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ART. 18:UN RISULTATO DESTINATO A PESARE



Dopo aver condotto la campagna referendaria a favore del SI presiedendo il
Comitato provinciale di Brindisi, Michele DI SCHIENA ha scritto nei giorni
scorsi questo commento sui risultati - che invio in ritardo per mie
difficoltà tecniche - con una lettura un po' diversa di chi ha parlato di
"sconfitta".

Affido alla vostra riflessione e diffusione se condividete.



REFERENDUM SULL'ART. 18:

UN RISULTATO DESTINATO A PESARE



Se il referendum sull'art. 18 non ha raggiunto il "quorum" ha sicuramente
saputo leggere nel "cuore" di milioni di cittadini dando voce alla loro
sensibilità e alla loro passione politica che vanno in direzione opposta a
quella delle scelte del Governo e della Confindustria perché chiedono
l'estensione delle garanzie contro i licenziamenti illegittimi e, più in
generale, la salvaguardia ed il rafforzamento dei diritti e delle tutele
sociali. Quegli oltre dieci milioni di lavoratori che hanno detto "si" al
referendum sono in realtà l'espressione più consapevole e combattiva di
un'area di opinioni e di orientamenti assai più vasta alla quale è stato di
fatto impedito di esprimersi nella sua interezza con metodi ed espedienti
che puzzano lontano un miglio di "frode democratica": l'oscuramento
televisivo e largamente giornalistico del referendum, la disinformazione
sul suo oggetto e le bugie "terroristiche" sulle sue conseguenze, la scelta
di giorni praticamente estivi per lo svolgimento della consultazione, il
collocamento della consultazione medesima a ridosso di due stancosi turni
elettorali che avevano interessato diverse regioni del Paese, la decisione
"bipartisan" di sommare all'astensionismo fisiologico (sempre notevole nei
referendum) quello cosiddetto consapevole ed infine le indicazioni per
l'astensione dal voto provenienti dai gruppi dirigenti del novanta per
cento delle forze rappresentate in Parlamento che hanno seminato confusione
e disorientamento.

Questo non basta, è vero, per spiegare l'insuccesso ma si deve tener conto
che una piccola minoranza, quella dei sostenitori del "si" senza riserve,
non poteva essere assolutamente in grado - ed era facile prevederlo - di
informare adeguatamente e di convincere la maggioranza degli elettori
dell'importanza specifica e strategica della consultazione. Ma c'è di più e
cioè che l'esito del referendum sull'art. 18 non può essere giudicato col
metro valutativo usato per le altre consultazioni referendarie perché
questa volta si è trattato di una iniziativa che, oltre ad essere
contrastata da un enorme schieramento politico, chiamava gli elettori, al
di là dell'oggetto specifico del quesito proposto, ad una radicale
pronuncia contro il liberismo selvaggio della maggioranza berlusconiana ed
anche contro il liberismo temperato di larghi settori del centrosinistra a
partire da quelli che si riconoscono negli orientamenti del senatore Treu.
Una scelta che, se riguardata correttamente in quest'ottica, ha riscosso un
consenso veramente incoraggiante.

Nessuna sconfitta quindi e nessun pianto sul latte versato di un esito
messo in preventivo ma la consapevolezza di aver ottenuto un risultato
"importante" perché una larga parte dell'elettorato di sinistra ha detto,
implicitamente ma chiaramente, che è contro il liberismo e perché di questo
si dovrà tener conto sia a destra e sia, soprattutto, nei "quartieri alti"
del centrosinistra. Ed è significativo il fatto che, al di là dei rituali
commenti dei leaders politici e sindacali sull'esito del voto, molti
osservatori di cultura politica moderata (per tutti, Paolo Pombeni su "il
Messaggero" del 17 giugno) concordano nel ritenere che il referendum non ha
segnato una vittoria delle destre e neppure dei "riformisti" dal momento
che gli oppositori delle politiche liberiste in tutte le loro versioni "non
sono poi così pochi" e vanno ben "oltre la metà dei voti globalmente
ottenuti alle politiche del 2001 dall'area dell'attuale opposizione". E -
giova ribadirlo - sono sicuramente, per le insuperabili ragioni indicate,
molti di più degli oltre dieci milioni di cittadini che hanno
esplicitamente approvato il referendum.

Il fatto è che il referendum sull'art. 18 ha posto un problema sociale e
politico di decisivo rilievo: se deve passare o meno nel nostro Paese lo
smantellamento dello stato sociale e la precarizzazione del lavoro con
l'obiettivo di rendere i lavoratori meno liberi dal bisogno, più
ricattabili e più assoggettati alle logiche mercificatici di una politica
che, per tentare di uscire dalla crisi da essa stessa provocata, la aggrava
portando avanti logiche che puntano all'asservimento dei lavoratori e ad un
progressivo impoverimento di massa. Ed allora si deve aprire a sinistra un
ampio e serrato confronto per verificare se e con quali obiettivi si può
dar vita a chiare e credibili convergenze in vista di un'alternativa alla
politica dell'attuale maggioranza. Un'alternativa che va costruita
soprattutto nella società e che si troverà di fronte, come primo banco di
prova, la capacità e la determinazione di opporsi radicalmente alla
cosiddetta "riforma Biagi" per tutelare e promuovere la dignità ed i
diritti del lavoro, quel lavoro indicato dalla Carta costituzionale come
valore fondante della Repubblica.

Brindisi, 19 giugno 2003

Michele DI SCHIENA



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