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Gli operai della Zanon a Termini Imerese



Il tour dei lavoratori della Zanon continua.
Per informazioni:
mailto:elsa.ferrazzano@tin.it
mailto:laboratorio.marxista@libero.it
mailto:antimperialista@libero.it

Articolo del Manifesto del 30.11.2002
A lezione di autogestione
Due operai argentini parlano ai terminesi della loro fabbrica. Occupata
GA. P.

Sono venuti fin qui, partendo dall'altra parte del mondo, per raccontare la
loro storia. I ragazzi del centro sociale dell'ex carcere di Palermo li
hanno caricati su un'auto destinazione Termini Imerese, davanti ai cancelli
Fiat, per spiegare come si può trasformare un sogno in realtà. «Ma non è un
miracolo, è una lotta», spiegano Mariano e Natalio, operai argentini della
fabbrica Zanon in autogestione da un anno, mentre poco più in là una signora
dei senzacasa di Palermo conclude il suo intervento al grido di «Viva santa
Rosalia». Emozionati e «orgogliosi di essere qui» i due lavoratori del
Neuquen - 1.500 km a sud di Buenos Aires - ricevono dagli operai della Fiat
quelle magliette da lavoro color turchino che stanno facendo il giro
d'Italia, contraccambiano con una piastrella con l'effigie del loro
sindacato e, poi, raccontano. Da più di un anno occupano la loro fabbrica di
ceramiche, di proprietà di un oriundo veneto e costruita ai tempi della
dittatura militare con i soldi pubblici. Il primo ottobre del 2001 il
padrone comunicò l'intenzione di licenziare metà dei 300 lavoratori,
«altrimenti si chiude, c'è la crisi». Elementare la risposta operaia: «La
crisi non c'è per colpa nostra, stavolta la pagate voi». Così è iniziata
l'autogestione: «Abbiamo cacciato il padrone e i capi - spiegano agli operai
che ascoltano quasi increduli - e abbiamo continuato a produrre, lanciando
anche una nuova linea di pavimenti, economica ma di alta qualità». Si chiama
«obrera» e ha invaso le case della regione, gli ospedali e le scuole, perché
tutta la comunità di una delle regioni più povere di un'Argentina sempre più
povera si è stretta attorno a questi operai, a partire dai disoccupati, in
qualche caso assunti dalla nuova «direzione». Il «miracolo» - pardon, la
lotta - non è stato facile: «Alcuni lavoratori non hanno voluto occupare e
sono rimasti a casa, la polizia ha fatto degli arresti, i giudici non davano
tregua. Ma noi abbiamo tenuto duro, l'unità degli operai è più forte di
qualsiasi padrone». Suonerà anche retorico, ma per loro è stato così; e lo
dicono agli operai di Termini, tra cui serpeggiano i timori della divisione
dopo l'ultima proposta della Fiat che vuole far rientrare alcuni per
lasciare fuori altri: «Nessuno deve pensare di salvarsi da solo», ammonisce
un delegato sindacale, ma il piazzale non è più pieno come i primi giorni,
la stanchezza comincia a emergere nelle decine di certificati medici
consegnati all'azienda per limitare i tagli al salario che lo sciopero a
oltranza porta con sé.

Mariano e Natalio spiegano che anche per loro è stato difficilissimo, in una
situazione economica ben peggiore di quella italiana, «basta crederci». Ma
bisogna anche campare, obietta qualcuno, «con l'autogestione guadagnate di
più o di meno?» «Prima i salari erano differenziati, la media era 630 pesos.
Oggi sono tutti uguali, 800 pesos per tutti (235 euro), più del salario
operaio medio argentino che è di 700 pesos». Cose dell'altro mondo.