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transex discriminata



Diritti a sesso unico
Per Emanuela, transessuale, impossibile il rinnovo del contratto: «Problemi
di visibilità»
ANTONIO SCIOTTO www.ilmanifesto.it

Castelnuovo Don Bosco, cattolicissima cittadina nel cuore del Piemonte che
ha dato i natali a Don Bosco e a tanti altri uomini pii. Emanuela Tione è
un'infermiera che ha sempre svolto il suo lavoro con scrupolo, da quattro
anni fa l'assistente ai malati di Alzheimer e ad altri anziani con gravi
patologie. Contratti in diverse cooperative, ottime referenze, un buon
rapporto con i pazienti. Ma non può continuare a lavorare: la direttrice
dell'ultima casa di riposo e quella della sua cooperativa hanno deciso che
potrebbe creare «seri problemi di visibilità» alle due strutture. Il fatto è
che Emanuela, da due anni, sta cercando di diventare sé stessa:
semplicemente, donna. Essendo nata, però, con il corpo di un uomo. Emanuela
ha 34 anni, alle spalle una vita rocambolesca. Sempre molto difficile,
perché ha dovuto fare i conti con una diversità male accettata spesso anche
dagli stessi «diversi». Psicologicamente si è sempre sentita donna, pur
essendo biologicamente nata come un uomo. E, da donna, non vuole legarsi
sentimentalmente agli uomini, ma ad altre donne. E' insomma, se si dovesse
cercare una definizione «tecnica», una transessuale lesbica. Ed è legata a
un'altra donna, Paola Martinelli, di 25 anni, che ha avuto altrettanti
problemi di discriminazione proprio nelle case di riposo del torinese, dove
pure lavora, come cuoca. Le due donne hanno scelto di convivere, ed Emanuela
ha anche inserito Paola nel suo stato di famiglia.

«I miei problemi sul lavoro - racconta - sono cominciati circa tre anni fa,
quando, avendo preso coscienza di me stessa, ho deciso di "transitare" dal
corpo maschile a quello femminile. Una scelta difficile, anche perché,
precedentemente, sono stata sposata con una donna, con la quale ho avuto un
bambino. Adesso ha 7 anni, ma ho deciso di non vederlo perché voglio che la
mia trasformazione gli sia spiegata con cura, attraverso l'intervento di
un'équipe di neuropsichiatri infantili». Prima di decidere, comunque, di
diventare definitivamente donna, Emanuela indossava i panni di un uomo e,
anche se era comunque visibile la sua «diversità», in genere non aveva
problemi nei luoghi di lavoro, grazie alla sua professionalità. Qualche anno
fa, anzi, aveva lavorato per qualche mese proprio per la casa di riposo «San
Giuseppe» di Castelnuovo, la stessa che oggi ha deciso di non rinnovarle il
contratto, e allora era stata molto apprezzata. Tutto è cambiato non appena
Emanuela ha iniziato le cure ormonali e i colloqui terapeutici, quando ha
deciso di portare i capelli a caschetto e indossare abiti femminili. Sul suo
documento, fino a quando non avrà fatto l'operazione definitiva, che è
comunque imminente, c'è ancora il nome da uomo: «Le cooperative del luogo -
spiega - in base al curriculum mi selezionavano sempre, ma appena raccontavo
di me al telefono o di presenza, venivo subito bloccata». «Lei è brava, ma
sa...potremmo avere problemi a causa della sua identità».

La direttrice della sua cooperativa, la Coesis, aveva puntato ultimamente su
di lei, iscrivendola a un corso di abilitazione e affidandole un contratto
trimestrale presso la San Giuseppe. La direttrice della casa di riposo,
Laura Ronco, però, ha fatto pressione per il non rinnovo dopo aprile, mentre
tutti gli altri contrattisti lo hanno ottenuto e nei turni di maggio è già
stata inserita una nuova persona e decisi molti straordinari. «E' stata la
stessa direttrice della Coesis a comunicarmi - dice Emanuela - che era
costretta a non rinnovarmi il contratto perché aveva ricevuto pressioni
dalla casa di riposo, per problemi di visibilità». La discriminazione è
evidente. Inoltre, anche Paola, che per combinazione lavora in un'altra casa
di riposo alle dipendenze della sorella della direttrice della «San
Giuseppe», è stata improvvisamente messa a riposo a zero ore, e, solo dopo
la minaccia di iniziative legali, è stata ripresa al lavoro.

La solidarietà a favore di Emanuela è comunque scattata subito. Sia Paola
che Emanuela da anni sono attiviste del circolo «Maurice» di Torino, che
svolge attività culturale e di sostegno per la comunità gay, lesbica, bisex,
transessuale e transgender (tel. 011/5211116). Roberta Padovano, presidente
del Maurice, spiega che al circolo «molti omosessuali e transessuali
raccontano di discriminazioni sul luogo di lavoro. Spesso i transessuali
hanno più difficoltà, perché vengono tout court identificati con le
prostitute, mentre in molti casi non sono altro che cittadini che vogliono
vivere liberamente la propria identità e fare un lavoro come tutti gli
altri». E presto verrà organizzata anche una manifestazione a Castelnuovo,
da parte del Maurice e del nuovo circolo «Pasolini» del Pdci.

Ma anche il sindacato si dà da fare. A Torino, come racconta Maurizio
Poletto, della camera del lavoro provinciale, in Cgil sono attivi uno
sportello gay e uno transex (tel. 011/2442478-4), grazie ai quali sono state
aperte alcune vertenze, molte già positivamente risolte. «Ad aiutarci contro
la discriminazione - spiega Poletto - in molti casi è proprio l'articolo 18,
fondamentale per la difesa dei lavoratori più deboli. I transessuali sono
molto a rischio da questo punto di vista, più dei gay. Questi ultimi possono
scegliere di dichiararsi o meno, mentre per quelli la liberazione consiste
proprio nell'apparire sotto un aspetto diverso. E' necessario uno sforzo
culturale per superare queste discriminazioni, e gli stessi lavoratori e la
sinistra, a quanto ho potuto osservare dalla mia esperienza, hanno ancora
parecchia strada da fare».