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Sharon è cattivo



Sharon è l'uomo che nel 1982 diede il via libera al massacro nei campi di Sabra e Chatila. Oggi, come primo ministro d'Israele, sta conducendo il proprio Paese ad una guerra sporca, sempre più sporca contro i palestinesi, e al collasso economico, rinchiudendo i cittadini israeliani dietro un muro. I democratici e i progressisti di tutto il mondo, rivolgono a lui il proprio sdegno e confermano le proprie speranze per la costruzione di due stati per due popoli.
IL MANIFESTO INTERVISTA DILIBERTO: SHARON, TROPPI SILENZI. UN ERRORE RICEVERE IL RESPONSABILE DI CHATILA E DEL MURO DELL'APARTHEID
«Mi rifiuto di stringere la mano all'uomo responsabile del massacro di Sabra e Chatila, all'uomo che ancor oggi sta costruendo il muro nei territori occupati palestinesi, un muro che è stato condannato con parole molto dure anche da qualcuno ben più importante di me come Giovanni Paolo Secondo. L'Italia non può tacere di fronte all'uccisione della pace». Con queste parole Oliviero Diliberto, segretario dei Comunisti italiani ribadisce la sua posizione di netto rifiuto della visita del premier israeliano accolto invece a braccia aperte dal presidente del Consiglio Berlusconi e dal suo vice, Gianfranco Fini, secondo i quali il «muro» non sarebbe tale ma piuttosto una «barriera di sicurezza» per Israele. «Macché sicurezza - sostiene Diliberto- il muro non segue affatto il confine del 1967 tra Israele e la Cisgiordania ma passa all'interno dei territori occupati. Non divide Israele dalla Cisgiordania ma i palestinesi tra di loro e dalle loro terre. E' un muro che sottrae altre terre ai palestinesi, e li confina dentro a veri e propri ghetti. E' un muro dell'apartheid. La situazione in Palestina è sempre più tragica, l'ho potuto constatare alcuni mesi fa quando sono andato a Ramallah da Yasser Arafat, i palestinesi sono ormai prigionieri nella loro terra e in tale contesto la sicurezza potrà venire ad Israele solamente dalla pace, come sanno bene tanti israeliani che non condividono la politica del loro governo». «Quindi - chiediamo all'esponente del Pdci, impegnato in questi giorni nelle iniziative contro la visita di Sharon- a suo parere avrebbero sbagliato alcuni dei leader dell'Ulivo come Fassino, D'Alema, Rutelli e Parisi ad omaggiare e incontrare ieri sera l'uomo di Sabra e Chatila?» «Io non lo avrei fatto - risponde Diliberto - come non lo ha fatto il papa dopo essersi pronunciato assai chiaramente sul "muro". Non credo che, al di là delle buone intenzioni, sia questo il modo di costruire la pace. Al contrario sarebbero nesessarie forti pressioni politiche. diplomatiche e economiche sul governo israeliano perché si incammini sulla via della pace. A questo punto occorrerebbe mettere Israele davanti ad un fatto compiuto come il riconoscimento, già oggi, dello stato di Palestina, delle sue strutture e del suo presidente. Invece cosa abbiamo? Abbiamo che il governo Sharon boicotta il rappresentante dell'Ue, pretende che nessuno veda Arafat, continua a costruire colonie, a violare le convenzione di Ginevra e le risoluzioni dell'Onu, a costruire il muro e poi viene qui e nessuno lo pone di fronte alle sue responsabilità».
Poi Diliberto si sofferma sulla politica dei «due pesi e due misure» che ispira l'azione occidentale in Palestina e nella regione mediorientale. Eppure, secondo l'esponente del Pdci persino negli Usa, ci si renderebbe conto «che la pace e la sconfitta del terrorismo sono legate alla nascita di uno stato indipendente palestinese pienamente sovrano». Ma le cose non sembra stiano andando in questo modo. Al contrario gli Stati uniti hanno lasciato libero Sharon di portare avanti i suoi piani di guerra, e stanno affondando - trascinandoci con loro- nella palude irachena: «Stiamo assistendo in questi giorni ad una brutale strumentalizzazione delle vittime italiane a Nasseriya. Non basta esprimere il dolore. Adesso è il tempo di un vero atto d'accusa "Chi ha mandato i nostri soldati a morire e perché?" Non voglio vedere altri funerali. Occorre richiamare le nostre truppe. Esse sono andate in guerra, senza chiarezza sugli obiettivi della missione e per di più agli ordini di un paese straniero inviso agli iracheni e senza più quella rete di protezione politico-diplomatica come invece era avvenuto in Libano. In Iraq non stiamo combattendo il terrorismo ma occupando una nazione sovrana».