[Date Prev][Date Next][Thread Prev][Thread Next][Date Index][Thread Index]

LAURA LANZILLO PRESENTA "IL RAZZISMO. IL RICONOSCIMENTO NEGATO"DI RENATE SIEBERT



LAURA LANZILLO PRESENTA "IL RAZZISMO. IL RICONOSCIMENTO NEGATO" DI RENATE
SIEBERT

[Dal quotidiano "Il manifesto" del 24 ottobre]

"Il negro non esiste. Non piu' del bianco. (...) Perche' non cercare
semplicemente di toccare l'Altro, di sentire l'Altro, di rivelare
l'Altro?", cosi' Frantz Fanon rifletteva su quella che era stata in primo
luogo la sua esperienza del processo di razzizzazione - vissuta sulla
propria pelle, lui nero delle Antille francesi studente in Francia,
esperienza che l'avrebbe poi portato a impegnarsi nelle file del Fronte di
liberazione nazionale durante la guerra per l'indipendenza dell'Algeria - e
poi la constatazione dell'esistenza di una costruzione epistemologica ben
precisa, incistata nel cuore del pensiero teoretico e pratico
dell'Occidente, la categoria del razzismo.
Che cos'e' il razzismo? E chi e' l'altro? Sono questi gli interrogativi sui
cui riflette il recente volume di Renate Siebert, Il razzismo. Il
riconoscimento negato (Carocci, pp. 170, euro 15,50). Un volume snello, di
agile lettura, che nasce da una pratica didattica e che puo' sicuramente
servire come introduzione alla questione del razzismo, ma che assume anche
un interesse e una luce particolare alla luce degli avvenimenti di queste
ultime settimane. La "choccante" proposta di Fini di presentare un disegno
di legge per modificare l'art. 48 della nostra Costituzione al fine di
concedere il diritto di voto alle elezioni amministrative agli immigrati
residenti regolarmente sul nostro territorio e in possesso di un reddito
fisso e stabile. Le ridicole (e tragiche) controproposte degli scherani di
Bossi, di cui non merita nemmeno fare cenno. La strage continua, senza
fine, che si consuma al largo delle coste siciliane cosi' come sulle
spiagge della Normandia, dimostrando paradossalmente, attraverso l'evidenza
di corpi senza vita, l'unita' dell'Unione europea almeno sull'incapacita'
politica di affrontare quella che e' la realta' piu' evidente della
globalizzazione: il movimento di individui oltre la logica dei confini
statuali, provocato senza dubbio da condizioni oggettive di natura
economica o demografica, ma che si palesa anche come richiesta di
riconoscimento di una liberta' propria della persona, l'essere mobile, non
confinato. Le risposte che a questo quotidiano orrore - di cui tutti siamo
chiamati ad assumerci la responsabilita' che vengono fornite in termini o
di velleitario umanitarismo misericordioso (quale quello espresso dal
presidente della camera in visita "commossa" ai morti di Lampedusa o dal
ministro Giovanardi a TeleLombardia) o di sgomento impotente, come quello
che ha portato Giorgio Bocca sulle pagine di "Repubblica" a definire i
drammi dell'immigrazione di massa "una calamita' naturale", una "piaga
biblica". Politiche dell'immigrazione incentrate solo sulle parole d'ordine
della sicurezza, dell'integrazione e dell'incatenamento delle persone
migranti solo alla loro condizione di salariati? Umanitarismo commosso,
calamita' naturale, piaga biblica? Solo questo sappiamo rispondere? Il
libro di Siebert ci invita a compiere un altro percorso, un percorso che
l'autrice nomina come unlearning, disimparare. "Come suggeriscono i
cultural studies e i postcolonial studies, occorre scoprire le radici dei
sistemi della conoscenza 'moderna' nelle pratiche coloniali, cominciando
con un processo per disimparare attraverso il quale possiamo mettere in
crisi le verita' ricevute". Se, come sostiene l'autrice, una societa'
razzista e' un inferno per i migranti, lo e' ugualmente anche per noi che
la abitiamo. E riconoscere cio' e' il primo passo che dobbiamo fare in
questo percorso ("viaggio", lo definisce Siebert) per comprendere che il
razzismo non e' solo una passione di un uomo che ha paura, come scriveva
Sartre nel 1944, ma anche un universo cognitivo, che impregna noi come le
categorie portanti del pensiero occidentale che si e' rappresentato come
bianco, cioe' neutro, pretendendo percio' di essere universale. Un viaggio
che si propone di sovvertire questo universo cognitivo e le pratiche di
convivenza che da questo derivano e che ogni giorno attuiamo. A partire
dall'affermazione che le razze non esistono, mentre esistono e agiscono
processi di razzizzazione, Siebert compie il proprio viaggio - con un
approccio che si nutre degli apporti della teoria sociale critica come dei
piu' recenti studi antropologici, etnografici e dei postcolonial studies,
ma anche della teoria politica e di quella giuridica - attraverso sei brevi
e intensi capitoli, dedicati alla questione dell'Alterita' (che da sempre
inquieta la nostra filosofia), alla costruzione sociale dell'Altro, ai
razzismi (da quello "biologico" a quello "culturale" o "differenzialista"),
all'ideologia razzista (che innerva storicamente il colonialismo europeo,
l'imperialismo e il nazionalsocialismo, quanto oggi anche alcuni dei
discorsi sulla modernita' postcoloniale), all'antisemitismo, alla
prospettiva del multiculturalismo (specchio attraverso cui si riflettono le
contraddizioni insite nelle teorie della cittadinanza e dei diritti
universali).
Il lavoro che Siebert fa, e richiede al proprio lettore, e' quello di non
sfuggire all'evidenza che la societa' che abitiamo si e' fondata anche su
processi di razzizzazione, di costruzione dell'altro come pericoloso,
nemico, estraneo, da negare o assimilare in nome di pretese inferiorita' o
differenze, al fine di garantire la sicurezza della nostra identita'; non
sfuggire alla violenza che tali processi hanno innescato e alla visione del
marchio umiliante che milioni di corpi hanno subito in nome di cio'. E' un
invito alla memoria, a non dimenticare in nome dell'"io non c'ero", "io non
sono cosi'", perche' anche la storia del razzismo e' la nostra storia, una
storia di dolore, morti e lutti, che deve essere elaborata, e dunque
attraversata, da noi, figlie e figli di quella storia. "Vivere e/o fare
esperienza della propria vita non sempre e non necessariamente coincidono":
riprendendo alcune suggestioni che provengono dalla dialettica hegeliana
del riconoscimento, Siebert svela come al fondo del razzismo stia il
rifiuto del riconoscimento dell'altro che ci si pone davanti. La dialettica
del riconoscimento, invece, impegna in prima persona noi stessi, in quanto
impone di entrare in un movimento conflittuale nei confronti sia di noi
stessi sia dell'altro, movimento che si da' sul terreno dell'esperienza
materiale, del nostro fare. Riconoscere l'altro, vale a dire "toccare
l'Altro", entrare in relazione con lui e non semplicemente osservarlo come
sotto la lente di un vetrino da microscopio, impone al tempo stesso un
uscire da se', un mobilitarsi (una pratica concreta), e un processo di
apprendimento, un'autocoscienza di tale pratica, una comprensione
cognitiva. Se il viaggio di Siebert, contaminazione di unlearning e
mobilitazione reale, giunge a riconoscere "che il razzismo rappresenta un
elemento strutturante in cio' che Wallerstein analizza come 'economia-mondo
capitalistica'", mette in luce i coni d'ombra della modernita'
razionalistica, la contraddizione "tra democrazia e solidarieta', da una
parte, e violenza e potere coloniale, dall'altra", considera questa presa
di coscienza come tappa intermedia verso quella che, riprendendo
un'espressione di Dipesh Chakrabarty, e' indicata come "provincializzazione
dell'Europa": decostruzione dell'eurocentrismo e dell'universalismo che a
esso inerisce per "restituire il carattere di soggetto a chi ne era stato
privato sotto dominio coloniale".
Il lavoro di Renate Siebert, in definitiva, ci fa riflettere non solo sulla
storia del farsi del nostro io, cosi' come l'ha rappresentato la
modernita', ma anche sulle turbolenze, evidenze di sovversione di quell'io
che ci circondano e di cui per lo piu' si nega la presenza. E la turbolenza
non investe solo quei confini, barriere, steccati che il nuovo ordine
mondiale ha eretto a protezione della propria sicurezza, contro cui si
infrangono quotidianamente donne e uomini in una guerra tanto sanguinosa e
crudele quanto occultata e negata. Turbolenti diventano anche concetti
quali etnia, identita', cultura o cittadinanza mobilitati al proprio
interno da concrete esperienze soggettive che ne svelano il carattere
intimamente escludente e contraddittorio. Turbolenza che rompe
l'eurocentrismo universalista della modernita' e si muove verso un
universalismo che sia davvero globale, che assuma cioe' dell'universalismo
tutti gli antagonismi e le contraddizioni che ne hanno fatto la storia,
rendendolo piu' complesso e ricco. E' una voce femminile che invece che
l'umanitarismo pietoso o la risposta violenta di chiusura all'altro, ci
ricorda che stare nel farsi del presente e agire politicamente impone anche
la pratica della memoria, della narrazione, del parlare di diritti avendo
presente i doveri che a essi ineriscono, dell'attraversare lutti e ferite
per portare a visibilita' i corpi senza nasconderne l'irriducibile
pluralita', costringendoli a verniciarsi di un colore bianco uniforme.#