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La Dama delle Risaie
LA DAMA DELLE RISAIE: UN RAGIONAMENTO SU DESTRA, SINISTRA, MEDIOEVO E RIVOLTA
Roma, gennaio del 2003.
La Basilica di San Pietro non l'avevo mai vista così, delicatamente
illuminata, lievemente verde e insolitamente fragile; e dall'alto del
Pincio, posso immaginarmi l'immenso e infantile presepe che si stringe
attorno all'obelisco egizio che segna, bizzarramente, il centro della
cristianità.
Ma qui siamo in un'altra dimensione, altrettanto improbabile: un Villaggio
Medievale costruito sulla collina che sovrasta Piazza del Popolo, proprio
in questa città dove il Medioevo è l'unica dimensione architettonica a
essere quasi del tutto assente.
Siamo in tre - io, Carolina e Paolo. Va bene che siamo ospiti di un
villaggio medievale, ma lo siamo da abitanti a tutti gli effetti del terzo
millennio. E quindi è importante capire attraverso quali occhi lo visitiamo.
Io faccio il traduttore di manuali tecnici, contratti e pubblicità:
"Quanti pezzi di ricambio
quante meraviglie
quanti articoli di scambio
quante belle figlie da sposar
e quante belle valvole e pistoni
fegati e polmoni
e quante belle biglie a rotolar
e quante belle triglie nel mar"
Carolina ha un po' più di trent'anni, vive con la madre che è pensionata,
in una casa dove il proprietario comunica unicamente attraverso lettere
minatorie del suo avvocato. Diplomata presso l'ISEF, spera di essere
assunta come postina trimestrale; al concorso per la scuola è arrivata
millesima su quattromila, peccato che i posti disponibili fossero quattro
in tutto. Angosciata, eppure capace a tratti ancora di sorridere, Carolina
si considera di sinistra; ed è stata lei, appassionata di costumi
medievali, a raccontarci che sul Pincio era stato "ricostruito un intero
villaggio medievale".
Paolo è dentista. Si considera di destra, con qualche venatura esoterica,
capace comunque di porsi domande e di guardarsi attorno.
Superata una schiera di vigili intenta a multare innumerevoli macchine
parcheggiate nelle posizioni più improbabili, arriviamo finalmente al
Villaggio Medievale. Restiamo un po' delusi a vedere che consiste in cinque
o sei tendoni di plastica, tutti rigorosamente uguali: il Ristorante Lo
Hobbit, una rivendita con una decina di titoli di libri di fantasy, uno
spazio dove si vende la birra alla spina e panini, un locale dove si
ascolta musica e qualche altro posto occupato da tavoli spogli con carte e
mappe, per i giochi di ruolo. Il tutto sotto giganteschi manifesti che
raffigurano i personaggi del film tratto dal libro di Tolkien.
Il nulla, insomma. Un nulla dove però si muovono migliaia di giovani e
giovanissimi. Raccolgo frammenti dei loro discorsi: parlano delle spade che
hanno in casa, raccontano con accento romano di elfi e di duelli. Diversi
giovani si aggirano tra la folla vestiti proprio da elfi, orchi e gnomi.
Nella maniera, mi spiegano, in cui queste creature compaiono nei film.
SPADE E TACCHI A SPILLO
Ho una prima reazione di rigetto. A quindici anni avevo scoperto Tolkien,
pescando per puro caso tra i libri di una biblioteca inglese. Si trattava
di un'edizione piuttosto vecchia di "The Lord of the Rings". Non ne avevo
mai sentito parlare prima, e il testo all'epoca non era ancora stato
tradotto in Italia.
Lessi il libro in quattro giorni e quattro notti, senza praticamente
dormire. Fu un'esperienza straordinaria,. Non solo per la trama, ma anche
per la ricchezza di quello che ritengo sia uno dei capolavori letterari
della lingua inglese, scritto da un autore capace di giocare su
innumerevoli registri linguistici diversi, di creare allitterazioni
invisibili, di costruire nomi che avevano una coerenza interna rigorosa.
Per questo rimasi perplesso nel sentire, un paio di anni dopo, che il libro
di Tolkien era stato tradotto in italiano: era per me un esempio estremo di
testo intraducibile. Poi, siccome la natura in cui viviamo è entropica, ho
dovuto assistere a una caduta progressiva. Circoli tolkieniani, concorsi di
letteratura "fantasy" - raccontini fotocopia di grandi colpe di spada e
poppute dame - addirittura "campi Hobbit" politici. Per qualcuno lo
scandalo sta nel fatto che questi campi erano di estrema destra; ma
considero ancora più grave il fatto che questi festival di fazione erano
opera di persone spesso incapaci del minimo pensiero creativo.
Probabilmente anche per questo motivo non ho più riletto il libro. Ora, mi
dicono, è stato addirittura trasformato in un colossal hollywoodiano.
L'onta suprema l'ho vissuta l'altra sera, quando per caso ho visto Antonio
Socci, l'ineffabile crociato che sostiene che Dio benedice i ricchi,
soprattutto se ben armati, condurre in televisione un dibattito su Tolkien.
Un gran parlare di "Valori"; e soprattutto una nuova tolkieniana, Daniela
Santanché, che spiegava - non so bene cosa c'entri, so solo che lo ha detto
- che lei aveva fatto dei tacchi a spillo una filosofia di vita. La Via
Emilia e il West, come diceva Guccini: l'Italia ha questa straordinaria
capacità di trasformare in caricatura quello che altrove ha almeno la
grandiosità del male.
Credo che questa piccola divagazione ci insegni una cosa importante.
Tolkien non era né di destra né di sinistra, era semplicemente un genio e
certamente una bella persona. Ma perché un seguace di Pino Rauti,
totalmente ignaro della cultura anglosassone in cui nasce l'opera di
Tolkien, sente il bisogno di usarne il nome dei suoi Hobbit? Perché gli
imprenditori dell'immaginario di massa di Hollywood decidono di
impossessarsene? E, dulcis in fundo, cosa se ne fa una Daniela Santanché?
Qual'è la molla che spinge migliaia di giovani della città più disincantata
d'Europa a girare in nome di Tolkien tra un mucchio di tendoni di plastica
che non contengono nulla di interessante?
SU UN TAPPETO DI CONTANTI
Paolo è contento di spiegare la cosa a Carolina: "Tolkien fa parte da
sempre della cultura di destra, cioè, no, di più, sai, i Valori della
Tradizione, tipo la lotta tra il bene e il male, insomma la sinistra non ti
dà valori così, ti possono raccontare la storia della lotta delle mondine
nel 1950, con tutto il rispetto per le lotte sociali, ma sai che noia,
invece Tolkien ti fa divertire".
Paolo è una persona intelligente e sensibile, e ho imparato da tempo che è
meglio non sottovalutare le cose che le persone ti comunicano in maniera
sconnessa e confusa, perché è spesso in simili discorsi che si celano
verità importanti.
A prima vista, quello che dice Paolo è insensato. La Tradizione, con una
gigantesca "t" maiuscola scolpita in acciaio e marmo, è un ente
immaginario, spesso invocato da massoni, esoteristi ed estremisti di destra
(categorie tra loro molto diverse). E' una creazione della cultura
ottocentesca e novecentesca, una chimera che sostiene che la "sapienza" e i
"valori" siano dati eternamente e ispirino, alle origini, tutte le culture.
Origini di cui sappiamo ben poco, cosa che permette di sentenziare con una
certa facilità sul remoto passato.
Ma cosa c'entra questa fantasia della "Tradizione" con la destra politica?
Cosa hanno mai in comune i cavalieri senza macchia e paura con il
chiazzatissimo cavaliere Berlusconi? Sì, lo so, voi vi sentite di
appartenere a un'altra destra, e certo è così soggettivamente; ma la destra
reale al dunque è quella, che vi piaccia o no. Come Rauti, così pronto a
inveire contro l'americanizzazione e la globalizzazione del mondo, che
durante il breve periodo in cui era segretario dell'MSI fece affiggere
manifesti di solidarietà con i mercenari italiani che partecipavano alla
distruzione dell'Iraq per conto dei petrolieri americani.
La "lotta tra il bene e il male"? Posto in questi termini, sembra un ideale
che accomuna Hitler, Pannella, il Papa, Stalin, la GIA algerina e George
Bush, senza dimenticare Bertinotti. Ovviamente a patto di non definire
precisamente né il bene né il male...
La spiegazione di Paolo fa acqua da tutte le parti; eppure sento che c'è
del vero. E forse una chiave si trova nell'ultimo concetto che lui esprime,
quando parla della lotta delle mondine.
Beh, in buona parte ha ragione. C'è poco da fare. Le avventure di Frodo,
anche nell'oscena variante cinematografica, sono per forza di cose più
coinvolgenti della storia delle "lotte della classe operaia vercellese".
Qualcuno potrà dire che, se Tolkien è un narratore migliore di Cossutta,
Frodo però è solo una creatura di fantasia; ma forse lo è anche la "classe
operaia vercellese", come tutti gli enti collettivi della nostra
immaginazione a cui diamo vita di volta in volta, che siano "il popolo", la
"patria" o i tenebrosi "zingari".
Le avventure di Frodo toccano corde profonde della nostra esistenza.
Esistono molte persone che provano il desiderio di esserci, di realizzare
dei sogni, di assumersi un'impresa che abbia un senso e soprattutto che dia
un senso alla propria vita. Tutto ciò contrasta ferocemente con la realtà
dei meccanismi dell'unica società che conosciamo, che è quella capitalista.
"Cantami di questo tempo
l’astio e il malcontento
di chi è sottovento
e non vuol sentir l’odore
di questo motor
che ci porta avanti
quasi tutti quanti
maschi, femmine e cantanti
su un tappeto di contanti
nel cielo blu"
Ed ecco che qualcuno - Tolkien per i colti, il cinema per i meno colti - ci
narra proprio quello che volevamo sentirci dire: che esiste un mondo
diverso, in cui le nostre decisioni contano. Un mondo forse più pericoloso
di quello in cui viviamo qui, ma in cui possiamo aprirci, contare per ciò
che siamo davvero e non solo come precaria, astuta e terrorizzata merce umana.
IL RIBELLE, IL BRIGANTE E IL MERCENARIO
Questa coscienza, questa speranza, questo terribile desiderio e questa
gioia profonda, può assumere molte forme. Può diventare uno strumento per
combattere gli orrori reali del nostro mondo, per impugnare la spada e
opporsi al dominio.
Allo stesso tempo, ci vuole davvero poco per trasformare questa forza
profonda dell'essere umano in strumento di sopraffazione: questa è
l'alchimia del potere.
Il ribelle, il brigante e il mercenario sono spesso solo i tre volti della
stessa persona. Ci sono individui che percepiscono l'ingiustizia del mondo
in cui vivono e senza ben capire perché, si oppongono. Chi si oppone con
l'istinto, senza lucidità, tende a cadere nella violenza. E la violenza si
può esercitare oggi, in fondo, solo in due maniere.
Con grande rischio e rare soddisfazioni, nel ruolo del brigante.
Oppure immergendosi fino in fondo nel gioco di ruolo delle divise e degli
stendardi, delle avventure in luoghi lontani, del cameratismo. Cioè in
qualche forma di vita militare. Io ti disegno stendardi con tanti colori e
tante aquile; ti permetto di sentirti forte e diverso, a condizione che tu
mi dia l'anima. Nell'istante in cui dovesse nascere dentro di te un
pensiero di vera libertà, io, come Satana, ti chiedo il prezzo del patto.
Sotto un ponte che a Roma attraversa il Tevere, se siete fortunati, potrete
incontrare Hans. Tedesco, uomo di discreta cultura e di grande rigore,
quello che oggi vi sembra un barbone è un uomo che ha dedicato la maggior
parte della sua vita alla Legione Straniera francese; una generazione dopo
i sopravvissuti dell'Algeria, Hans ha combattuto nel Ciad in una terribile
e dimenticata guerra contro l'esercito libico. Un giorno, gli chiesero di
diventare pugile, perché è nella Legione Straniera che si crea la merce
degli sportivi della Francia. Per un improvviso scatto di dignità, Hans, il
guerriero, si rifiutò di trasformarsi in un picchiatore a pagamento; venne
emarginato, nella maniera terribile in cui è possibile in una struttura di
quel genere. E fu infine costretto ad andarsene, senza nemmeno una pensione.
La Legione ha dato in mano a Hans quello che tutti i ribelli si sognano:
un'arma, la forza cioè per affermare la sua realtà in questo mondo. A
condizione che quest'arma venisse usata unicamente nella maniera e
nell'interesse di qualcuno che non ha mai conosciuto i deserti del Ciad o
dell'Algeria, che non è mai stato nella giungla del Vietnam. Hans nel
sangue e nella sabbia per assicurare la villa a qualche imprenditore di cui
non ha mai visto il viso...
Eppure Hans ha osato affermarsi contro la Legione, per un motivo che può
sembrare futile; un'azione certamente più eroica però di qualunque gesto
sul campo di battaglia:
"Certo bisogna farne di strada
da una ginnastica d'obbedienza
fino ad un gesto molto più umano
che ti dia il senso della violenza
però bisogna farne altrettanta
per diventare così coglioni
da non riuscire più a capire
che non ci sono poteri buoni
da non riuscire più a capire
che non ci sono poteri buoni."
Vengono in mente i racconti dei parà di Dien Bien Phu, così pronti a dare
la propria vita per i propri camerati e a toglierla agli enigmatici,
piccoli uomini che si nascondevano nella giungla. Strano che sia più
facile uccidere e lasciarsi uccidere, che chiedersi se sia giusto farlo per
qualche latifondista sulla Costa Azzurro.
Ma il desiderio originale di Hans, per quanto diabolicamente dirottato, per
quanto trasformato in incubo alcolico sotto le arcate di un ponte
attraversato ogni giorno da decine di migliaia di persone che ne ignorano
l'esistenza, quel desiderio è la stessa scintilla divina che rende la vita
degna di essere vissuta.
Ora, l'opera di Tolkien contiene in sé questa strana e ambigua forza. Che è
insieme il seme del ribelle e del boia.
"Destra" e "sinistra" sono due termini che possono essere fuorvianti: se
l'intera umanità deve necessariamente schierarsi di qua o di là, possibile
che poi si debba alla fine essere semplicemente tifosi di Rutelli oppure di
Berlusconi? Ovviamente, Tolkien aveva un'anima, i politici italiani no, per
cui chiedersi se il professore di Oxford fosse "di destra o di sinistra" è
solo un insulto all'autore inglese.
Però Paolo ha ragione nel sostenere che oggi, in Italia, il Villaggio
Medievale contrasta in qualche maniera con la liberazione delle mondine.
Intanto, perché nei fatti è così: gli appassionati di mondine spesso
considerano gli entusiasti di Tolkien come cretini, se non come fanatici
illusi o avversari da annientare; mentre molti entusiasti di Tolkien, o di
qualche sua volgarizzazione, vedono nei primi gli orchi e la lunga mano di
Sauron. Cerchiamo di vedere come mai.
PINDARO E WALT DISNEY
Già abbiamo parlato della sostanziale somiglianza tra il ribelle, il
brigante e il mercenario. Ora, la Compagnia dell'Anello fa sognare la banda
dei guerrieri uniti attorno a un sogno descritto con termini confusi - la
"Tradizione", "l'Onore", "i Valori". Cose difficili da mettere in
discussione, a causa della loro assoluta vaghezza. Che si nutrono poi di un
composto caotico di fantasie sul passato che ricorda la New Age: i
guerrieri dell'Antica Roma si confondono con i Celti, Aragorn si fonde con
la Decima Mas e i Vichinghi con i cavalieri di Re Artù. Croci celtiche e
cornamusa, armature e nitriti di cavalli attorno agli ultimi difensori di
Berlino...
Esiste però una differenza tra questo immaginario e quello della New Age:
mentre il secondo serve ad addormentare, il primo serve ad esaltare, a
rafforzare la solidarietà della brigata maschile. A condizione che non si
chieda mai per che cosa combatte veramente - tanto, è per la "Tradizione".
Le domande, le critiche, le curiosità si spengono pian piano nel sogno; e
colui che iniziò come ribelle diventa semplicemente il guerriero del nulla.
Facile allora il passaggio a qualche forma di vita mercenaria, a farsi
persecutori di poveri disgraziati, ed esaltatori del dominio, come un tale
di Roma, ricoperto di tattuaggi, che canta canzoni in cui esprime il suo
desiderio di rivolta minacciando di ammazzare i negri con la dinamite.
Non tutti arrivano così lontano, ma riusciamo a capire come la Compagnia
dell'Anello possa trasformarsi in una brigata di guardie giurate al
servizio dei perbenisti, come possa combattere per obbligare chi viene da
altri paesi a viaggiare sui treni in carrozze separate. E come i membri
della Compagnia dell'Anello, se non muoiono prima in una rissa o una
rapina, possano sognare di venire assunti come legionari, paracadutisti o
alpini, per sterminare chi si ribella al dominio.
Tanto si combatte per una cosa bella come sono i nostri sogni: il "ritorno
del Medioevo". Percepito come quello spazio mitico in cui la nostra volontà
conta, in cui gli oggetti non sono fatti di plastica, ma con le mani, in
cui è possibile scontrarsi senza ipocrisia.
Questo "Medioevo" ovviamente c'entra poco con quell'immensa varietà di
mondi, di ceti, di storie che è stata l'Europa tra il 492 e il 1492.
C'entra poco anche con l'Italia.
Il Medioevo sembra l'unico luogo in cui si possa sfuggire all'America e
alla sua violenza. Eppure, paradossalmente, esso è in larga misura una
creazione statunitense: i romanzi di Walter Scott, con il loro mondo
nordico ed eroico, vendettero in pochi anni mezzo milione di copie
nell'apparentemente rozza America del primo Ottocento. In fondo, offrivano
un'immagine che esaltava la barbarie della frontiera, un modo per sentirsi
aristocratici, ma anche per ribellarsi al crescente dominio capitalista, un
sogno di rivolta come quello dei Knights of Labor - traduciamo, goffamente,
i Cavalieri del lavoro - che combattevano per i diritti degli operai. Una
giustificazione poi della superiore libertà anglosassone, rispetto alla
tirannide romana, e quindi anche uno spunto per discorsi che sarebbero poi
ritornati, attraverso vari canali, in Europa e nel nazismo. Il Medioevo
diventa per gli Stati Uniti una narrazione secondaria, più lieve e
trasgressiva, rispetto alla truce narrazione apocalittica che è il
fondamento della cultura nazionale.
Ma soprattutto il Medioevo del terzo millennio, con i giullari, i tornei,
le belle dame, le grandi bevute e risate, le fiaccole tremolanti e le
macchine d'assedio, è la creatura di uno dei più spietati e cinici
meccanismi della modernità capitalista: il cinema di Hollywood. Che ha
saputo anche appropriarsi dell'opera di Tolkien, per trasformarla
scientificamente in merce. Persino i disegnatori italiani di Topolino hanno
dovuto adeguarsi all'immagine disneyana dei castelli medievali, ricalcata a
sua volta sui castelli francesi del Rinascimento.
In fondo, Pindaro aveva capito tutto molto tempo prima quante cose si
potevano fare di un mito:
"Molte le meraviglie, e certo
oltre la verità traviano
- voce di uomini - i miti adorni
di cangianti menzogne."
LA DAMA DELLE RISAIE
Eppure la sete di ribellione è un dono prezioso. Giustissimo opporsi a chi
aggredisce gli indifesi, e quindi profondamente sensato l'antifascismo; ma
lo spirito inquisitorio che cerca ovunque tracce di miti da rimuovere,
quella forma di antifascismo che è schieramento, guerra di simboli e
rifiuto di comprensione, può essere solo perdente se non arriva a capire
questo.
Saper sognare, voler esserci, desiderare e rischiare sono gli elementi che
rendono la vita degna di essere vissuta.
Solo, ogni volta che impugniamo una spada, occorre che ci chiediamo, per
quale Dama lo facciamo? La Tradizione è una parola vuota; e proprio perché
vuota, è ingannevole; quindi, come ogni inganno, è malvagia. Crudele icona
che quando cerchiamo di afferrarla, svanisce, lasciandoci solo l'impronta
della nostra servitù:
"Quella che anche a te
la vita rubò, è lei,
la bella dama senza pietà".
Perché invece non riconoscere che le dame hanno spesso il volto delle mondine?
Le mondine non lavorano più nelle nostre risaie; eppure sono ovunque, come
ovunque sono gli orchi. A volte vengono in mente certi grandiosi affreschi
che raffigurano il giudizio universale, quando i demoni divorano
innumerevoli vite, e vediamo i visi dei dannati, colti in tutto il dolore
della nostra terribile esistenza. Visi di italiani ordinari consumati dalla
paura del mondo che ci attende, di colombiani mitragliati, di madri
palestinesi che gridano a un cielo sordo, di mondi interi distrutti e poi
abbandonati, a capriccio del vento che soffia su tutti noi: vento di
guerra, di saccheggio e di peste.
In questo mondo che tanto somiglia a un incubo, c'è molto da sognare e da
combattere. Nella realtà delle cose e delle persone.
Miguel Martinez
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Kelebek: Oriente e Occidente, religione,
politica e potere nella Terza Guerra Mondiale
"Il deserto cresce: guai a colui che cela deserti in se'!"
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