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Per una legislazione sull'immigrazione giusta ed efficace



Per una legislazione sull'immigrazione giusta ed efficace


La Camera dei deputati, in sede di discussione del disegno di legge
Bossi-Fini, ha approvato un emendamento che prevede il prelievo delle
impronte digitali per tutti i cittadini extracomunitari che chiedono il
permesso di soggiorno o il suo rinnovo. A nessuno può sfuggire la gravità
della disposizione, del tutto ingiustificata e odiosa: ingiustificata perché
già oggi è prevista per chi, italiano o straniero, "non è in grado o rifiuta
di provare la propria identità" la sottoposizione a rilievi segnaletici e
dattiloscopici (artt. 4 e 144 Testo unico di pubblica sicurezza); odiosa
perché viola in maniera clamorosa il principio di eguaglianza, fondamento
dello Stato di diritto e di ogni sistema democratico dalla Rivoluzione
francese in poi. Destinatari della nuova disposizione non sono i
"clandestini" ma coloro che, a qualunque titolo, entrano legalmente in
Italia. La nuova disposizione ha, dunque, come sola ragion d'essere la
creazione di una immagine dello straniero come soggetto pericoloso e
potenzialmente delinquente. Questo è razzismo e intacca i principi stessi
della civile convivenza.
Siamo ben consapevoli degli orientamenti politici oggi dominanti: ma non ci
rassegniamo. La "questione immigrazione" è la vera "questione democratica"
degli anni a venire. E una diversa politica sul punto è possibile e
realistica.
La prospettiva dell'invasione viene spesso agitata quando si parla di
immigrazione; e a questa rappresentazione apocalittica corrispondono
proposte politiche che, pretendendo di offrire soluzioni definitive,
lasciano irrisolti i problemi reali connessi all'immigrazione, alimentano le
paure degli italiani e producono profonde ingiustizie sul piano del rispetto
dei diritti fondamentali dei migranti. I dati smentiscono chi parla di
invasione: non solo le cifre degli ingressi e dei soggiorni - regolari e
irregolari - sono, nel nostro Paese, sostanzialmente costanti negli ultimi
anni, ma, quel che più conta, si presentano percentualmente inferiori a
quelli della maggior parte dei Paesi occidentali. È vero, invece, che tutto
il pianeta è coinvolto in un processo di redistribuzione complessiva della
popolazione: si tratta di un processo - prodotto da cause profonde, non
contingenti - che non può essere affrontato ricorrendo alle logiche
dell'emergenza, né, tanto meno, adottando mistificatori proclami
sull'immigrazione zero. I fenomeni migratori vanno, invece, governati; e
possono essere governati con strumenti coniughino, in una prospettiva di
gradualità e integrazione, giustizia ed effettività. Per queste ragioni e a
questo fine, rivolgiamo un appello per una proposta politica ispirata alle
linee-guida di seguito esposte.

a) Assicurare alla disciplina su ingressi e soggiorno dei migranti la
necessaria flessibilità. Le politiche di sostanziale chiusura seguite nel
nostro Paese non hanno limitato gli ingressi, ma hanno semplicemente
prodotto clandestinità; in particolare, la regola-cardine del sistema che
subordina l'ingresso regolare dei migranti all'incontro a distanza, a
livello planetario, tra domanda ed offerta di lavoro non funziona: anche le
ragioni dell'impresa escludono la praticabilità di assunzioni di stranieri
al buio. Si devono, allora, valorizzare quegli istituti - quali il cd.
sponsor ed il ricongiungimento familiare - che, facendo leva sulla catena
migratoria e sul legame familiare, assicurano la necessaria elasticità alla
disciplina degli ingressi, agevolando, al tempo stesso, l'integrazione degli
immigrati. Più in generale, è necessario introdurre, nell'ambito delle
quote, meccanismi di ingresso per la ricerca di lavoro, i soli in grado di
associare le ragioni del mercato del lavoro a quelle che stanno alla base
dei flussi migratori. D'altra parte, legare strettamente il soggiorno dello
straniero al mantenimento del posto di lavoro significa spingere la
condizione dei migranti verso una dimensione sostanzialmente servile,
precludendo, oltre tutto, l'ulteriore sviluppo di percorsi di integrazione
già avviati, anche nel mondo del lavoro. Recidere questo legame significa
spezzare l'alternativa secca allontanamento/clandestinizzazione nella quale
vengono a trovarsi gli immigrati che hanno perso il posto di lavoro,
significa superare quel divieto di disoccupazione che, al giorno d'oggi,
sembra valere solo per gli stranieri.

b) Favorire l'emersione della clandestinità e i comportamenti virtuosi.
Nell'attuale sistema, mentre la strada che porta il migrante dalla
condizione di regolare a quella di irregolare è facilmente percorribile,
agevolata dalla precarietà del soggiorno e dalla vischiosità delle procedure
di rinnovo dei titoli abilitativi, il passaggio dalla condizione di
irregolare a quella di regolare è assolutamente precluso. Anche questa
caratteristica del sistema produce clandestinità e, allo stesso tempo, non
spinge i migranti irregolari verso l'assunzione di comportamenti virtuosi. È
necessario allora introdurre meccanismi di regolarizzazione individuali e
permanenti fondati sul decorso del tempo - che in tutti i rami
dell'ordinamento giuridico adempie alla sua naturale funzione di saldare il
diritto al fatto - e su indici di integrazione, quali, ad esempio, la
mancata commissione di reati e il raggiungimento ex post delle condizioni
che avrebbero consentito l'ingresso regolare.

c) Assegnare all'espulsione il ruolo di extrema ratio nel governo
dell'irregolarità. L'immigrazione non si può governare con le espulsioni:
come insegna l'esperienza di questi anni, prevedere l'espulsione come
sanzione per qualsiasi forma di irregolarità significa condannare il sistema
nel suo complesso alla ineffettività, allargare a dismisura il divario tra
allontanamenti decretati ed allontanamenti eseguiti, attribuire uno spazio
abnorme alla discrezionalità dell'autorità di polizia, chiamata a definire
in concreto lo status di regolarità/irregolarità dello straniero sulla base
delle cd. regole del disordine. La misura dell'espulsione va, dunque,
riservata alle ipotesi di irregolarità più gravi: ridotta - anche grazie ai
meccanismi sopra indicati - l'area della irregolarità ed assegnato
all'espulsione un ruolo di extrema ratio nella sua gestione, potranno essere
ridimensionate quelle torsioni sul piano delle garanzie  costituzionali dei
migranti che oggi condizionano pesantemente il sistema, rendendo, oltre
tutto, strutturalmente instabile una normativa esposta a continui
aggiustamenti legislaitivi e a profonde rivisitazioni giurisprudenziali.
Coniugare, su questo terreno, effettività e giustizia significa restituire
ai diritti fondamentali dei migranti quella sacralità messa duramente a
repentaglio da istituti quali la detenzione amministrativa.

30 maggio 2002

Magistratura democratica
Associazione studi giuridici sull'immigrazione
Arci
Gruppo Abele
Associazione giuristi democratici