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L'incubo dei gay di Palestina



Le storie di Ahmed e di Mohammed, vittime di torture e abusi a casa. Ora
vivono tra prostituzione e paura, aiutati solo da un?associazione di Tel
Aviv

L'incubo dei gay di Palestina
www.corriere.it 
Per la loro società sono criminali. In trecento accolti nello Stato
ebraico

    DAL NOSTRO INVIATO
    TEL AVIV - La troppa vodka e la luce gialla dei lampioni, la pioggia
che certe notti colpisce come sputi gelidi e i risvegli sulle panchine
della stazione non hanno guastato lo sguardo da ragazzino di Ahmed. Lo sa
lui, lo vedono i clienti, quando abbassano il finestrino, scambiano
qualche parola, contrattano un?ora di sesso. Ahmed è palestinese, è gay, è
scappato in Israele dopo che un giorno gli estremisti di Hamas erano
andati a cercarlo a casa. A Tel Aviv dorme dove può - da un amico, da uno
sconosciuto incontrato in una sauna - e deve nascondersi dalla polizia
perché qui è un clandestino. Ma almeno non deve più nascondersi dai
fratelli, che lo ammazzerebbero per cancellare il disonore dalla famiglia.
«Vivo in Israele dal 1998, quattro anni fa sono tornato in Cisgiordania:
c?erano i funerali di mio padre». Quella volta ha rischiato troppo, è
stata l?ultima. «I poliziotti palestinesi - ricorda Ahmed, che ha 23 anni
e ha chiesto di non usare il vero nome - sono riusciti a fermarmi. Mi
hanno portato in una caserma, picchiato. Ho passato la notte immerso in
una fossa piena d?acqua di fogna. Volevano farmi confessare di essere un
collaborazionista, di fare la spia per gli israeliani. Mi hanno rilasciato
solo dopo che mio zio ha pagato. Mia madre mi ha dato dei soldi e mi ha
detto di sparire per sempre. Da allora non ho più visto il mio villaggio».
 Ahmed è sempre inquieto, sulla difensiva, come se ogni mattina si
svegliasse dallo stesso incubo. Lo stesso che vivono altri trecento
omosessuali palestinesi rifugiati in Israele. Come lui raccontano di
essere stati perseguitati e torturati, come lui hanno imparato l?ebraico
in fretta - cancellando l?accento arabo - e in fretta hanno imparato a
riconoscere i poliziotti in borghese. Non sono un gruppo, non sono amici,
è difficile fidarsi degli altri quando ci si sente braccati: quando
un?espulsione verso Gaza o la Cisgiordania diventa una condanna a morte.
Frequentano le stesse strade, le vie buie della prostituzione attorno al
quartiere della vecchia stazione degli autobus. Tutti chiamano quest?area
Electricity Garden, ma di erba non c?è traccia e le luci sono poche. Qui
Shaul Gonen passa le notti, offrendo aiuto, vestiti, qualcosa da mangiare.
È un omosessuale israeliano, mezzo greco e mezzo italiano, gigante mite.
Con l?associazione Aguda assiste, anche legalmente, i ragazzi del
«Garden». Che ormai riconoscono la sua mole e quando si avvicina, parlano
con lui. «I più terrorizzati hanno aspettato un anno prima di rivolgermi
la parola» spiega mentre elenca - mamma orgogliosa dei suoi figli - i nomi
degli adolescenti che scorge appoggiati ai muri di ammuffiti palazzi anni
Trenta.
«La maggior parte di quelli che scappano - continua - ha tra i 14 e i 18
anni. Questo è l?unico Paese del Medio Oriente dove possono venire, la
nostra società è molto aperta verso i diritti degli omosessuali.
L?Autorità palestinese li accusa di collaborazionismo per poterli
arrestare: in passato i servizi segreti israeliani avrebbero fatto
pressioni sui gay per usarli come informatori. Raccontano di essere stati
torturati dai padri e dai fratelli maggiori. Qualcuno mi ha detto che gli
estremisti hanno provato a farne dei kamikaze per riscattare l?onta con la
morte».
 I maltrattamenti sono stati denunciati anche dal Dipartimento di Stato
americano, nel rapporto sui diritti umani del 2003: «Nei territori gli
omosessuali sono stati vittime di molestie, di abusi, alcuni di loro sono
finiti in carcere».
Wael Abu Lafi, del General Prosecution Committee palestinese, nega:
sostiene che non c?è stato un solo caso di gay arrestato e processato. Ma
ammette: «L?omosessualità è contro i nostri codici sociali, la nostra
tradizione. È contro l?Islam. Non potete fare paragoni con l?Europa. Da
noi gli omosessuali mantengono il segreto, non si sa niente di loro. In
ogni caso l?omosessualità è punita come un reato minore».
Il Parlamento sta preparando una nuova legge, prevede condanne dai tre ai
cinque anni: richiede ancora una seconda e una terza lettura prima che
venga presentata a Yasser Arafat per l?approvazione finale. «Se
l?omosessualità venisse decriminalizzata - commenta Isam Abdeen,
professore all?Università Al Quds e consulente dell?Assemblea legislativa
- ci sarebbe il caos sociale, una guerra civile. Non può essere
considerata una forma di libertà, è un?offesa. Nessun politico palestinese
la difenderebbe mai come pratica di libertà personale».
 Solo trentatré ragazzi hanno accettato di iscriversi ad Aguda, anche se
la tessera con i colori dell?arcobaleno potrebbe salvare loro la vita:
Shaul ha arrangiato un accordo informale con la polizia, perché non
espella i giovani nella sua lista. «Entrare a far parte di un?associazione
omosessuale è molto difficile - spiega Shaul - quasi non ammettono con se
stessi di essere gay». Shaul è un israeliano di sinistra, di quelli che
manifestano contro l?«occupazione». «Alcuni amici mi hanno accusato di
fare il gioco della destra - dice - perché denuncio le violenze contro gli
omosessuali nei territori. Io so che l?occupazione è sbagliata, che devono
nascere due Stati, conosco le sofferenze dei palestinesi. Ma se vogliono
il rispetto dei diritti umani, devono imparare a rispettare quelli di chi
è diverso, fuori dalla loro mentalità, cultura o religione».
Sulla schiena Mohammed porta ancora i segni delle ultime quattro ore
trascorse nel soggiorno della casa in cui è nato. Quando il padre, la
madre e uno dei fratelli l?hanno legato a una colonna e hanno cominciato a
colpire. Con un tubo di plastica, con i cavi, con i ferri arroventati.
Alza la maglietta per mostrare le cicatrici, un gesto che fa con timidezza
come se non fosse diventato il rito delle sere in cui cerca un letto per
dormire. «È stato mio fratello a scoprirmi - ricorda -. Ero rimasto da
solo e avevo invitato un ragazzo conosciuto al mercato. Ci ha sorpresi
nudi sul letto. Per mesi non ha detto nulla ai miei genitori, ma ogni
mattina mi minacciava "oggi parlo", un giorno lo ha fatto».
    Mohammed - 21 anni, non è il suo vero nome - è scappato dalla
Cisgiordania alla prima occasione, le ciabatte ai piedi, indosso una
maglietta e i pantaloni. All?inizio non voleva andare con i clienti,
ancora adesso non ammette di prostituirsi. Non sa spiegare come trova i
soldi, abbassa gli occhi scuri, ripete che lui sta lontano dalla droga e
dall?alcol. È stato in carcere undici mesi con l?accusa di aver rubato un
telefonino, è uscito in agosto. «Non parlo con la mia famiglia da quando
sono qui - dice -. Credo che solo mia sorella più grande sarebbe disposta
ad aiutarmi, se la situazione fosse diversa. Così per lei è impossibile».
    Shaul sta tentando di far accogliere Mohammed in un Paese europeo. «In
cinque anni - spiega - la nostra associazione è riuscita a mandare
all?estero otto uomini e tre donne. La convenzione Onu del 1951, firmata
anche da Israele, garantisce il diritto d?asilo a chi è perseguitato a
causa dell?orientamento sessuale. Ma per questi giovani palestinesi è
molto difficile ottenere lo status di rifugiati o anche solo il permesso
di soggiorno. Per loro è comunque meglio andare a vivere lontano dai
familiari. I parenti arabi israeliani la sera pattugliano le strade di Tel
Aviv dove si prostituiscono». «Venire qui - commenta Donatella Rovera di
Amnesty International - è un biglietto di sola andata. Il governo
israeliano dovrebbe almeno metterli nelle condizioni di lasciare il
Paese».
    Mohammed vorrebbe svegliarsi con il cuscino bianco, non coperto dai
capelli che ha perso nella notte. «Sono gli incubi. Non riesco a sognare,
a pensare: "Se avessi un milione di dollari comprerei questo o quello".
Voglio solo aprire gli occhi e dire: "Io non ho paura"».

Davide Frattini