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Risposta a Pietro Ichino



Al Direttore del Corriere della Sera

Sulle pagine del Corriere della Sera di martedì 11 novembre è apparso un
"commento" di Pietro Ichino ( vedi allegato ) che, partendo da un libro di
Zipponi, dice cosa ne pensa su quello che stiamo facendo noi lavoratori
dell'Alfa di Arese. Pensiamo di avere il diritto di entrare in confronto
con quanto dice di noi. Con la speranza di esser pubblicati con uguale
risalto.



Il professor Ichino, dopo aver messo tra parentesi, come se niente fosse
successo, il ben chiaro progetto che la Fiat ha messo in atto fin da quando
s'era fatta dare in regalo la fabbrica Alfa Romeo di Arese, dice che il
motivo attuale della nostra lotta non è la difesa dell'occupazione.

Secondo lui l'Alfa di Arese si trova in una zona nella quale ci sono
centinaia di aziende che cercano migliaia di operai. Che è esattamente
l'argomento che ha contraddistinto il disinteresse politico/sociale
istituzionale nei nostri confronti rispetto a quello di cui ha goduto la
realtà Fiat di Termini Imerese.

Su questo punto ci stupisce che il professore non conosca la situazione
industriale ed occupazionale della zona. Pesanti processi di
ristrutturazione hanno cancellato numerosissime realtà industriali e ancora
oggi ne stanno ponendo in discussione parecchie altre. Noi, pur continuando
a opporci al progetto di smantellamento voluto dalla Fiat, non abbiamo mai
escluso la strada di trovare posti di lavoro anche non Fiat. Ma i risultati
lui non può non conoscerli. Ad esempio : lui è consulente legale della
Rotamfer, una ditta che, dopo essersi insediata da anni nell'area di Arese
acquistandola a prezzi stracciati, ha finto di assumere 80 operai dell'Alfa
e poi li ha sistematicamente licenziati.

Per questo la nostra lotta comprende anche il non abbandono individuale dei
lavoratori a quelle indecenti regole del mercato del lavoro, da lui
chiamate "moderne", e che il ceto politico, che lui rimprovera di non
saperle mettere in atto, le ha già codificate con la legge 30.

E' proprio l'opposizione alla devastazione messa in atto da queste regole
la passione politica che anima le nostre lotte e che lui deride tacciandola
di arretratezza e invitando tutti a spazzarla via.

Se il professore venisse a fare il presidio con noi davanti alle fabbriche
che si sono istallate nell'area di Arese, vedrebbe passare davanti ai  suoi
occhi tutti i lavoratori delle infinite cooperative di cui esse si stanno
servendo. E magari potrebbe chiedere loro le condizioni lavorative che la
loro vita sta subendo.

Quando ci accusa di lottare per difendere ciò che ormai non esiste più si
svela come supporto ideologico della strategia padronal/governativa che
chiede a tutti di rassegnarsi a subire le regole del mercato che vogliono
imporci e che mirano a difendere i loro profitti e devastare i diritti e la
dignità della vita dei lavoratori.    

Il professore, dall'alto della sua cattedra, deride poi anche
l'amministrazione comunale milanese, i giudici del lavoro, e la pastorale
del lavoro rimproverandoli di lasciarsi suggestionare dalla "la tensione
etica e la genuina passione politica che animano i protagonisti delle lotte
operaie". E aggiunge che questa "egemonia culturale e politica dell'ala
sinistra sindacale"  deve essere invece rimossa : sia dalla destra,
movendosi come ha saputo fare la Thatcher (cosa che sa benissimo che sta
già facendo), sia dalla sinistra, accettando il "sistema moderno" di
schiavizzazione della vita dei lavoratori.

Un'ultima considerazione : strano che dopo anni di silenzio sui lavoratori
dell'Alfa il professore scenda in campo proprio adesso. Non è che tema che
la nostra vicenda si possa risolvere positivamente e che, quindi, possa
diventare un esempio per altri lavoratori ?



Non saremo alunni che si fanno da lei ammaestrare, professore !



Milani Paolo - Fim Cisl

Carta Manfredi - Fiom Cgil

Le Rose Domenico - Uilm Uil

Canavesi Renzo - Slai Cobas



Alfa Romeo - Arese









Il segretario Fiom Zipponi e l'assenza, a destra e sinistra, di un'idea
moderna del mercato del lavoro
Alfa di Arese, il futuro non è difendere l'inesistente
Per capire qualche cosa di una almeno delle cause del declino industriale
italiano conviene studiarne a fondo un episodio emblematico, quello dello
stabilimento Alfa Romeo di Arese, cui sono dedicati due capitoli
dell'ultimo libro del nuovo segretario generale della Fiom-Cgil di Milano,
Maurizio Zipponi ( Si può! , editore Mursia).
Lo stabilimento di Arese da anni brucia miliardi; la Casa madre Fiat, in
grave difficoltà su molti fronti, decide di chiuderlo. I mille operai
rimasti (erano 15 mila vent'anni fa, ai tempi dell'Iri) si oppongono e
difendono l'insediamento industriale con le unghie e coi denti.
Qual è la ragione della loro lotta? Non il timore della disoccupazione:
Arese è nel cuore di una zona nella quale centinaia di imprese cercano
migliaia di operai senza trovarli. Senonché la diaspora verso le altre
aziende non è accettabile perché - spiega Zipponi - significherebbe
lasciare che a decidere della sorte dell'auto italiana siano i meccanismi
ciechi del mercato; ai quali la Fiom contrappone invece un grande progetto
centrato sull'idea dell'auto ecologica, possibile a suo dire con una
cospicua iniezione di capitale da parte dello Stato (poco importa che
l'Unione europea non consenta più operazioni di questo genere,
considerandole "aiuti di Stato"). Ma accettare di andarsene non si può,
anche perché significherebbe la dispersione di un gruppo di operai unito e
solidale; significherebbe accettare che qualcuno andrà a star meglio,
qualcuno a star peggio; significherebbe, soprattutto, cercare la soluzione
ciascuno per conto proprio. Lo diceva già don Milani: "Sortirne da soli è
l'egoismo; sortirne insieme è la politica".
A dire il vero, per "sortirne insieme", senza rinunciare alla solidarietà
con i più deboli e senza tornare all'esperienza fallimentare delle
partecipazioni statali, ci sarebbe anche un altro modo: quello di un
sistema capace - come nel nord-Europa - di garantire ai mille di Arese
servizi efficienti di informazione e orientamento, di assistenza intensiva,
di riqualificazione professionale mirata, che consentirebbero di
ricollocarli in poco tempo dal primo all'ultimo, con un rilevante incentivo
economico per tutti e un congruo indennizzo ulteriore per coloro che da
questo passaggio risultassero penalizzati. Ma da noi questa soluzione viene
rifiutata: dunque, tutti in Cassa integrazione per anni, blocchi stradali,
ferroviari e persino aeroportuali, liti giudiziarie a non finire.
E non si pensi che sulla trincea del rifiuto stia solo la Fiom-Cgil di
Zipponi: ci sta anche, in qualche misura, l'amministrazione comunale
milanese di centrodestra, che conferisce ai mille operai di Arese
l'"Ambrogino d'oro"; ci stanno i giudici del lavoro che ordinano la
riapertura di uno stabilimento ormai inesistente; ci sta la Curia
arcivescovile ambrosiana, la cui pastorale del lavoro sembra anch'essa dare
per scontato che quegli operai possano essere rioccupati soltanto negli
stessi capannoni dove hanno lavorato per decenni. Come si spiega questo
fenomeno, tutto italiano, di egemonia culturale e politica dell'ala
sinistra sindacale, estesa ben al di là dei confini dello stesso movimento
sindacale?
Le sue cause sono molte: prima fra tutte l'incapacità del nostro ceto
politico di rendere credibile nei fatti un'idea più moderna del
funzionamento del mercato del lavoro. Ma un'altra causa, non secondaria, va
cercata nella tensione etica e nella genuina passione politica che animano
i protagonisti delle lotte operaie del tipo di questa e che emergono in
modo vivido dal libro di Zipponi, come dalla stessa figura dell'autore.
Tensione e passione che, nel vuoto di idee-forza alternative in materia di
politica del lavoro, suscitano simpatia e consenso, a sinistra ma talvolta
anche in una destra insofferente delle regole europee, nostalgica di un
regime in cui le magagne della nostra industria potevano essere nascoste
dagli aiuti di Stato.
Il fatto è che alla destra italiana manca una Thatcher capace di
affrancarla dal populismo e dallo statalismo praticati per decenni dalla Dc
con l'appoggio esterno del Pci. E alla sinistra italiana manca un leader
capace di coinvolgere gli Zipponi e i tanti altri appassionati dirigenti
della Fiom-Cgil nella costruzione di un sistema moderno di welfare e di
workfare di tipo nord-europeo, distogliendoli dalle strategie senza futuro
nelle quali essi oggi si stanno perdendo.
11.11.03
di PIETRO ICHINO

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