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Gli immigrati



Carissimi, vi allego la lettera che Ettore Masina ha inviato ai suoi amici,
sul tema delle immigrazioni.
Trovate un minuto di tempo per leggerla, ma soprattutto tanto tempo per
riflettervi.
Un caro saluto
Aldo


LETTERA 91
maggio-giugno 2003 
1
Le cronache ne parlarono a lungo. Intere famiglie andavano a vedere quel
quadro maledetto, esposto in un "salon" parigino. Gli uomini impallidivano,
i bambini  facevano domande moleste o scoppiavano in singhiozzi, e molte
signore svenivano. Le onde di un mare in tempesta e il gruppo di uomini
laceri o del tutto nudi che si affollavano su una zattera squassata dal
vento sembravano uscire dalla tela o, al contrario, trascinare nella loro
tragedia gli spettatori.
Era il 1816 e "La zattera della Medusa", di Thèodore Gericault, raccontava
con straordinaria intensità la terribile avventura di un gruppo di
naufraghi, che, affondato da una tempesta il veliero francese sul quale
viaggiavano, s'erano accalcati su un relitto ed erano rimasti senza
soccorsi  per un'eternità di settimane. Morti la più parte, soltanto una
quindicina di uomini erano stati tratti in salvo da una nave di passaggio.
I corpi bruciati dal sole e dalla salsedine, i capelli arruffati, le lunghe
barbe, le piaghe non svelavano tutte le sofferenze sopportate. Al momento
del salvataggio, invece di esprimere gioia, erano sembrati curvi sotto il
peso di qualche infamia. Più tardi s'era saputo che su quella povera
imbarcazione era avvenuto "di tutto", anche episodi di cannibalismo.
Meno emotivi di quei francesi di duecento anni fa, noi uomini non
impallidiamo e le nostre donne non svengono (forse qualche bambino piange e
certamente molti porgono domande moleste) mentre, durante i nostri pasti, i
telegiornali ci mostrano le immagini dei clandestini  che muoiono, ormai
più di mille, in un mare su cui navigano placidamente le nostre
"ammiraglie" da crociera, in vista delle nostre coste gremite di sereni
bagnanti.
Forse per commuoverci ci manca il particolare del  cannibalismo.
2
Temo di non sbagliarmi se dico che il senso di minaccia  prevale nella
maggior parte degli italiani sul sentimento della compassione (una volta si
sarebbe detto: sullo spirito di fraternità umana)  e sulla necessità
razionale di affrontare i problemi della nostra era. Bombardati da notizie
che insufflano nell'opinione pubblica la convinzione di essere invasi, e da
commenti che mai esaminano seriamente la complessa realtà delle migrazioni,
è la nostra tranquilla agiatezza che sentiamo aggredita. "Far posto",
"dare" andava bene, secondo noi, per gli africani e gli asiatici che hanno
dovuto accettare il colonialismo (ma la reciprocità non vale); "far posto",
"dare" va bene, secondo i più, per gli arabi che hanno  dovuto cedere
terre, campi e case agli ebrei in nome di uno sterminio che non loro ma noi
europei abbiamo provocato; "far posto", "dare" va bene per gli iracheni e
per gli afgani che in nome della democrazia petroliera  sono passati da
orrende dittature  a  un' occupazione militare che moltiplica le uccisioni
di nativi. Noi, no: noi siamo esenti da ogni dovere di condivisione. Non
lavoriamo forse duramente? Non paghiamo le tasse? Si guardi com'è nobile e
pronta la nostra generosità ai margini delle partite di calcio "del cuore".
Persino molti di quelli che giudicano ignobile l'imperialismo  americano e
i delitti della Casa Bianca contro l'umanità (le guerre preventive, lo
stupro del diritto internazionale, la retrocessione  infame dai patti per
la salvaguardia del creato) persino molti di questi, se ne accorgano o no,
ne condividono la feroce ideologia: guai a chi tocca non solo l'american ma
la our way of life, il nostro stile, il nostro livello di vita.
3
Per conservarlo siamo disposti a tutto. C'è un dato che riguarda ciascuno
di noi come cittadino della repubblica italiana ed elettore o
non-avversario attivo del suo governo. Su 110 mila domande di asilo
presentate da persone che si definivano profughi politici, l'anno scorso ne
sono state accettate 10 mila. Chi non sa cosa sia un profugo politico
fatica a rendersi conto dell'atrocità del dato. Un profugo del genere
arriva fra noi dopo terribili traversie, senza documenti, senza sapere la
nostra lingua, talvolta, dall'atrocità delle esperienze subìte, ridotto
all'impossibilità di parlare. Ciò che l'Italia "istituzionale" gli offre è
un interrogatorio frettoloso, spesso senza interpreti adeguati, da cui è
esente ogni reale interesse per la sua storia, il suo stato di choc, i
segni delle terribili sevizie subìte etc. Su ogni altro particolare prevale
quello di una possibile pericolosità. Bisogna leggere le relazioni dei
Medici di Amnesty International per rendersi conto della croce su cui
questi miseri fra i miseri rimangono, per responsabilità italiana,
inchiodati.  Avere respinto 100 mila domande su 110 mila significa, con
ogni certezza, avere eliminato migliaia di bugiardi e qualche possibile
terrorista ma anche avere riconsegnato decine di migliaia di persone ai
loro torturatori - o peggio.
4
All'inizio i clandestini venivano dalle sponde del Mediterraneo,
dall'Africa del Nord, dall'Albania, dall'Egitto, dalla Turchia. Poi
comparvero quelli delle guerre cosiddette locali: kurdi, palestinesi,
iracheni. Adesso cominciano ad arrivare dal cuore dell'Africa Nera. Per
arrivare sulle coste del mare "nostro" affrontano odissee che fanno
impallidire le storie omeriche. Sono incalzati dalla loro fame, dalla fame
e dalla sete dei loro figli, dalla ferocia  dei signori tribali della
guerra, foraggiati dai mercanti d'armi (ormai, per quel che riguarda
l'Italia, senza più controlli). Sono i figli della disperazione e si
aggrappano a quell'esile divinità che è la speranza di chi non vuole morire
giovane. Noi li consideriamo non solo persone da ricacciare, ma dei furbi,
clandestini per vocazione delinquenziale. Come mostrano i risultati di un
recente referendum, non ci interessa preservare i nostri bambini dallo
"smog" dell'alta tensione, i pericoli per loro e per noi, sono altri, sono
le possibili modifiche al panorama umano che ci sta intorno. Noi onoriamo,
giustamente, chi cerca la libertà, ma ci piacciono quelli che si possono
permettere il lusso di desiderare le libertà con la L maiuscola. Quelli che
invocano la libertà di non morire a trent'anni, li consideriamo gente da
cui guardarci. E comunque sono troppi.
5
Davvero? Persino quel sensibile terzomondista che è il nostro Sorridente
del Consiglio è costretto ad ammetterlo: abbiamo ancora grande bisogno di
terzomondiali per le nostre industrie. le nostre campagne, la  cura dei
nostri vecchi abbandonati dallo Stato. Ma lui si è portato dietro, al
governo, pur di salvarsi dalla galera, il peggior gruppo di razzisti e di
pirla senza cultura che abbia mai infestato l'Italia dal 1945 in poi.
Quindi non può insistere, deve barcamerarsi.
Già: in barca anche lui.
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Tuttavia, è un fatto: grazie a provvidi fecondatori come il FMI, il WTO, la
BM e altre sigle ed enti diabolici della nostra epoca, l'Africa, il ventre
nero dell'Africa, partorisce, ogni anno, milioni di disperati. Così il
ventre dell'America di lingua spagnola e quello dell'Asia di venti lingue
diverse. Il problema è planetario, il terrorismo dei disperati è una specie
di preavviso di ciò che può avvenire e quasi certamente avverrà, in un
crescendo che forse risparmierà quelli che sono adulti in questi anni ma
che certamente si rovescerà come una mostruosa ondata di violenza sui
bambini che diciamo di amare.
Un problema planetario può essere risolto solamente da uno sforzo
planetario. Quasi azzerate dal disprezzo imperiale degli Stati Uniti le
agenzie dell'ONU, ridotte, dall'incuria degli altri stati, a una congerie
di burocrati superpagati e, salvo eroici esempi, fannulloni sull'orlo degli
abissi di miseria, bisogna ricreare nuovi legami fra nazioni per una
strategia d'insieme.  Si comincia a capirlo ma, per il momento, siamo
ancora all'ottusità dei NO, cioè dei divieti, dei respingimenti, dei muri,
I muri dell'odio servono a poco, la disperazione è capace di aggirarli, di
scavalcarli, di perforarli. Che cosa non è capace di fare la disperazione?
Penso non soltanto al muro di Berlino e a quello eretto da Israele, con
ulteriore rapina di campi e di acque ai palestinesi e ridicolizzato dai
kamikaze, ma anche  a quello fra Texas e Messico, che non riesce a essere
impermeabile come gli americani vorrebbero, neppure adesso che alcuni
galantuomini yankees hanno formato squadre armate e munite di cani da
inseguimento "per aiutare i rangers"; e pare che l'aiuto abbia
frequentemente anche un risvolto, come dire?, cimiteriale. Perché l'odio
che dice  "no", che dice "è mio", che dice all'altro "non hai il diritto di
vivere" è regressivo, dicono gli psicologi, cioè fa tornare l'adulto
all'infanzia, che può essere crudelissima.
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Sì, stiamo davvero tornando indietro se è vero -ed è vero, purtroppo, che
qualcuno, in Gran Bretagna ma non solo, pensa che non soltanto dovremmo
respingere i migranti ma neppure trattenerli, per le necessarie pratiche
del respingimento, in territorio europeo: grandi campi di raccolta (che
vuol dire concentramento; o no?) dovrebbero essere istituiti in qualche
paese extracomunitario (suppongo sulla sponda nordafricana del
Mediterraneo) e affidati ai governi locali, Notissimi per il rispetto dei
diritti umani dei loro sudditi, Algeria, Marocco o Tunisia diverrebbero
carcerieri in grande stile per mandato (e stipendio) dell'Europa.
Del resto, i lager non sono stati inventati da Hitler e sono nati proprio
in Africa. Sono gli inglesi a usarli come strumento di management degli
sconfitti boeri e gli italiani che se ne servirono per eliminare con la
fame decine di migliaia di cirenaici che non volevano arrendersi al
colonialismo romano.

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Politica dei respingimenti manu militari, politica dei muri, politica dei
lager, per quanto spietatamente possa essere attuata questa strategia, non
v'è chi in cuor suo, se ha un minimo di cultura, non comprenda che si
tratta di dighe effimere perché la pressione dei popoli della fame, prima o
poi, diventerà incontenibile. Non basta respingere i vascelli corsari e
neppure impiccare i trafficanti d'uomini, che sono un semplice ancorchè
orrendo dettaglio del problema: bisogna dare possibilità di vita ai
continenti della disperazione. I G8 non sembrano capirlo. Quando Lula prova
a dirglielo, lo massacrano di pacche affettuose sulle spalle, con lo stesso
slancio con cui i genitori carezzano il bambino che ha  scritto una
letterina così bella a Babbo Natale. I piani dei G8 non contemplano le
utopie: e gli sembra utopico tutto ciò che si spinge al di là degli
appuntamenti elettorali e magari dei listini di borsa. I G8, a cominciare
dal nostro ineffabile Sorridente del Consiglio, sono dei furbi a corto
raggio, degli idioti a medio termine, dei criminali sui tempi lunghi.
Passeranno alla storia come Maria Antonietta, ghigliottina e portamento
regale esclusi.
Tuttavia il problema non è soltanto loro. Essi possono manipolare le
democrazie come vogliono (non dimentichiamo mai che l'imperatore Bush II è
salito al potere con il consenso espresso di un quarto degli americani) ma
l'opinione pubblica conserva pure un suo peso.
Tocca anche a noi decidere cosa vogliamo e dirlo nel più efficace dei modi,
collegandoci a uomini e donne che la pensano come noi, quindi facendo
politica in uno dei tanti e tanti modi in cui è ancora possibile farne.
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L'esistenza del sistema in cui viviamo è legata a una continua espansione
dei consumi. L'appello incessante  a spendere, che Berlusconi ci rovescia
addosso dagli schermi della sua televisione monopolista, non è soltanto una
richiesta che fa leva sul nostro edonismo e sulla nefasta e nefanda idea
che "avere" significa essere (e dunque "trattenere", "negare agli altri"
significa difendere la propria identità); è anche una regola dell'economia
neoliberista. Tuttavia il risultato delle spese come sostegno dell'economia
non è necessariamente quello della spesa individuale e individualistica.
Grandi programmi di spesa "collettiva" possono dare gli stessi frutti. Se
ne sono accorti i fabbricanti d'armi e dell'indotto, i quali, difatti,
continuamente generano quei grandi programmi di spesa che sono le guerre.
E' possibile dare vita a un'economia di pace, nella quale anche i problemi
dei continenti della fame abbiano parte? Perché no? L'umanità ha già
dimostrato più volte, quando davvero lo ha voluto,  la possibilità di dare
vita a un'ingegneria planetaria capace di trasformare grandi aree. Penso
allo sforzo comune nella lotta contro Hitler, al piano Marshall. Un grande
impegno di capitali potrebbe insieme garantire finalmente, per esempio,
acqua potabile a quel miliardo e più di esseri umani che ne manca e insieme
sostenere l'economia mondiale.
Ma bisogna che qualcuno lo voglia. E che per questo sia anche capace di
rischiare. Come ha scritto il cardinale Martini: "Non basta invocare la
pace: bisogna essere disposti a sacrificare anche qualcosa di proprio per
questo grande bene e non solo a livello personale ma anche a livello di
gruppo, di popolo, di nazione".
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Siamo troppo pochi a crederci? Io penso che non sia più così. Penso che un
poco alla volta stiamo diventando parte di un popolo sempre più numeroso:
Ma bisogna essere coraggiosi e capaci di stringere legami, moltiplicare
legami, cercare e cercare ancora, testardamente. La storia ci moltiplicherà.
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Poiché io sono cattolico e vivo in un paese in cui (v. l'inchiesta
pubblicata da "La Repubblica" di oggi, domenica, 22 giugno ) l'86 % dei
cittadini si dichiara cattolico e però il razzismo, quello inconsapevole ma
anche quello consapevole e dichiarato , è particolarmente presente  nelle
zone "bianche", mi domando se la catechesi in ordine alla fraternità abbia
uno sviluppo che si può dire consolante. Sono passati quarant'anni da
quando il Concilio inserì nel più importante dei suoi documenti, la
costituzione dogmatica Lumen Gentium, queste parole: "La Chiesa riconosce
nei poveri e nei sofferenti l'immagine del suo Fondatore"; e richiamò una
terribile lezione dei Padri della Chiesa: "Nutri colui che è moribondo per
fame perché se tu non lo nutri, sei tu che lo uccidi". Cone sarebbe bello
che su questo tema i vescovi della Lombardia e del Triveneto, tutti
insieme, chiamassero i loro fedeli a meditare, a confrontarsi con il
vangelo.