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SOLIDARIETÀ PER I GAY ARABI



SOLIDARIETÀ PER I GAY ARABI
Fuggono dalla Palestina, dove vengono sottoposti a torture indicibili, per rifugiarsi in Israele. Ma ora vengono espulsi anche da qui: una condanna a morte. Contro la quale parte una campagna europea.
di Mario Cirrito Mar 1-APR-2003  gay.it

MILANO - Un giovane palestinese di 21 anni si apparta, nei pressi di Gaza, con un suo coetaneo. Poche ore dopo la polizia irrompe a casa sua e viene arrestato. In cella vessazioni e torture riempiono le ore e la speranza di trovare energia e respiro viene soffocata da nuove torture. Il giovane omosessuale viene issato per le braccia e calato, fino a rendergli faticoso il respiro, in una pozza d'acqua lercia e il suo capo cosparso di escrementi. Per mesi resta in una cella buia e zeppa di insetti, picchiato e sodomizzato con alcune bottiglie. La famiglia lo minaccia di morte se tenta di far ritorno a casa. Fuggito in Israele, viene fermato dalla polizia di Sharon. E' un irregolare e viene tradotto in carcere in attesa di essere rimpatriato. Se questo dovesse avvenire sarebbe la sua fine! La legge palestinese non prevede la condanna a morte gli omosessuali, ma pare uso corrente infliggerla, accusandoli di alto tradimento: trattati come spie israeliane!

Il giovane di cui abbiamo parlato (l'anonimato è di rigore), sta rischiando la vita. Seppur in tempo di lacerazioni belliche terribili, pensiamo che il diritto alla vita tocchi questi giovani che già vivono, da sempre, in un posto del mondo dove arabi e israeliani non riescono a trovare alcuna pacificazione e, dove giornalmente si muore per mano dell'uno o dell'altro. Per questo ce ne occupiamo. Per questo chiediamo il sostegno e la voce di ogni persona che vuol salvare un suo simile.

Il ventunenne non è il solo caso. El Agudah, l'organizzazione che si batte al servizio della comunità GLBT in Israele, ci informa che altri nove palestinesi arrestati negli ultimi due mesi come irregolari in Israele, rischiano il rimpatrio forzoso in Palestina. Hagai El-Ad, direttore della Open House di Gerusalemme, dichiara: «Nessuno si fa carico di queste persone indifese; torturate nei territori palestinesi per la loro omosessualità e perseguitati in Israele perché senza documenti. Continuano a cadere da una trappola all'altra, fino quasi all'immolazione».

Un portavoce di "Aguda" raggiunto al telefono ci conferma che a tutt'oggi, i giovani omosessuali in attesa di essere rimpatriate nell'inferno di Gaza e in altri territori palestinesi, sono venticinque. Tel Aviv, resta ancora la città più sicura dove questi gay cercano di far perdere le loro tracce e ricucirsi una parvenza di vita normale. Certamente le ostilità dentro i territori occupati e, ancor più, gli attentati terroristici in Israele, non favoriscono comprensione e aiuto da parte delle autorità israeliane. Ancora a febbraio di quest'anno, la polizia israeliana chiudeva un occhio verso questi profughi omosessuali ma, con l'inizio della guerra in Iraq e la sempre più intensa infiltrazione decisionale di gruppi integralisti religiosi nel governo Sharon, la situazione è precipitata e non si pensa che a difendere il territorio, mandando al macello anche persone che nulla hanno a che fare con il terrorismo di Hamas o la Jihad islamica. Così, fuggiti dai territori palestinesi, ricacciati indietro dalle autorità israeliane, venticinque ragazzi omosessuali si ritrovano senza patria: apolidi a causa del loro orientamento sessuale.

In questi ultimi anni sono centinaia gli omosessuali scampati ai poliziotti palestinesi che, secondo informazioni arrivate da alcune associazioni israeliane, sono particolarmente repressivi e persecutori contro ragazzi che amano altri ragazzi. Molti di questi sono riusciti a raggiungere la capitale israeliana; ma per loro la vita rimane fatta di stenti ed emarginazione. Molti, per riuscire a racimolare qualche shekel si danno alla prostituzione, aumentando il rischio di essere presi e messi in galera. A volte, questi ragazzi, si offrono per un povero pasto o non ricevono alcunché se non la minaccia di far intervenire la polizia.

Un rifugiato di Nablus ha passato molti mesi nelle carceri della polizia palestinese in cui ha subìto interrogatori sotto tortura. Ferito con cocci di vetro tagliente, le sue ferite sono poi state cosparse di liquame puzzolente. Ora vive a Tel Aviv, forse!

Informati da Gay.it, ieri gli eurodeputati radicali Maurizio Turco e Marco Cappato hanno depositato due interrogazioni a Consiglio e Commissione Europea sulla situazione di questi omosessuali palestinesi rifugiati in Israele. Chiedono, insieme a Ottavio Marzocchi, da oggi in campo anche su questa nuova battaglia di civiltà e protezione della vita, che il Consiglio e la Commissione Europea intervengano presso il Ministro degli Interni israeliano, Avraham Poraz, ma anche presso l'Autorità Palestinese affinché sia assicurato il rispetto dei diritti umani fondamentali e che la persecuzione contro gli omosessuali sia fermata, e che a quanti si rifugiano in Israele, siano concessi visti temporanei a fini di residenza. Il ministro Poraz ha già risposto negativamente a questa richiesta avanzata nelle settimane scorse da molte associazioni internazionali per i diritti umani. Per questo un intervento della Comunità Europea è oggi più urgente.

Sappiamo che alcune organizzazioni omosessuali italiane si recheranno a giugno in Israele, in occasione del Pride. Crediamo che le organizzazioni omosessuali italiane possano e debbano intervenire ora a favore di questi omosessuali che stanno rischiando la vita. Un Pride che si lascia dietro paure e incomprensioni, tormenti e diritti negati, non può inorgoglire nessuno. Un Pride che sfila su strade dove sono stati fermati gay palestinesi la cui sorte rimane incerta e in pericolo, non può avere alcun carisma di celebrazione. Lanciamo, insieme alle organizzazioni GLBT israeliane, questa campagna per salvare i gay palestinesi. Inviate una mail al ministro Aporaz: aporaz@knesset.gov.il chiedendo di salvare la vita di questi omosessuali.