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Congo, una tragedia che ci riguarda - Non solo violenza




diffusione: estesa


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fonte: il manifesto
del 19 gennaio 2001
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PRIMA PAGINA
L'AFRICA E LE RESPONSABILITA' OCCIDENTALI
Congo, una tragedia che ci riguarda
Non solo violenza
L'ennesimo golpe non deve farci dimenticare la grande vitalita' di questo
popolo, le sue strutture di base, la musica, l'arte, la cultura

RAFFAELE K. SALINARI
Presidente di "Terre Des Hommes" Italia


Al di la' del destino personale di Kabila, a morire non sara' solo il suo
regime ma il paese che oggi chiamiamo Congo.
E' sin troppo facile infatti ritrovarsi a parlare della continuita' che
lega questo despota al suo piu' famoso predecessore, quel Mobutu Sese Seko
Kuku Nguendu Wa Za Banga "il gallo che monta tutte le galline", senza darsi
la pena di risalire alla genesi di queste vicende.

Invocare rivalita' tribali, geopolitiche recenti, o appetiti di dittatori
piu' o meno accomunati nella loro spiccata cleptocrazia, non rende
giustizia a questo popolo o meglio a questi popoli, da sempre oscurati
nella loro dignita' da una cronaca bellica che ne cancella molti dei tratti
caratteristici, stagliando quegli aspetti che servono solo a farci
dimenticare.
Ma la storia disgraziata di questo paese e dei suoi tanti popoli nasce
nella mente criminale di un sovrano europeo, quel Leopoldo del Belgio che
sino alla morte fece del Congo un suo feudo personale, imponendo la piu'
feroce e sanguinaria dittatura che l'Africa precoloniale ricordi.
Ricordi che solo in tempi recenti sono tornati alla ribalta attraverso
alcuni libri quali "Il fantasma di Re Leopoldo", che descivono con
crescente orrore il prezzo che i popoli congolesi hanno pagato al "modello
di sviluppo" imposto, in nome del progresso, dal sovrano belga e dalle sue
compagnie minerarie.
Mani tagliate, famiglie sequestrate, uccisioni di innocenti per "dare
l'esempio", insomma una storia di schiavitu' di massa che non ha precedenti
nella pur trucida cronaca dei regimi coloniali.
Poi il passaggio da dominio personale del sovrano a colonia belga, senza
soluzione di continuita' e senza apprezzabili cambiamenti di status per i
congolesi, all'ombra di quella Conferenza di Berlino che divise l'Africa
con linee che tagliavano etnie e tribu', famiglie e regni tradizionali,
introducendo tutti i motivi dei tanti conflitti ad oggi irrisolti.
Tranne che per la breve parentesi di Lumumba, immediatamente giustiziato
insieme al Segretario Generale delle Nazioni Unite Dag Hammarshold (il suo
aereo venne abbattuto per iniziativa comune delle Intelligence occidentali
e delle milizie di Ciombe') per gli stessi motivi: proporre cioe' alle
genti del Congo l'opzione democratica, ecco che la storia si richiude su
questa breve parentesi con l'aiuto attivo dell'occidente.
E poi Mobutu - il "nostro figlio di puttana" diceva la Cia - garante dei
traffici diamantiferi e del rame a basso prezzo, il Padre della Patria,
L'Unificatore che pero' di fatto applica quel metodo di gestione del divide
et impera che ha dato l'avvio alla corsa del Congo-Zaire verso il suo
disfacimento attuale.

E' infatti facile ed evidente affermare che il Congo non esiste piu' e che
quando la polvere si sara' posata su questo ennesimo colpo di stato,
l'unita' territoriale del piu' grande stato dell'Africa nera cessera' di
esistere, con impensabili onde d'urto su tutta la geopolitica continentale.
E questo dovrebbe interessarci, come democratici, piu' di quanto sino ad
ora sia stato fatto, dato che la posta in gioco e' un conflitto
generalizzato in tutta l'Africa centrale che potrebbe coinvolgere anche le
recenti strutture democratiche del Sudafrica post-apartheid.

Ma per cominciare a pagare il nostro tributo di giustizia al Congo-Zaire,
per non oscurare totalmente questo paese e queste genti, possiamo occupare
in ben altro modo le scarse pagine di cronaca che lo riguardano.
Basta pensare alla sua musica, una serie di ritmi che ha fecondato tutta la
musica africana ed euroamericana dagli anni '50 ad oggi e che non si e'
arresa neanche nei periodi piu' bui.
Se e' vero che la misura nasce dalla sofferenza i ritmi congolesi ne sono
la piu' chiara dimostrazione.
Quanto dobbiamo, quotidianamente, a Zaiko Langa Langa, a Tchala Muana, a
Koffi Olomide a Papa Wemba, a Franco, il primo al mondo a cantare i rischi
dell'Aids? Ha sicuramente salvato piu' vite lui di tutti i nostri falsi
programmi di pelosa prevenzione.
Molti dei prodotti che oggi consumiamo in campo musicale sono saccheggi di
questa terra, ricordiamolo se non vogliamo aggiungere alla disattenzione
politica quella culturale, che poi in Africa sono ancor piu' la stessa cosa.

E cosa dire dell'arte plastica zairese, delle migliaia di maschere
tradizionali che oggi troviamo nei discreti negozi delle capitali europee o
americane, illuminate sapientemente e vendute a cifre esorbitanti.
Cifre che rappresentano il salario di una vita per l'ignoto artigiano che
le ha prodotte.
I centri di questo commercio sono ovviamente il Belgio e la Svizzera,
quelle stesse nazioni che negarono la decolonizzazione del Congo o ospitano
ancora i conti in nero delle multinazionali dei diamanti.
Ricordiamocelo di fronte ai nostri Picasso e Klee continuamente omaggiati.

Ma il Congo e' anche la terra dei Pigmei della foresta dell'Ituri, che
esistono sul serio e non sono solo i compagni dell'Uomo Mascherato, il
difensore dell'immutabile legge della jungla che ha accompagnato la nostra
adolescenza.
Troviamo uno spazio per chiederci che fine hanno fatto questi valorosi
guerrieri il cui etnocidio e' stato pianificato dai tempi di Leopoldo,
perche' refrattari ad ogni acculturazione.
Eppure i democratici, interessati alle balene ed all'Amazzonia dovrebbero
apprezzare meglio un popolo che rispetta l'arcobaleno come espressione
massima della combinazione tra sole e pioggia, la base stessa della vita.

Ed infine, incredibile a dirsi, esiste in Congo una serie di strutture di
base che per anni hanno posto il problema della democrazia ed hanno anche
cercato l'appoggio dell'Occidente democratico per sfruttare gli spazi che
di volta in volta si aprivano tra una crisi e l'altra.
Siamo sicuri che anche questa volta succedera' e dovremmo essere pronti a
ascoltare ed a sostenere queste voci non solo perche' la luce delle nostre
lampadine deriva ancora dal rame del Katanga, ma soprattutto perche' ci
diciamo ancora democratici ed internazionalisti.




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