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Le radici del male



CAPITOLO III

 

LE  RADICI  DEL MALE

 

di Corrado Piancastelli 

isup@katamail.com



 

 

Allah è l'unico profeta di tutti gli islamici, come Cristo lo è dei cristiani che, però,  lo identificano con Dio stesso. Tuttavia sotto il manto di Allah vi sono oltre una settantina di scuole teologiche islamiche e un enorme numero di etnie, non solo in competizione se non in lotta tra loro, ma diversificate e assimilate ai contesti sociali di ben 42 diversi Paesi all'interno dei quali, politiche di accomodamento e di cambiamento accumulatesi nel corso dei secoli, costituiscono una ulteriore frantumazione ideologica e religiosa di cui  in occidente abbiamo appena una pallida idea. Anche il cristianesimo ha la sua frantumazione. Basti pensare al gran numero delle teologie protestanti, ai cristiani orientali e alle posizioni diversificate all'interno dello stesso cattolicesimo ortodosso.  I protestanti, ad esempio, non riconoscono il potere temporale e divino del Papa. Ma qui, nonostante ciò, il cristianesimo ha retto nella sua convergenza concettuale, forse perché per ciascuna teologia esiste una corrispondente classe sacerdotale rigorosamente attestata sui precetti delle rispettive gerarchie, una classe che l'Islam non ha nel senso gerarchico del termine, per cui la tradizione è tutta affidata ai poteri tribali degli ayatollah che detengono anche quello politico, e che leggono il Corano secondo concezioni personali e non unificate (e unificabili) attraverso un vertice comune e  sovrano.

Già questo, rispetto all'occidente, è una stortura giuridica. Nelle società moderne a carattere democratico ci sono un presidente unico rappresentativo della sovranità popolare e un parlamento eletto dal popolo (uomini e donne). Nelle istituzioni religiose questo non avviene perché il popolo dei fedeli non è neppure consultato nelle cose banali. Ma c'è di peggio. Nell'istituzione cattolica, ad esempio, il pontefice è eletto esclusivamente dai cardinali e lo stesso corpo ecclesiastico non viene consultato. Ciò è tipico delle società teocratiche che eleggono l'antidemocraticità a sistema gerarchico, per cui l'investitura è solo dall'alto (Dio) attraverso il ristretto gruppo della gerarchia superiore. E' questo l'aspetto deleterio del concetto di "gerarchia" che avvilisce la libertà degli stessi fedeli finanche nei suoi aspetti più intimi e personali, determinandosi una dittatura della gerarchia concettualmente assai simile (ma di segno opposto) alla  dittatura del proletariato di marxiana memoria.

Intendiamoci, la negatività non è nella esistenza di una gerarchia politico-religiosa, peraltro necessaria per il controllo e lo sviluppo sociale, quanto nella antidemocraticità di una tale rappresentatività che, escludendo la partecipazione della base, instaura, di fatto, una vera dittatura.

Nell'islam questo tipo di impostazione dittatoriale è a sua volta suddivisa tra un esteso numero di ayatollah, per cui ci sono altrettanti poteri che si autogenerano per tradizione familiare.

         La lettura dell'islamismo diventa dunque difficilissima così come del tutto utopico, nel presente momento storico, è la possibilità di aver un interlocutore unico riconosciuto da tutti i governi e cittadini arabi. Ad un ipotetico tavolo di discussione o di conciliazione o di confronto serio, con quale corrente di pensiero dovremmo confrontarci sia che si tratti di problemi politici che di quelli religiosi? Chi avrebbe il carisma e l'autorità di poter parlare a nome di tutti gli islamici? Da qui la realtà di più islam e il problema, molto serio, di un capo unificato che tutti li comprenda.

         Nella sola Italia, ad esempio, vivono 1 milione di musulmani di cui circa 50.000 sono di cittadinanza italiana (10.000 sono ex cristiani convertiti), ma per motivi di cui sopra questa entità di musulmani presente sul nostro territorio è religiosamente e politicamente diversificata. La suddivisione, emersa nell'ultimo Convegno del 2003 sul tema "L'Islam e l'Italia", vede contrapposizioni tra almeno sei variegate tipologie: un islam laico che non  frequenta le moschee, un islam ecumenico che crede nella capacità salvifica delle tre religioni monoteiste rivelate (islamismo, cristianesimo e ebraismo), un islam apolitico, un islam ortodosso (che rispetta il culto e cerca solidarietà fra tutti i musulmani ), un islam integralista (che crede nella fusione della politica con la religione) e l'islam rivoluzionario (che crede nella guerra santa contro gli infedeli e contro l'occidente).

         Alle cifre precedenti bisogna poi aggiungere i circa 85.000 islamici irregolari che tuttavia pur vivono nel nostro paese. Da tutto ciò si ricava che anche in Italia manca un interlocutore unico col quale sedersi, in modo serio e autorevole, ad un tavolo di discussione.

         Ciò che colpisce, però, é l'impossibilità di un confronto su materie teologiche, cioè sulle vere ragioni della contrapposizione. Se i cattolici, gli islamici e gli ebrei dovessero sedere allo stesso tavolo, di cosa dovrebbero parlare? Il terrorismo ideologico, infatti, non nasce tanto dalla politica come dialettica sociologica e civile, ma soprattutto dai radicalismi teologici ed economici, addirittura i primi più che i secondi. Il tabù in materia di fede è del tutto indiscutibile sia da parte delle correnti religiose occidentali che di quelle islamiche ed è quello il nodo dell'intera politica dell'odio. L'integralismo islamico che tanto atterrisce gli occidentali fa dimenticare , ad esempio, il pericolosissimo integralismo cristiano puritano attualmente al potere che ha aperto fronti di guerra in molte parti del mondo e non solo in Irak.

         Il nome di Dio è invocato sia in Islam che in occidente e ciascuno adopera le stesse folli frasi che si tratta di una lotta del Bene contro il Male. Giorge Bush ha più volte ripetuto di essere guidato da Cristo; Bin Laden dice che Allah lo porterà alla vittoria contro gli infedeli. Abbiamo un Dio che guida gli americani e un Dio che guida gli islamici. La visione mistica di Dio padre di tutti e di tutto annega dunque miseramente nella umana degradazione della follia totale e del buon senso perduto.

         E' dunque una guerra tra fondamentalismi, i cui ingredienti si  mescolano  con le infauste leggi del potere e dell'economia e, ovviamente, con gli interessi irriducibili che ne conseguono. Le parole della pace, in questo retroterra sub-culturale, suonano più che false. La pace non è una parola da predicare, ma un significato dell'agire. Qualsiasi pace comprende una serie di atti impliciti nel senso stesso dell'etica che l'accompagna. La pace si raggiunge eliminando le gravi fratture fra i ceti  sociali promuovendo la cultura e la consapevolezza, con la politica dei diritti e dell'eguaglianza, con la creazione di lavoro e di secolarizzazione per tutti, con i principi liberali della tolleranza e della libertà. Al di fuori di questo "agire" il termine pace è addirittura una insolenza gettata sulla faccia di quella  parte del mondo che  in questo"agire" non viene coinvolto. 

Come può stare in pace un povero cristo che guadagna due dollari al giorno con il suo vicino che ne guadagna duecento, cinquecento, mille? Chi glielo dice al povero cristo che, nonostante le disparità, gli uomini sono tutti fratelli? In che modo dovremmo convincerlo? L'ideologia del radicalismo fondamentalista è strisciante, silenziosa, si maschera nell'informazione che ci mostra solo l'efferratezza del "nemico"e i buoni propositi dell'amico. Ma nessuno dice che è proprio l'illiberale e antisociale principio del fondamentalismo a fondare il seme della violenza e dell'odio. Un qualsiasi popolo se realizza la giustizia sociale, se cresce nella cultura e nel lavoro, è assai meno propenso ad odiare il vicino di casa o altri popoli di quanto invece lo sia se considera il vicino un infedele o un demone solo perché appartiene ad un'altra religione. E' il legame tra Dio e potere mondano che massacra la giustizia e la libertà dei popoli, proprio perché un potere mondano non si può costituire senza il potere economico e l'economia, come tutti sanno, non guarda in faccia a nessuno perché segue leggi senza etica.

         Sono dunque le religioni radicate nell'economia le radici dell'odio  che ogni volta si confrontano anteponendo le false maschere delle proprie ideologie come se veramente provenissero da Dio. I cristiani hanno sempre odiato gli ebrei perché per secoli ci hanno detto che sono stati loro a condannare a morte Gesù. Gli ebrei a loro volta dicono che Gesù è un falso Dio, è solo un profeta, perché l'unica  vera legge è quella di Mosè. Gli islamici ritengono Maometto l'ultima voce di Dio per cui il loro profeta è  superiore a Gesù e allo stesso Mosè.

         Queste visioni allucinate e indimostrabili di un Dio che, tra l'altro, non ha mai confermato in prima persona le varie ciarle teologiche, si scontrano con un processo storico che in occidente è culminato nell'Illuminismo che ha fatto piazza pulita di tutte le superstizioni perseguendo il modello della ragione e non di una fede salvifica indimostrabile.

         A un tavolo di discussione l'irriducibilità dei convenuti, tutti attestabili su posizioni del tutto astratte e inverificabili, renderebbe del tutto inutile ogni tentativo  di dialogo perché nessuno intenderà mai  mettere in discussione il proprio primato di verità. Si discute, infatti, del velo, del crocefisso, del burqa o di altri aspetti secondari, si discute debolmente anche di cose importanti come i diritti umani e di parità, ma nessuno affronta il vero  nodo del problema, nessuno rimette in discussione principi che, essendo diventati radicali e dogmatici, sono per loro natura tabù per cui hanno la forza di scatenare l'odio che, come tutti sanno, è esattamente il contrario della ragione dialettica la quale, per sua natura, è antidogmatica e laica perché reclama la fondazione del soggetto intorno alla sua libera natura di mente e di anima.

         In questo nodo di vipere che si trastullano con infinite teologie che mostrano la raggelante iperbole dell'errore umano per il quale la verità è una soltanto e solo uno la detiene (ma se tre teologie si scontrano sui principi è più che evidente che almeno due, se non tutte e tre, sono sbagliate!),  l'unico che non parla è proprio Dio. E viene spontaneo chiedersi perché mai, pur affermando tutte le teologie che Dio è  comunque unico per tutti, Egli accetta che di lui si possa parlare in modo così frammentario e contrastante senza sentire la necessità, se non l'obbligo morale,  di pronunciarsi definitivamente in modo  proprio autonomo e tale da non lasciar dubbi sulla sua origine, al fine di mettere a tacere ogni diaspora e ogni incertezza teologica.

         Come può Dio accettare e in nome di quale etica, che milioni di persone possano morire o uccidere in suo nome contrabbandando verità che non esistono perché Lui, proprio Lui tace e consente alle teologie di presentarsi come vere producendo, in tal modo, solo distorsioni teoriche, dolore e violenza? Non sorge il dubbio o che Dio non esiste affatto o che di Lui non abbiamo capito proprio nulla?

In realtà ci troviamo tragicamente di fronte ad una situazione paradossale. Di far dipendere, cioè,  le ragioni del mondo da fondamentalismi teologici per loro natura indimostrati ed indimostrabili sui quali si innestano ingiustizie e interessi in cui il potere economico si auto-giustifica, attribuendo alla volontà di Dio quelle che sono, invece, volontà solo umane. Si è venuta così a creare una teologia finanziaria  di natura concreta il cui dio è la potenza del denaro e della forza simile alla teologia benefica del dio trascendentale. Entrambi prosperano sull'ignoranza, sul frazionamento ideologico, sull'incapacità culturale di utilizzare la razionalità soggettiva, sull'impossibilità di auto-realizzazione del singolo, sulla debolezza umana di non sapersi affidare a se stesso e di farsi mediare dalle religioni e dalla bassa politica. Alla fine può darsi benissimo che, essendosi la coscienza  geneticamente modificata nel corso dei secoli, Dio esista ma veramente non possa più parlare agli uomini. Infatti a quale coscienza ed a quale forza inconscia potrebbe parlare se l'essere umano, ormai distruttivamente  condizionato sia in senso cognitivo che culturale, riconosce se stesso non attraverso l'uso della ragione pura, ma solo per mezzo di una ragione che è stata costruita e deformata dagli ayatollah, dai concili vaticani, dalle tradizioni ebraiche, dagli agenti della C.I.A., dalle concentrazioni capitalistiche, dalle false notizie spacciate dai mass-media, dai servi che si prestano, per piatti di lenticchie  e piccoli poteri a perpetuare e diffondere i nuovi vangeli dei padroni della terra? Siamo diventati del tutto incapaci di meditazione, di sacralità mistica, di immergerci nel mentale silenzio interiore, di uscire dai condizionamenti, per cui se Dio veramente volesse parlarci troverebbe sul suo cammino solo paletti e difese, solo deformazioni e pregiudizi religiosi o solo l'assenza di ogni traccia spirituale, di ogni vero abbandono. Non c'è più simmetria tra l'uomo e il divino, non  il divino mediato dalle religioni, ma quello che si crea nella propria interiorità. Per cui, capovolgendo un commento di Meister Eckhart, credo sia giusto  dire che "l'occhio con cui noi vediamo Dio non è lo stesso occhio con cui Dio vede noi." E' questa l'asimmetria che probabilmente impedisce ogni comunicazione tra il sacro e il profano e ne determina, anzi, la promiscuità e il dualismo di ogni possibilità di levare il nostro discorso al di sopra delle parole convenzionali.

 

 

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