto al nostro sistema punitivo.
Ce lo spiega Valdeci A. Ferreira, avvocato brasiliano,
laureato in diritto e in teologia. Il suo percorso dà
ragione della passione con cui oggi difende le sue
idee: è stato consulente della commissione pastorale
che accomuna i sem terra brasiliani, ha fondato
l’associazione dei raccoglitori di carta per
organizzare il lavoro della gente di strada di
Curitiba (Paranà). Negli stati di Minas Gerais e São
Paulo ha sviluppato progetti di accompagnamento di
bambini in situazione di rischio.
Finalmente a Itaùna (Minas Gerais) ha fondato l’APAC
locale, di cui è attuale presidente. Da quando vive
insieme a “chi si recupera” (li chiamano così i
detenuti, loro) partecipa ad organi consultivi come
quello dell’ONU (Prison Felloship International) o
all’associazione brasiliana Fraternidade Brasileira de
Assistência aos Condenados.
Lo chiamano da varie parti del mondo, perché il
modello alternativo nato in Brasile nel ’72 dà prova
di efficacia: Valdeci è stato in Ecuador, Argentina,
Colombia, Spagna, Germania, Italia, Bulgaria, Olanda,
Sudafrica e Perù.
Nonostante questo, a colpi di minacce e calunnie da
più parti stanno tentando di smontare l’alternativa:
mette in luce troppe contraddizioni del sistema
tradizionale.
“In questa prigione non esiste polizia”: è lo slogan
dell’APAC, il suo punto di partenza. Realmente uno dei
principi cardine è l’autovigilanza e l’auto-aiuto. “Il
recuperando aiuta il recuperando”: un processo di
corresponsabilità che instaura cooperazione al posto
della rivalità violenta o dell’indifferenza reciproca.
“Questo è l’unico carcere al mondo dal quale non ho
avuto voglia di uscire” – ha commentato il fondatore
della Prison Felloship International, Charles Colson. 
Dal punto di vista dei condannati, al contrario, pare
proprio che chi passa dall’APAC non intenda
assolutamente tornarci: l’indice di recidiva è
bassissimo (5%) rispetto a quello impressionante della
media nazionale brasiliana (82%).
Forse non tutti i quadri della Polizia Militare e dei
Tribunali ne sono entusiasti, perché il modello APAC
mette in discussione lo stile tradizionale,
semplificato e violento di detenzione. 
Ma più di cento di questi presidi alternativi sono
ormai sparsi in Brasile e altri già esistono in
America Latina e negli Stati Uniti.
La forza di questo modello sta nella persona e nella
comunità: la partecipazione della comunità locale è
essenziale, soprattutto nelle due tappe successive
all’internazione in “regime chiuso”: il regime
semi-aperto e l’aperto. 
Le persone in recupero escono dal carcere secondo un
piano di progressivo inserimento lavorativo.
Sono curate tutte le forme di rottura del pregiudizio,
lavorando molto sui mezzi di comunicazione sociale e
sui media locali, tentando di interagire con le
comunità presenti sul territorio. L’APAC si articola
fortemente con le comunità cristiane locali, dalla cui
intuizione essa è nata.
Per questo l’esperienza religiosa e la cura della
spiritualità di ciascuno è essenziale per il recupero
della dignità umana. Anche la famiglia del
“recuperando” ha un ruolo decisivo: le relazioni che
il sistema comune rompe sono quelle più curate in
APAC. Ogni giorno contatti telefonici, visite
frequenti e coinvolgimento della famiglia stessa nella
metodologia di accompagnamento del condannato.
“Alla base di tutto sta il bisogno che uno ha di
aiutare l’altro –ci dice Valdeci- perché nasciamo per
vivere in comunità. Il senso dell’aiuto restituisce a
chi è nel processo di recupero molta tranquillità,
perchè nella misura in cui uno coopera, allo stesso
tempo è aiutato”.

La Carovana della Pace ha chiesto proprio questo
spirito di cooperazione a Valdeci. L’avvocato è anche
laico missionario comboniano e parteciperà a settembre
ad uno dei tre percorsi nazionali che porteranno vari
testimoni del sud del mondo, insieme a circa cinquanta
giovani, giornalisti e immigrati, all’incontro con le
comunità locali e le associazioni impegnate sul
territorio, in cerca di “Vita piena per tutti: adesso,
non domani!”.
Valdeci sarà a Limone sul Garda il 7 settembre, a
Gorizia l’8-9, a Treviso il 10 e 11, a Modena il 12, a
Cesena il 13, a Jesi il 14-15, a Teramo il 16-17.
Concluderà infine il suo cammino, insieme a tutti gli
altri testimoni, nella convergenza finale di Nola
(NA), sabato e domenica 18-19 settembre.
Per informazioni su tutti i percorsi e programmi della
carovana è bene consultare il sito
www.giovaniemissione.it 





                
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