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Telekom Serbia, storia di una trappola



Per chi non avesse ancora avuto la possibilità di leggerlo: l'articolo di
Repubblica che svela i segreti (ma non lo si era già capito ove volevano
parare?) dell'Affare Telekom Serbia.
Leggendo di Trantino, l' "avvocato gentiluomo", mi è balzata agli occhi la
figura dell'uomo che con subdola perfidia porterà alla rovina e alla morte,
in "Lord Jim", il protagonista. Conrad lo fa presentare così: "Sono Brown,
il gentiluomo Brown".
Patetico il Taormina che si sacrifica generosamente per salvare il Capo.

I destinatari con indirizzi tin.it non sono stati raggiunti dagli articoli
del 22 corrente. Spero di non importunare troppo rispedendoli prossimamente.

Telekom Serbia, storia di una trappola
Carlo Bonini e Giuseppe D'Avanzo ("la Repubblica", 26 settembre 2003)
Quel che segue è la storia di una trappola. Dei suoi protagonisti, delle
coincidenze che vi si rintracciano, dei percorsi seguiti per costruire la
diffamazione contro Prodi, Fassino, Dini trascinati dinanzi all'opinione
pubblica come corrotti dall' "affare Telekom". E' una storia che, se non
fosse penosa, sarebbe grottesca perché, seguendone i fili, ci si potrà
finalmente rendere conto di come (e in base a che cosa) esponenti della
maggioranza di ritorno da Villa Certosa, residenza estiva del presidente
del Consiglio Silvio Berlusconi (una coincidenza, senza dubbio), hanno
potuto suggerire il coinvolgimento nell'affare del capo dello Stato. E' una
storia che sarebbe incredibile se non la si potesse documentare con le
parole del presidente della Commissione d'inchiesta, Enzo Trantino,
ritenuto "un gentiluomo". Una formula convenzionale che in Italia indica
una persona dabbene e candida fino all'ingenuità. Vedremo se Trantino è
l'uno o l'altro. O l'uno e l'altro.
La possibilità di mettere le mani su qualche brandello di verità muore
presto in "Commissione Telekom". 8 gennaio 2003. Un "anonimo"

J.F.Padova





Telekom Serbia, storia di una trappola

Carlo Bonini e Giuseppe D'Avanzo ("la Repubblica", 26 settembre 2003)



Quel che segue è la storia di una trappola. Dei suoi protagonisti, delle
coincidenze che vi si rintracciano, dei percorsi seguiti per costruire la
diffamazione contro Prodi, Fassino, Dini trascinati dinanzi all'opinione
pubblica come corrotti dall' “affare Telekom”. È una storia che, se non
fosse penosa, sarebbe grottesca perché, seguendone i fili, ci si potrà
finalmente rendere conto di come (e in base a che cosa) esponenti della
maggioranza di ritorno da Villa Certosa, residenza estiva del presidente
del Consiglio Silvio Berlusconi (una coincidenza, senza dubbio), hanno
potuto suggerire il coinvolgimento nell'affare del capo dello Stato. È una
storia che sarebbe incredibile se non la si potesse documentare con le
parole del presidente della Commissione d'inchiesta, Enzo Trantino,
ritenuto "un gentiluomo". Una formula convenzionale che in Italia indica
una persona dabbene e candida fino all'ingenuità. Vedremo se Trantino è
l'uno o l'altro. O l'uno e l'altro.

La possibilità di mettere le mani su qualche brandello di verità muore
presto in "Commissione Telekom". 8 gennaio 2003. Un "anonimo" indica alla
Commissione di cambiare strada. «La pista da seguire non è quella dei
mediatori Vitali/Maslovaric. Per trovare i politici, andate prima in Gran
Bretagna e poi a San Marino...». Già nell'inchiesta di Repubblica (febbraio
2001), le mediazioni appaiono il modo - forse il solo - per sbrogliare
l'intrico dell'acquisizione del 29 per cento della telefonia serba da parte
di Telecom Italia. È una strada promettente che chiede la volontà del
parlamento di fare luce, senza pregiudizi: è proprio l'ingrediente che
manca per fare buona la minestra. Il fatto è che alla Commissione di Enzo
Trantino, An, non interessa ricomporre il mosaico dell'affare italo-serbo
con la fondatezza di fatti accertati con equilibrio.

L'obiettivo della maggioranza e della Commissione è un altro: far girare le
ruote di una trappola politico-mediatica, capace di distruggere immagine e
credibilità del presidente della Commissione europea; del leader del
maggior partito d'opposizione; dell'ex ministro degli esteri.


1. ( Dove si dà conto di qualche bugia di Enzo Trantino e di un misterioso
elenco di nomi )

Enzo Trantino appare pacato, a incontrarlo in veste ufficiale. Conversare
con lui è anche piacevole, se si sa dimenticare l'eloquio retorico di cui
l'uomo si autocompiace. Repubblica lo intervistai121 maggio 2003. Il
«presidente gentiluomo» ha voglia di dire, di spiegare. Ben venga. Sostiene
che non è stato «un unico anonimo» a indirizzare i lavori di indagine della
Commissione verso Igor Marini e dunque contro Prodi, Fassino e Dini. Dice
che gli anonimi sono due: «È bene spiegare che i due anonimi ricevuti dalla
Commissione parlavano dell'avvocato Fabrizio Paoletti e non di Marini. È
stato l'avvocato Fabrizio Paoletti a farci il nome di Marini».

«I due anonimi...» . «E stato l'avvocato Fabrizio Paoletti a farci il nome
di Marini»: sono due affermazioni che non corrispondono al vero.

Quando Enzo Trantino si muove, ha in mano soltanto un anonimo (tra un po'
vedremo anche chi lo ha spedito). È l'anonimo che giunge a Palazzo San
Macuto, sede della Commissione, l'8 gennaio 2003. Invita i parlamentari ad
allontanarsi dai «mediatori», dunque dalla sola traccia a disposizione
della Commissione. All'anonimo è allegata la "prova" del percorso di quella
tangente: il prospetto di un impegno di pagamento, attraverso lo Ior, di 36
tranches da 512 mila dollari su conti della Cassa di Risparmio di San
Marino. Il prospetto è firmato dall'avvocato Paoletti.

Sono accuse di carta che risultano molto convincenti per il «presidente
gentiluomo». Senza attendere il secondo anonimo (che arriverà soltanto il 4
febbraio, sette giorni prima del terzo, 11 febbraio), convoca Fabrizio
Paoletti. Con urgenza. L'avvocato è interrogato il 14 gennaio. Il
canovaccio della grande trappola è in questo interrogatorio. Nero su
bianco. Pubblico e accessibile a tutti nel sito www. parlamento.it . Sono
17 pagine di botta e risposta che svelano la trama con le parole di chi è
chiamato a condurla. Vediamo.

Se si tiene conto delle sue parole, Enzo Trantino non sa (è il 14 gennaio)
chi è Igor Marini. Ne ignora l'esistenza e d'altronde il cacciaballe che
lavora ancora come facchino al mercato ortofrutticolo di Brescia apparirà
al proscenio di San Macuto soltanto il 7 di maggio, quattro mesi dopo. E il
pm romano, che di Marini si è occupato e su di lui indaga in quel momento,
Beatrice Barborini, sarà ascoltata in commissione solo il 12 febbraio, un
mese dopo l'interrogatorio di Paoletti.

Trantino mette le mani avanti: è stato Paletti a fare il nome di Marini.
Non è così. Quel 14 gennaio, a un Paoletti frastornato, viene mostrato il
prospetto allegato all'anonimo dell'8 gennaio. Paoletti riconosce la carta,
ne spiega la falsità, nega di avere conti a San Marino. Non fa nomi. Il
presidente Trantino allora lo interrompe e gli chiede: «Lei conosce Marini
Igor»? (pagina29 della trascrizione ufficiale della seduta del14
gennaio).Non è dunque Paoletti a fare quel nome,ma Trantino. Perché? Come
fa il presidente a sapere, già il14 gennaio, il nome che sarà"uomo chiave"o
"uomo boomerang" dell'affare? Per quale divinazione Trantino conosce
l'esistenza di «Marini Igor»?

Il presidente dunque bluffa. Non è il solo bluff. Altre favole e cabale
devono essere nascoste dietro le curiosità del «presidente gentiluomo»
perché le domande che egli pone a Paoletti si muovono con un background
ignoto lungo un percorso incomprensibile, e non si tratta soltanto di Igor
Marini. Viene chiesto a Paoletti se conosce il signor Questo o il signor
Quello. Da dove saltano fuori quei nomi? Chi li ha suggeriti a Trantino e
perché il presidente li suggerisce? Sostenuto da Carlo Taormina, Trantino
chiede a Paoletti: chi è tal «D'Andria Renato»? Chi è «Rubolino Giorgio»?
«Ha mai conosciuto tali Salvatore e Nicola Spinello?» ? E Taormina, di suo,
aggiunge: «Conosce tale Curio Pintus?». E poi: «Conosce Robelo,
ambasciatore del Nicaragua in Vaticano?». (Ne sbaglia il nome, lo chiama
Ropledo).

L'elenco di nomi stupisce e confonde. È difficile trovare la ratio o le
informazioni che spingono il «presidente gentiluomo» e l'avvocato con la
passione per le manette (Taormina ha chiesto l'arresto di Prodi, Fassino e
Dini) a rammentare questa rosa di nomi. Sarebbe un errore, però, lasciare
cadere la circostanza. Proprio questi nomi raccontano chi sono «i manovali»
messi in movimento da chi ha organizzato e coordinato la grande trappola. E
sufficiente sbrogliare le biografie dei personaggi, evocati da Trantino in
aula a San Macuto, per cominciare a intravedere un ordito.



2. ( Dove si spiega chi sono «i manovali» che incuriosiscono Trantino e da
quale oscuro passato emergono )

Trantino chiede di Renato D'Andria. Chi è? È un commercialista napoletano.
Il 10 luglio del2001 gli investigatori della Dia (Direzione antimafia) lo
arrestano perché sono in grado di documentare come l'uomo con il pallino
degli affari, che truffava sui fondi Cee e voleva mettere le mani sulle
autostrade cisalpine, chiedesse alla sua squadra "privata" di carabinieri
(tra loro un colonnello e due sottufficiali) di costruire dossier falsi
«contro imprenditori nemici, rivali in affari, rappresentanti delle
istituzioni come carabinieri e magistrati», nonché uno scartafaccio
diffamatorio contro l'allora sottosegretario al ministero dell'interno
Massimo Brutti. Scrivono i magistrati napoletani che la "squadra"
organizzata da D'Andria è «una intelligence deviata capace di penetrare nei
gangli delle istituzioni ad altissimi livelli, inquinare le indagini,
attingere informazioni riservate negli archivi dell'Arma, ostentare
familiarità con i servizi segreti nazionali e stranieri». D'Andria -
accerta l'inchiesta - ha avuto rapporti con il defunto "Arkan", la «tigre»
serba responsabile di crimini contro l'umanità nel conflitto bosniaco. E ne
intrattiene con l'eversione neofascista italiana (in particolare con
Maurizio Boccacci, leader del Movimento Politico Occidentale).

È una macchina da «guerra - scrive la procura di Napoli - per abbattere il
sistema e metterlo a tacere con campagne di stampa». Il «sistema» è il
governo di centro-sinistra. Le "motivazioni" sono nella conversazione
intercettata tra D'Andria e il "suo" colonnello dei carabinieri Pietro
Sica. «La motivazione ideologica - dice l'ufficiale dell'Arma - è questa.
Questi magistrati di merda a noi ci hanno sempre fatto il culo e noi siamo
diventati loro nemici. Voi (si intende D'Andria) mi dovete dare questa
collaborazione. Perché quelli che sono i futuri governatori d'Italia
vogliono ovviamente conoscere tutto di tutti per sapere chi è affidabile e
chi meno...».

E quel Robelo che rende inquieto Taormina? Lo si ritrova in un'indagine
della Procura di Aosta del 1995. Alvaro Robelo, massone, è stato
ambasciatore del Nicaragua in Vaticano, correrà per le presidenziali del
suo Paese con un partito clone di Forza Italia, "Arriba Nicaragua", Forza
Nicaragua. Ora, è interessante notare che nell'inchiesta di Aosta, il nome
di Alvaro Robelo si intreccia con i commerci di Gianmario Ferramonti,
personaggio singolare e dai singolari interessi, telefonicamente
rintracciabile, in quel 1995, attraverso la"batteria" del Vicinale. La
Guardia di Finanza accerta che Ferramonti va informandosi di presunte
«partite di denaro libico trattate dalla signora Dini». Non solo.
Intercettato, il 20 novembre 1995, è al telefono con Domenico Presacane.
Parla di Romano Prodi. Della sua gestione dell'Iri. Della necessità di
«portare in tribunale i libri contabili con i bilanci consolidati Iri». È
il 1995. L'affare Telekom Serbia si chiuderà soltanto due anni dopo, ma
Ferramonti, che racconta a Umberto Bossi di essere vicino ai servizi
segreti, vuole già colpire il «grande traditore del ribaltone» (Dini) e il
futuro antagonista di Berlusconi (Prodi). Potrebbe già bastare. E tuttavia
la bulimia accusatoria ha reso impaziente Enzo Trantino. Pare che tocca a
lui mettere in moto, presto, subito, la macchina dei sospetti. Il
presidente squaderna un rosario di nomi ed è utile vagliarlo. Il
«presidente gentiluomo» chiede a Paoletti il 14 maggio: «Ha mai conosciuto
tali Salvatore e Nicola Spinello?». Chi diavolo sono? La risposta è negli
archivi. Sono padre e figlio, sono massoni. Hanno fondato "Uniti nella
libertà", una loggia spuria che - accerterà l'indagine che li porta in
carcere - ha quale obiettivo il «condizionamento dell'attività
parlamentare». Quando li arrestano, gli investigatori scoprono che nel 1991
Salvatore Spinello si è messo «a disposizione di Cosa Nostra per rimuovere
Giovanni Falcone». La loggia degli Spinello, con un forte radicamento a
Catania, si appoggia nella Capitale a una società, la "Pragma", in via
Prati della Farnesina. «In quegli uffici - annotano i magistrati - si
riuniscono settori deviati dei servizi segreti». Sulla testa del povero
Paoletti, il 14 gennaio, Enzo Trantino fa piovere anche i nomi di Michele
Amandini e dell'avvocato Vittore Pascucci. Su di loro, vale la pena
ricordare quanto scritto dal pm romano Francesco Polino, che li manda a
giudizio il 14febbraio di quest'anno per una truffa che è la "madre" della
balla da 120 milioni dollari cui si ispirerà Igor Marini nelle
sue"rivelazioni". Amandini e Pascucci sono due truffatori, «impegnati a
introdurre e impiegare. nel territorio dello Stato italiano, falsi
strumenti finanziari utilizzati per ottenere linee di credito dal sistema
bancario». Nella storia di Vittore Pascucci, avvocato, c'è un altro
elemento non trascurabile: è l'uomo che nel 1996 tenta di screditare
Stefania Ariosto, testimone nei processi Previti/Berlusconi, accusandola di
avergli consegnato «titoli falsi».Si può ora tirare qualche filo perché
appare finalmente chiaro che cosa unisce quei nomi evocati, come una
scarica di fucileria, da Enzo Trantino. Gli elementi di identità in quelle
storie oscure sono visibili e così evidenti da poterli quasi toccare. Il
comune denominatore è in alcuni tratti: sono uomini alla rovina che non
hanno più nulla perdere perché hanno già perduto tutto; sono truffatori che
organizzano virtuali giostre finanziarie in giro per il mondo; si
presentano come collaboratori dei servizi segreti, o forse in alcune
occasioni lo sono davvero. Comunque sempre hanno un rapporto con ambienti
del neofascismo, con gli apparati della sicurezza, spesso con la
massoneria. Tutti hanno un passione irresistibile per i dossier falsi da
usare contro gli avversari. Tra loro, c'è chi ha già svelato di volerne
costruire contro Prodi, Dini, i governi del centro-sinistra, i magistrati,
i testimoni sgraditi. È forse giunto il tempo che Enzo Trantino spieghi per
quale ragione, grazie a chi e a quali informazioni, propose quei nomi
opachi a San Macuto. Dovrà spiegare, ad esempio, perché chiese di Giorgio
Rubolino. Accusato dell'omicidio del giovane giornalista de Il Mattino
Giancarlo Siani, scagionato, diventato «operatore finanziario» (truffatore
finanziario), arrestato a Londra, viene trovato morto nel suo appartamento
in agosto. Pochi credono a una morte naturale o a un suicidio e la procura
di Roma ha disposto la riesumazione del cadavere. Che c'entra Rubolino con
Telekom Serbia? Perché Trantino è incuriosito da Rubolino?



3. (Dove si spiega come dalla rosa dei «manovali» viene estratto il nome di
Antonio Volpe )

Quel 14 gennaio, il primo nome in cima alle curiosità di Trantino è un tale
che si chiama Antonio Volpe. Trantino chiede a Paoletti: «Conosce tale
Volpe Antonio?». Paoletti risponde: «Sì, ha comprato il castello di una mia
cliente ma non ha pagato il prezzo». Trantino insiste: «Con il signor Volpe
ha mai curato transazioni finanziarie?». E Paoletti: «No, abbiamo tentato
di occuparci di contratti».Trantino (dice lui) ha in mano soltanto
l'anonimo dell'8 gennaio: e allora da dove salta fuori il nome di Volpe? In
quella lettera, nell'allegato prospetto finanziario non c'è.
Dall'insistenza del «presidente gentiluomo» è ragionevole concludere che
ancora una volta bluffi e che sappia di Volpe vita e miracoli e,
soprattutto, disponibilità e intenzioni. È utile spiegare chi è Antonio
Volpe (in questa pagine si potranno leggere alcune biografie dei «manovali»
chiamati a raccolta a San Macuto).

Chi conosce Antonio Volpe è accanto a Trantino. Si chiama Guido Longo, è un
ex capo centro della Dia, oggi incaricato dal Viminale a fare l'ufficiale
di collegamento tra il Dipartimento di pubblica sicurezza e la Commissione
Telekom. Guido Longo ha arrestato per mafia Volpe a Palermo. Sa che è un
brutto soggetto. Sa che è un truffatore. Per questo, gli ha messo le mani
addosso. Non è il solo guaio sul groppo dell'uomo.

In un'indagine della Procura di Roma, Antonio Volpe appare impicciato con
Francesco Pazienza mentre lo spione piduista è impegnato a costruire, con
la complicità di alcuni poliziotti, un falso dossier contro il capo della
polizia Gianni De Gennaro e Luciano Violante, per costringere l'allora
presidente della Camera a intervenire sui giudici di Bologna e riaprire il
"caso Pazienza". Di dossier avvelenati, Volpe ha una buona esperienza. Nel
1993, quando lavora alla Camera dei deputati come «collaboratore per la
sicurezza esterna» del presidente della giunta per le autorizzazioni a
procedere, Gaetano Vairo, viene accusato da Bettino Craxi di essere un
mestatore. Scompare, ma non cambia mestiere. Nel '98 fonda a Roma
l'associazione "White Helmets Europe", opaco "braccio europeo" di una
fondazione madre con sede in Argenti-..Nel comitato consultivo
dell'associazione siede Loris Facchinetti, ex estremista di destra. E del
resto, con una certa destra Volpe ha consuetudine. Non è un segreto la sua
amicizia, dal 1989, con un altro estremista nero, Marco Affatigato. Alla
"White Helmets" appartengono un centinaio di soci, per lo più ex uomini
delle forze dell'ordine. Volpe, che ne è presidente, ama vantarsi di
"lavorare con le istituzioni". Lo fa anche con l'avvocato Fabrizio Paoletti
che conosce alla fine degli anni '90. Dice Paoletti: «Si presentava con un
ufficiale dei carabinieri che diceva fosse suo fratello».

Sicurezza e truffe, a Volpe interessano anche quelle. Nell'87 è sotto
inchiesta per falso monetario. Ancora nell'87, finisce in manette perché in
possesso di falsi certificati di deposito. Nel '93, l'accusa di
associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio.

Le caratteristiche necessarie per ricevere l'attenzione di Trantino ci sono
tutte, dunque: truffatore internazionale, amico di qualche spione, finto
spione egli stesso, calunniatore. Facciamoci raccontare le mosse di Volpe
da un suo ex sodale: Giovanni Romanazzi, oggi a Bangkok, dove è riparato a
fine giugno per sottrarsi – dice - alle minacce e alle ricadute di Telekom
Serbia, a cui è estraneo.

Racconta dunque Romanazzi: «La mattina del 7 gennaio 2003 mi arriva una
telefonata di Antonio Volpe. Un amico comune mi aveva avvertito che mi
stava cercando urgentemente per notizie che mi riguardavano. Mi dice:
"Ciao, come stai .... Ho bisogno di sapere cosa c'entri con la società
Lannock, perché i miei amici, servizi e commissione, stanno indagando sulla
società ed è spuntato il vostro nome collegato all'ordine di pagamento
dello Ior che avevamo controllato tempo fa... Mandai immediatamente una
mail di spiegazione».

Il significato della conversazione va decrittato. Cominciando con il
ricordare quel pezzo di carta (il prospetto) arrivato in Commissione l'8
gennaio. Che prevede 36 tranches di pagamento da 512 mila dollari ciascuna
in partenza dallo Ior e destinati a san Marino. Bene, il 7 gennaio, vale
adire il giorno precedente all'arrivo in Commissione dell'anonimo chea
prirà la sconcia danza, Volpe dice di essere già al lavoro «con gli amici
della commissione e i servizi» su documenti e società. Quali? Guarda caso
esattamente quella (la Lannock) che figura nel prospetto finanziario dello
Ior allegato all'anonimo dell'8 gennaio. Lo stesso che Trantino mostrerà a
Paoletti durante la sua audizione. Dunque? Trantino ancora una volta non ha
raccontato la verità e finalmente si comprende chi è l'estensore
dell'anonimo che innesca la trappola. E' Antonio Volpe. Romanazzi offre
un'ulteriore circostanza che sembra cancellare ogni dubbio: «Del prospetto
finanziario arrivato con l'anonimo in Commissione giravano diverse copie.
Una l'aveva Paoletti, un'altra il sottoscritto, un'altra Igor Marini e una
quarta Antonio Volpe. Voi che dite, chi l'ha mandato?». Antonio Volpe,
suggerisce Romanazzi.

Nel canovaccio della Grande Trappola, tutto sembra filare liscio. Paoletti
è finito sulla graticola il 14 gennaio. Marini è apparso sulla scena il 7
maggio e ha avuto campo libero. Lo schiacciasassi delle "rivelazioni" si è
messo il movimento. Nessuno, il 31 luglio, eccepisce, quando Volpe bussa a
San Macuto vestendo i panni del mite ambasciatore incaricato di consegnare
un dossier che «prova le accuse di Marini». Il Giornale lo intervista con
clamore: è addirittura «il supertestimone».

Ma c'è un piccolo inconveniente in cui incorre Volpe, e i suoi mandanti non
gliene saranno grati. In quello scartafaccio consegnato dal presidente
degli Elmetti Bianchi, l'inserimento delle abbreviazioni «mortad.» (Prodi)
e «ranoc.» (Dini) accanto a presunti ordini di pagamento è palesemente
falso come ha accertato la Procura di Torino e come svela L'espresso oggi
in edicola.

Bisogna ora riepilogare. La Commissione del «presidente gentiluomo» in
gennaio è già pronta a utilizzare una serie di personaggi dalle stesse
biografie e caratteristiche che possano (perché già lo hanno fatto in
passato) costruire da un falso finanziario virtuale, organizzato a scopi di
truffa, una calunnia politica. Da questa rosa viene estratto il nome di
Volpe. Il suo giro aveva già pronto lo scartafaccio cartaceo di una truffa,
nota agli investigatori come il "rolling program", programma di finanza
virtuale per la raccolta di liquidità sulle piazze finanziarie. Era
sufficiente trovare un testimone sufficientemente disperato da essere
disponibile a dire che quei soldi virtuali (ovviamente inesistenti) erano
una tangente pagata a leader politici (Prodi, Fassino, Dini). Il disperato
lo si è trovato in Igor Marini, precipitato dalle promesse di una
luccicante vita di conte-attore al facchinaggio in un mercato di
ortofrutta. Il resto doveva essere lavoro dei politici della maggioranza in
commissione e del sistema mediatico controllato dal Cavaliere presidente
del consiglio. Il gioco era fatto. Perché le rogatorie in Indonesia e Stati
Uniti, i paesi dove portava il falso virtuale, avrebbero impiegato mesi se
non anni. Tempo sufficiente per un efficace, definitivo killeraggio
politico.

Una banalità fa saltare il gioco per aria. Marini vede distrutte le prime
tre balle (il piano di pagamento dello Ior; le garanzie su titoli di un
ordine ecclesiastico inesistente; la negoziazione di una garanzia per un
rubino depositato a Jakarta). Punta allora tutto sulla quarta e piazza 120
milioni di dollari (la consistenza della tangente presunta) nell'unico
luogo da cui doveva star lontano. Il Principato di Monaco. Qui, sono al
lavoro un paio di giudici, che alle rogatorie danno risposte in pochi
giorni. Se non, a volte, il giorno stesso: il principe Ranieri non vuole
truffatori tra i piedi a rovinare la sua ricca piazza finanziaria. La
Procura di Torino può così accertare rapidamente che Marini ha mentito su
tutto.

Lasciamo quindi quel povero cacciaballe al suo destino. Non è più lui al
centro del viluppo. Al cuore della storia c'è a questo punto una domanda:
chi, alla fine dei 2002, invita a raccolta calunniatori professionali,
pescati in ogni angolo di Italia? A Palermo, a Torino, a Roma, a Napoli, La
Spezia?



4. ( Dove si racconta qualche coincidenza e ci si chiede se cinque
coincidenze fanno un indizio o soltanto una somma di coincidenze )

Renato D'Andria è al lavoro a Napoli e a Torino. Antonio Volpe si muove a
Palermo e nella Capitale. Curio Pintus (è un altro dei nomi cari a
Taormina,vedi scheda) lo beccano a Lucca e agisce a Milano. Giammario
Ferramonti si aggira nelle valli della Lega e lo si vede nei dintorni del
Viminale. È ragionevole chiedersi quali sono le connessioni tra questi
uomini, chi può aver fatto da nesso o collegamento. Difficile resistere
alla suggestione delle coincidenze.

Carlo Taormina è egli stesso una deliziosa coincidenza in quest'affare.
Difende come avvocato D'Andria. Lo fa minacciando: «Il mio assistito ha
parlato degli interventi anomali nell'accaparramento degli appalti che
riguardano la sinistra, di una grossissima operazione di pochi anni fa che
riguarda l'lri. Molte persone devono preoccuparsi» (Milano, 19 luglio
1999). Taormina è il difensore di un imputato (Roberto Fracassi) del falso
"dossier Violante" in cui è stato indagato Antonio Volpe. E' avvocato
dell'imputato Giuseppe Di Bari nel processo per la truffa virtuale nel
Principato di Monaco a cui si ispira Igor Marini per le sue balle.
Coincidenze, come ovvio.

È una coincidenza, anche, che quando Ferramonti (ricordate, Alvaro Robelo
l'ambasciatore del Nicaragua?) si dà da fare già nel 1995 per costruire
dossier falsi contro Prodi e Dini lo si rintracci ospite in casa di
Gianpiero Cantoni. Chi è? Ex presidente della Bnl,oggi senatore di Forza
Italia, columnist de Il Giornale e, naturalmente, influente membro della
Commissione Telekom. Coincidenza.

Alfredo Vito,infine. Bella storia la sua. Tangentista confesso, ora
implacabile inquisitore, con asprezze degne di un Andrei Januarevic
Vysinskij.  Il Riformista ha svelato che Vito «è tra gli amici» di Antonio
Volpe. Ne è venuto fuori un parapiglia. Vito, indignato, smentisce e
querela. Spiega di aver incontrato Volpe soltanto una volta in luglio.
Quando quell'altro insisteva per consegnargli un dossier che avrebbe poi
dato aTrantino (abbiamo visto come Volpe si vantasse di frequentare San
Macuto fin dal 7gennaio e non da luglio). Alfredo Vito non la racconta
tutta. Il 4 settembre, con Antonio Volpe, Alfredo Vito è stato fermato e
identificato dalla Guardia di Finanza in un bar di piazza san Silvestro a
Roma. Non si comprende l'omissione del tangentista fattosi inquisitore. In
fondo è soltanto una coincidenza che conosca Antonio Volpe e che lo
incontri. Una, due volte, che importanza ha?

Dicono qualcosa queste coincidenze? Forse soltanto che, nella Commissione
Telekom, c'è qualche (possibile) trait d'union tra le vite disperate, così
uguali e così lontane, che si sono improvvisamente affollate a San Macuto,
pronte a trasformare un virtuale e truffaldino falso finanziario in una
calunnia politica. Sono ora espliciti i traffici di Antonio Volpe,
sgonfiate le panzane di Marini, più chiare le mosse oblique del presidente
Enzo Trantino. E' allo scoperto il network di contatti di Carlo Taormina,
al centro di un sistema che tocca in basso, molto in basso, un tipaccio
come Renato D'Andria e in alto, molto in alto, addirittura il presidente
del Consiglio. La Grande Trappola svela la sua trama, i manovali, i
manovratori. C'è ancora filo da tessere. Chi sono i burattinai, e quali
saranno ora le loro mosse?

(hanno collaborato Ettore Boffano eAlberto Custodero)