[Diritti] ADL 170223 - Furono



L'AVVENIRE DEI LAVORATORI

La più antica testata della sinistra italiana, www.avvenirelavoratori.eu

Organo della F.S.I.S., centro socialista italiano all'estero, fondato nel 1894

Sede: Società Cooperativa Italiana - Casella 8965 - CH 8036 Zurigo

Direttore: Andrea Ermano

 

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e-Settimanale - inviato oggi a 45964 utenti – Zurigo, 23 febbraio 2017

  

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IPSE DIXIT

 

Furono complicate - «Le riprese furono complicate dall'arrivo prematuro della primavera a New York, che interferì con l'atmosfera invernale che doveva avere il film, e dalla difficoltà di girare con l'ausilio di molti gatti, che, a differenza dei cani, ignorano del tutto il volere dei registi.» – Wikipedia, “A Proposito di Davis”

 

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Al Senato - «Volevo essere l'ultimo premier che chiede la fiducia a questa Aula». – Matteo Renzi

 

Tanti colpevoli, nessuna soluzione - «Dobbiamo mostrare la vacuità di quei partiti che trovano i colpevoli per tutto – i rifugiati, i media, l’Europa – ma non hanno soluzione per nulla». – Martin Schulz

    

    

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    L'AVVENIRE DEI LAVORATORI contribuisce da oltre 115 anni a tenere vivo l'uso della nostra lingua presso le comunità italiane nel mondo tra quelle persone che si sentono partecipi degli ideali socialisti-democratici di Giustizia e Libertà.

    

    

EDITORIALE

 

Il meglio del talk show

 

di Andrea Ermano

 

Per me le cavalcate ussare del professor Cacciari appartengono al me­glio del talk show italiano. Scaturiscono da una naturale intem­peran­za del carattere mediterraneo, che poi si rinfocola per il vivo disappunto, da parte dell'uomo erudito, di non riuscire a contenersi. Da un lato la tensione verso un'ideale di sé che includerebbe a rigore anche il freno inibitorio. Dall'altro lato la resa indocile a un temperamento che alla fine dell'assedio ti espugna l'animo al grido di "verità!", intimandoti di mandar tutti a quel paese.

 

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"Rivoluzione socialista" - Massimo Cacciari

e Enrico Rossi martedì scorso a "Otto e mezzo"

 

«Gli uomini di carattere hanno un brutto carattere», diceva Pertini, che se ne intendeva, e al quale Cacciari in fondo un poco somiglia.

    Quando era sindaco di Venezia, si scagliò in Piazza San Marco contro due famiglie di turisti che lanciavano briciole ai piccioni: «Mandatemi un vigile!», urlò in mezzo alla folla. «Ce ne sarà almeno uno, no? Per questi quattro deficienti».

    Lui è fatto così, sempre incavolato. E guai a chi ce lo tocca: «Me ne frego di Halloween! E, di festeggiarlo a Venezia, non se ne parla proprio: roba da Peschiera del Garda!»: quando rilasciò questa dichiarazione, i primi a trovarla divertente furono, naturalmente, quelli di Peschiera. Tutti gli perdonano tutto, ma le sue migliori incavolature sono quelle contro il socialismo e i socialisti.

    Negli anni Ottanta, il ministro De Michelis disse a Cacciari, reduce da una deludente esperienza parlamentare nel Pci: «Massimo, molte delle tue idee mi piacciono. Perché non vieni nel Psi?» Erano impe­gna­ti in un dibattito pubblico tra veneziani, mi pare. «Grazie, Gianni, della tua generosa offerta», replicò quello, «ma sono già ricco di famiglia».

    Chissà come si sarebbero svolte le vicende della politica e della filosofia italiana, senza quella battuta memorabile.

    Nel frattempo sono passate due Repubbliche. Il PSI di Bettino Craxi non c'è più da un quarto di secolo. La gente del crucifige, oggi per lo più rimpiange l'ex premier sepolto a Hammamet. Ma i "socialisti" restano un nervo scoperto. Nell'inconscio collettivo italiano continua l'interminabile tafferuglio tra indignazione e senso di colpa.

    Quando, qualche giorno fa, Lilly Gruber ha chiesto lumi sullo stato di salute del socialismo in Italia dopo la scissione del PD, l'ex sindaco-filosofo è esondato: «Se "socialismo" significa nostalgia di vecchie forme di welfare che erano già superate teoricamente e praticamente verso la fine degli anni Settanta, se significa conservatorismo assoluto, com'è stato durante tutta la Seconda repubblica da parte del centro-sinistra sulle questioni di riforma costituzionale eccetera, eccetera, sugli assetti amministrativi, su tutto: conservatorismo assoluto! (…) Se è questo il "socialismo", allora è chiaro che non ha nessuna prospettiva», ha esordito Cacciari.

    E però non si è capito bene con quale "socialista", in concreto, egli ce l'avesse. I quattro premier italiani in qualche modo riconducibili all'orizzonte del socialismo europeo – Renzi, D'Alema, Amato e Craxi – si sono spesi non poco per le "riforme", anche se talvolta con uno slancio degno di miglior causa. Né certo hanno frenato le "riforme" Napolitano, Pertini o Saragat, i tre Capi di Stato socialisti avvicendatisi finora al Quirinale. Napolitano, addirittura, ha vincolato la propria rielezione al tema delle riforme. Anche se poi, sì, il risultato è stato quel disastroso "combinato disposto" tra l'Italicum e la revisione Renzi-Boschi che tutti conosciamo.

 

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"Dal Pci al Socialismo Europeo"

Cacciari con Giorgio Napolitano

 

«Dopodiché, la si chiami come si vuole, ma una politica di difesa e di promozione del lavoro e dell'innovazione, di difesa dei giovani, di difesa dell'occupazione, una politica di reddito garantito per ragioni di fondo, storiche, perché siamo in un sistema sociale ed economico che lavora e funziona a riduzione del tempo di lavoro necessario, e quindi non è che possono sopravvivere soltanto i finanzieri, gli economisti e i creativi», ha aggiunto il professore: «Perché ci sono grossissimi problemi nuovi da affrontare… E allora se una forza che affronta questi problemi vuole chiamarsi "socialista", si chiami "socialista"!».

    Oibò, nulla è scontato, ma questo l'avevamo capito anche noi, dopo gli otto anni trascorsi alla Casa Bianca dal socialdemocratico Obama, dopo che il socialista americano Bernie Sanders si è rivelato essere il candidato preferito dalle giovani generazioni USA, dopo che il socialista portoghese António Guterres è stato eletto Segretario generale dell'ONU, e dopo l'avvento al soglio petrino di Francesco, pontefice della questione sociale globale, anche se sua eminenza il card. Camillo Ruini – in tutt'altre faccende affaccendato – fa il nesci.

    Che gli importava se c'era una legge dello Stato, confermata dal 70% degli italiani nel referendum del 1981? Il card. Ruini, quando fu giunto alla guida della CEI, intensificò la strategia "informale" dei "disincenti­vi economici e di carriera" in grado di "convincere" i ginecologi italiani all'obiezione di coscienza. La quale salì dal 58,7% del 2005, al 69,2% del 2006, al 70,5% del 2007, al 71,5% del 2008, con punte di oltre il 90% in alcune regioni.

 

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Alleati storici: Berlusconi e il card. Ruini

 

Disse una volta Loris Fortuna, con grande pacatezza e ironia: «Se gli alti prelati rimanessero "incinti", l'interru­zione di gravidanza sarebbe "un sa­cra­mento"». Ecco, al coraggio delle idee di quel socialismo dobbiamo tornare. E, in effetti, in quella dire­zione va la sterzata a sinistra del Labour di Jeremy Corbyn, la vittoria di Benoît Hamon alle primarie del PSF, l'impennata di consensi della SPD di Martin Schulz e, anche, perché no, la "Rivoluzione socialista" argomentata dal gover­natore toscano Enrico Rossi mentre esce, insieme a Pierluigi Bersani, da quello che loro ormai definiscono il "Partito di Renzi" (PdR). Il quale Renzi, tuttavia, rivendica anch'egli, ogni volta che può, il proprio ruolo decisivo nell'adesione del PD alla grande famiglia del Socialismo Europeo, dove la sinistra cristiana per altro si sente ormai a casa.

    Dopodiché, in tema di socialismo e socialisti, rispunta sempre in Italia una coda di paglia incredibile. Ed è forse in questa chiave che si comprende la conclusione di Massimo Cacciari: «Ma il termine "socialista", chiara­mente, appartiene al Novecento. In tutti i sensi. È chiaro. E le forze che vogliono rimanere aggrappate a quello che quel termine significava sono spacciate, come sta avvenendo».

    «Ma Bernie Sanders, col suo socialismo rooseveltiano, non è stato propriamente spacciato», gli ha ribattuto Rossi.

    «Veramente ha perso», è stata la controreplica di Cacciari.

    «Ha perso, però ha preso tanti voti», ha tenuto fermo Rossi.

    «Ecco, tanto basta: prendere i voti», ha osservato Cacciari.

    «Ma da quando la sinistra pensa che dobbiamo soltanto "vincere", si è condannata regolarmente a perdere, sempre di più», è stata la stoccata finale di Rossi. Touché.

    Insomma, la "questione sociale" ha riconquistato il centro della scena: la difesa del lavoro, delle giovani generazioni, del salario di garanzia... Temi che si diffondono, nuovamente, tra le barbe dei filosofi come pure tra le vaste masse del ceto medio occidentale instradato sulla via della decadenza.

    Quindi non importa quale termine userete per evitare di pronunciare la parola "socialismo". Ciò che importa davvero è che: o socialismo o forconi. E questo oggi ormai, in un modo più o meno esplicito, lo ammettono tutti. Poi si vedrà.

       

       

SPIGOLATURE 

 

Il popolo della sinistra

percosso e attonito

 

di Renzo Balmelli 

 

BALENA. "Moriranno democristiani!" – il monito di Luciana Castellina, anima del vecchio Manifesto, dà l'esatta dimensione della pessima figura che sta offrendo il Pd. Ma chi sta nella stanza dei bottoni manco se ne cura. Anzi, l'invereconda rappresentazione continua come se nulla fosse anche dopo lo psicodramma romano. A soffrirne nell'intimo è il popolo della sinistra o di ciò che ne resta, incapace di capire le ragioni della spaccatura, e che si guarda attorno percosso e attonito, orbo degli ideali di tutta una vita. E poiché nulla accade per caso, fatal combinazione volle che il cupio dissolvi si consumasse in un albergo "pentastellato". Strana coincidenza che ha il sapore amaro di una beffa involontaria, ma non meno dolorosa. Ed è qui che il riferimento alla DC diventa vieppiù imbarazzante, nel preciso istante in cui ci restituisce l'immagine dei tanti Achab di giornata uniti all'ipotetica balena bianca nella furia autodistruttiva di un "triste, solitario y final".

 

MEDICO. Ora che il disastro è sotto gli occhi di tutti, si alza il coro cacofonico e tardivo di chi invoca la necessità di riformare la sinistra per contrastare il populismo. Facile a dirsi, ma tutt'altro che a farsi. Eppure nella situazione politica italiana, sempre più complessa, i rischi di una ulteriore virata ultra conservatrice sono più che mai reali. Il caos del Pd che ha portato alla dissipazione di uno straordinario capitale di speranze, apre una autostrada per la destra che non sappiamo dove ci porterà. Di sicuro però non a buon fine. Se davvero è sincero il desiderio di riformare, ebbene che la sinistra torni a rispettare la sua storia, le sue origini, la sua identità e non si inventi formule che fanno perdere la connessione con la realtà. Chi ne porta la responsabilità faccia insomma sua senza indugi la locuzione latina: medice, cura te ipsum, “medico, cura te stesso”!

 

DEMONI. In Europa serpeggia la preoccupazione che le disavventure del Pd, partito di governo di un grande Paese fondatore, possano determinare un effetto domino in grado di destabilizzare l'edificio comunitario già investito da forti turbolenze. Il campanello d'allarme squilla non a torto. Sono in arrivo elezioni cruciali che costituiranno un banco di prova decisivo per verificare la tenuta delle forze progressiste nel momento in cui i demoni del Novecento tornano a farci visita. Dopo lo schiaffo della Brexit, la prossima spina nel fianco sarà l'Olanda. Geert Wilders, il leader estremista in testa ai sondaggi, spera di scatenare l'uragano col quale rovinare la festa per i 60 anni dei Trattati di Roma. Attorno ad essi l'Europa dovrà fare quadrato senza porgere l'altra guancia.

 

INCOGNITE. Tra gli amici dell'UE, di cui egli auspica il rapido tramonto, non figura certo l'imprevedibile Donald Trump. Ossia colui che prima tuona contro le fake news, e poi se le fabbrica ad personam disseminando il suo mandato di incognite ad alto rischio. Le bufale purtroppo sono ormai diventate una piaga della rete e del giornalismo spazzatura. Sono un modo, invero primitivo assai, per mascherare l'incompetenza di chi detiene il potere. Almeno mediaticamente possono avere però conseguenze sconvolgenti, tant’è che i turibolieri di turno già si ingegnano a costruire un castello di assurde teorie complottiste, secondo loro ordite da fantomatici mandanti, per fare fuori il Presidente. Siamo nel regno della falsità elevata a sistema e il punto più inquietante è che non sappiamo cosa potrà ancora riservarci.

 

CULTURA. Se c'è un esempio di un riuscito e duraturo matrimonio tra Svizzera e Italia fondato sull'amore per il sapere e il piacere dell'apprendimento oltre i limiti angusti delle frontiere, questi proviene dall'ultra centenario successo della casa editrice fondata a Milano da Ulrico Heopli nel 1870. Da cinque generazioni la famiglia, originaria del cantone di Turgovia, svolge una funzione leader nell'editoria scolastica e nella pubblicazione di migliaia di testi e manuali destinati ai vari aspetti delle attività umane. Da un lato il rigore e la precisione elvetica, dall'altro la creatività italiana hanno contribuito a consolidare la reputazione della casa editrice diventata una presenza insostituibile nel panorama editoriale non solo milanese grazie allo spirito di apertura che l'ha sempre contraddistinta e che fa della cultura un autentico messaggero di pace.

   

        

LAVORO E DIRITTI

a cura di www.rassegna.it

 

Lavoro, una civiltà da ricostruire

 

Nella giornata in cui la Cgil ha incontrato le principali testate italiane d'informazione, sono partiti i sei camper che attraverseranno il paese per sostenere i due referendum su voucher e appalti. Camusso in assemblea con i lavoratori Sky

 

di Stefano Iucci

 

Il camper dei diritti della Cgil parte dal mondo dell’informazione. Uno dei due appuntamenti romani si è svolto in un luogo chiave: la sede di Sky, durante un’animata assemblea dei lavoratori vittime di una vertenza chiave. Quella che li vede opposti a una multinazionale che fa profitti e che nonostante questo ha deciso di spostare 120 persone a Milano. A queste persone il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, ha voluto portare la solidarietà e l’impegno del sindacato “nel chiedere al governo un tavolo a Palazzo Chigi per affrontare la vertenza”.

    Nel suo intervento il leader della Cgil ha costantemente connesso la situazione particolare di questi lavoratori con la situazione generale del lavoro in Italia, “una condizione che scende sempre più in basso”, e a cui la Carta dei diritti universali del lavoro – insieme ai referendum su voucher e appalti – sta provando a offrire una risposta.

    La vicenda Sky, ha detto Camusso, pone delle domande fondamentali in questa stagione: “È tutto lecito? C’è un limite etico a quanti profitti si possono fare? Possono gli interessi di una multinazionale essere più importanti della condizione di un paese e dei suoi lavoratori”?

    E qui il tema centrale: l’idea che tutto si possa subordinare ai profitti. Un’idea che è stata preparata nel tempo attraverso il ricorso a una flessibilità estrema e “attraverso la costruzione di una guerra tra poveri: il lavoro privato contro lavoro pubblico, padri contro figli, italiani contro immigrati. Una filosofia a cui ha fatto seguito una legislazione precisa: esiste sempre una forma di lavoro peggiore di quella che si conosce”.

    L’effetto di questa situazione è che i lavoratori sono sempre più isolati, polverizzati e chi ha un voucher guarda come privilegiato chi ha, semplicemente un contratto di lavoro. “Proprio per provare a uscire da questa frantumazione – ha aggiunto Camusso – abbiamo lanciato la Carta dei diritti universali del lavoro e i due referendum che l’accompagnano. Vogliamo ricostruire una civiltà del lavoro in cui quest’ultimo non sia solo il modo per avere uno stipendio, ma anche identità, valore e progetto di vita”.

    Quanto ai referendum la scelta dei voucher e degli appalti non è ovviamente casuale: “Sono il punto più basso di questa progressiva perdita di valore del lavoro e pensiamo che parlino a tutti: si può infatti accettare che intere generazioni abbiano come prospettiva soltanto una valigia per andarsene all’estero, oppure un voucher, un tirocinio o l’inferno di una catena di appalti e subappalti”?

    La dirigente sindacale ha poi rivolto un appello ai lavoratori di Sky: “Facciamo assemblee nei luoghi di lavoro, andiamo ovunque, ma non basta. Ci serve l’aiuto del mondo dell’informazione. Questo paese ha bisogno che si torni a parlare di lavoro, che si facciano vere inchieste sulle vertenze e non soltanto qualche chiacchierata nei talk show per dire, alla fine, che la Cgil dice sempre no e non capisce il mondo moderno”.

    Infine un appello: “Capisco che siete presi ora da un grande problema che riguarda la vostra situazione personale, il vostro di lavoro. Chiederemo il tavolo e lanceremo anche l'ashtag 'Paolo Gentiloni dacci l'incontro'. Ma provate a trovare un po' di spazio e tempo per convincere la gente a votare sì ai referendum. Perché da soli si è sempre più deboli”.

   

    

ECONOMIA POLITICA

A CINQUE STELLE

 

Uber maior, minor cessat?

 

Chi dovrà cedere? I tassisti in rivolta selvaggia nelle strade di Roma? Oppure Uber, l’azienda gigante statunitense basata su internet, che con più di mezzo milione di autisti 'liberi professionisti' in 500 città del mondo fattura 5 miliardi di dollari l’anno e di fatto rappresenta una forma di concorrenza considerata sleale dai tassisti?

 

di Marco Morosini

 

«Uber è il futuro», mi disse un titolato adepto della cosiddetta “economia della rete” (la web economy) e del Movimento 5 Stelle. «Sono con voi» ha invece detto ai tassisti scatenati la sindaca di Roma Virginia Raggi, anch’essa del Movimento 5 Stelle.

    Il fideismo nel potere benefico e progressivo delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione (le “Tic” per usare un acronimo) ricorda il fideismo degli anni ’60 del secolo scorso nell’energia atomica.

    Gli adepti delle Tic sembrano ignorare gli innumerevoli studi che documentano la faccia nascosta di quelle stesse tecnologie dell’informazione e della comunicazione nonché i crescenti danni sociali, sanitari e ambientali che esse provocano.

   I tassisti rivoltosi, allora, sono contro l’inevitabile e radiosa marcia del progresso? Oppure sono lavoratori che difendono utili regole e garanzie per sé e per i clienti da una concorrenza straniera, potente e sleale, che prelude a una 'uberizzazione' più generale del lavoro e della società? (un esempio di riflessione a riguardo, della Scuola di management di Grenoble si può leggere cliccando qui).

    Corporazione contro tecnologia, lavoro tradizionale contro nuove opportunità, servizio pubblico contro privati. Questa dei taxi versus Uber è una buona occasione per gli adepti pentastellati delle Tic per chiedersi se sia possibile stare contemporaneamente dalle due parti anche di questa barricata.

 

Dello stesso autore v. anche: Quando Casaleggio voleva eliminare i taxi

          

    

Da Avanti! online

www.avantionline.it/

 

L'applicazione della legge 194 nel Lazio

 

La Regione Lazio si mobilita per poter garantire la libertà di scegliere delle donne, con un concorso fortemente voluto dal governatore del Lazio Nicola Zingaretti, per garantire appunto il rispetto della legge 194, riservato unicamente a ginecologi “non obiettori di coscienza”. L’obiettivo preciso è quello di contrastare l’enorme ricorso all’obiezione di coscienza che in molte regioni d’Italia rende sempre più difficile accedere all’aborto.

    Terminata la selezione, il primo ospedale sarà il San Camillo di Roma, dove tra poco prenderanno servizio i due dirigenti-medici vincitori.

    I medici selezionati saranno infatti dedicati esclusivamente al reparto che si occupa di interruzioni della gravidanza “nel settore del Day Hospital e Day Surgery per l’applicazione della legge 194” e secondo quanto sostiene la direzione sanitaria dell’ospedale il bando è stato studiato per evitare che i vincitori, una volta assunti, possano diventare obiettori di coscienza: “Rischierebbero il licenziamento per inadempienza contrattuale”.

    All’iniziativa plaude Maria Cristina Pisani, portavoce del Psi, che da tempo si batte per far valere e garantire questo diritto alle donne, è che ha sempre sostenuto: “Le donne devono avere il controllo della loro salute e dei loro diritti. Si tratta di uguaglianza e di diritto di decidere, che è un diritto fondamentale, di liberà e autodeterminazione, di principi ovvi, ma ancora oggi purtroppo per nulla scontati”.

    Pisani oggi ha ricordato come in alcune regioni, poter interrompere la gravidanza sia ormai quasi impossibile: “Non solo nel nostro Paese ben sette ginecologi su dieci si rifiutano di effettuare interventi di aborto volontario per motivi etici, ma nella mia Regione, la Basilicata, ad esempio il dato è spaventoso ben il 90.2% dei ginecologi fa obiezione di coscienza”. “Tutto questo – spiega la Portavoce del Psi – causa ulteriori sofferenze a donne che si ritrovano davanti ad una scelta non certo facile e che spesso sono costrette addirittura a dover ‘emigrare’ in altre Regioni per poter abortire”.

    Nonostante resistenze sia politiche sia nello stesso ambiente ospedaliero e nonostante i ricorsi al Tar, la Regione Lazio è riuscita così a farcela, Nicola Zingaretti ha voluto portare avanti il concorso “per garantire la piena applicazione della legge 194”.

    Il bando fra l’altro era stato osteggiato dai movimenti del Family Day e addirittura dal ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, che il 4 maggio scorso in un’audizione in parlamento aveva affermato che “non è possibile reclutare personale sanitario con contratti a tempo indeterminato chiedendo tra i requisiti dell’esame l’essere non obiettore. Si tratterebbe di una modalità discriminatoria di reclutamento del personale”.

    L’Italia così rischia però di garantire il diritto di scelta dei medici, a discapito della salute e del diritto di scegliere delle donne. Se n’è accorta anche l’Europa che ha condannato l’Italia per le difficoltà che le donne incontrano nel far ricorso alla legge 194 sull’interruzione di gravidanza: in Francia ad esempio tutti gli ospedali pubblici hanno l’obbligo di dare il servizio d’interruzione di gravidanza, in Inghilterra solo il 10% dei medici è obiettore, invece in Svezia il diritto di obiezione di coscienza non esiste.

   

Vai al sito dell’avantionline

       

   

Da l’Unità online

http://www.unita.tv/

 

Decide Grillo anche

sullo stadio della Roma

 

Che qualcosa non andasse per il verso giusto si era già intuito, visto gli appuntamenti spostati e rimandati. Che ci fosse maretta all’interno del MoVimento si sapeva, come si sapeva che la Sindaca Raggi non avrebbe preso da sola una decisione. E infatti è arrivato Beppe Grillo a tracciare la linea. Una linea che però va in una direzione completamente opposta rispetto a quella segnata negli ultimi anni.

    Il comico genovese infatti ha deciso di dare il via libera alla costruzione di uno stadio ma di affossare il progetto di Tor di Valle perché ritenuta “un’area a rischio idrogeologico”.

    L’esecutrice materiale del disastro sarà la Raggi (almeno questo glielo hanno concesso) che dovrebbe ritirare la delibera di pubblica utilità concessa dalla giunta Marino al progetto e nelle prossime ore dovrebbe sottoporla al voto dei consiglieri di maggioranza; a quel punto si capirà se davvero il percorso degli ultimi 3 anni terminerà o se l’attuale progetto di Tor di Valle sarà invece ancora in piedi.

    Ovviamente la replica del club giallorosso non poteva tardare ad arrivare dalla bocca del Presidente Pallotta, giustamente, più irritato che mai.

   

Vai al sito dell’Unità

       

 

L'AVVENIRE DEI LAVORATORI - Voci su Wikipedia :

(ADL in italiano) https://it.wikipedia.org/wiki/L'Avvenire_dei_lavoratori

(ADL in inglese) https://en.wikipedia.org/wiki/L'Avvenire_dei_Lavoratori

(ADL in spagnolo) https://es.wikipedia.org/wiki/L'Avvenire_dei_Lavoratori

(Coopi in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo

(Coopi in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo

(Coopi in tedesco) http://de.wikipedia.org/wiki/Cooperativa_italiana

   

  

Da MondOperaio

http://www.mondoperaio.net/

 

Storie rimosse

 

Dalla "Associazione Socialismo" riceviamo il testo che qui ri­lanciamo e che compare su "Mondoperaio" 2/2017, in uscita in questi giorni. > > > Acquista Mondoperaio in formato PDF

 

di Gennaro Acquaviva

 

Il 18 gennaio, presso l’Istituto Sturzo, è stato presentato un volume che propone una rievocazione critica della vicenda storica della “Sinistra sociale” della Democrazia cristiana lungo i cinquant’anni della sua vita operosa [1]. L’occasione è stata per me molto utile per capire l’atteg­gia­men­to con cui una parte importante della classe dirigente cattolica che si rifà a quello che dopo il 1945 fu il settore di punta del movimen­to cattolico riformatore valuta oggi la sua esperienza, che attraversa tanta parte della prima Repubblica.

    Non ho bisogno di ripetere cosa ne penso io, perché ne ho scritto più volte, ed anche nel volume di cui intendo ora tornare a discutere è ri­portata una mia riflessione/testimonianza sull’argomento, inevitabil­men­te centrata sulla figura di colui che di quella esperienza  fu il mag­gio­re rappresentante per qualità e destino, e cioè Carlo Donat Cattin. Rin­vio dunque, per chi volesse conoscere le mie idee sul tema, almeno alla lettura di questo testo (che è apparso sulla rivista nell’aprile dello scorso anno) [2].

    Mi interessa di più cercare di utilizzare l’occasione di questo dibat­tito, perché esso mi facilita la possibilità di tornare a proporre un inter­ro­gativo con cui convivo da diverso tempo e che è anche al centro del mio ricordo di Donat Cattin. Lo propongo, questo interrogativo, met­tend­omi dal punto di vista di chi pensa che sia più utile, più produt­tivo, più serio lavorare oggi per ricostruire le necessarie fondamenta della politica non adattandosi unicamente alle conseguenze importate forza­tamente con la discontinuità traumatica del 1992/94, ma tornando an­che ad utilizzare il meglio deducibile dal confronto con una vicenda culturale, ideale ed anche politica che allora insieme percorremmo.

    Il mio interrogativo è così riassumibile: perché i vecchi (ma anche i più giovani) un tempo democristiani (come, in un parallelo che la dice lunga, i vecchi e i semi-vecchi comunisti) si sono dimostrati, e tuttora si dimostrano, così restii, e comunque costantemente portatori di ambi­guità, nel ricordare e soprattutto nel tornare a riflettere sulla loro espe­rien­za storica, in particolare quella legata alla lunga fase in cui i loro padri, e a volte anche loro medesimi, concorsero al fallimento del si­stema politico che pur li vedeva così decisivi protagonisti? Va da sé che torno a presentare questa questione ai democristian-cattolici viventi (ma anche ai comunisti vecchi e nuovi) non per avanzare banali ed inutili paragoni con altri attori della politica trapassata: ad esempio con i socialisti, che però almeno in ordine all’autoanalisi delle loro vicende personali e collettive si sono in questi anni seriamente impegnati, dimostrando anche di saperlo fare con serietà e verità.

    Per me la questione va posta soprattutto perché, se si ritiene che la politica possa essere ricostruita anche tornando a riconoscere, aggiornare e vivere i valori su cui abbiamo fondato il nostro progresso di nazione evoluta e prospera, è obbligatorio per noi anziani passare per quel processo catartico, di verifica e di conoscenza, che ci aiuta a vedere quello che siamo realmente stati – come forze politiche, basi sociali e tradizioni culturali – nel bene e nel male, negli errori e nei successi, nelle battaglie fatte ed in quelle rifiutate, nei comportamenti degli uomini e nelle idee che allora ci guidarono ed appassionarono e che oggi continuiamo a considerare fruibili per tornare a costruire ed indirizzare.

    Naturalmente ho ben chiaro che non è facile decidere di impegnarsi seriamente, mossi da un forte spirito critico, in un cammino di verifica storica, e ricercare documenti, testi, testimonianze veritiere su quello che è realmente avvenuto nella vicenda politica di questi settant’anni: o aprirsi ad un esame di coscienza collettivo, ma anche personale, di quello che si è pensato, detto, fatto nel bene e nel male. E’ complicato, può risultare insopportabile per molti perché considerato troppo urticante ed inutilmente duro.  Riconosco anche che, a volte può essere legittimamente vissuto come un rischio da evitare, per il danno che si pensa (magari sbagliando) procurerebbe a sé e ad altri, ma anche ad una storia gloriosa ed antica che pretende rispetto, discrezione, prudenza fino all’omissione.

    E però i testimoni - ed in particolare noi anziani, portatori di una esperienza che riteniamo ancora così utile e proficua da sforzarci di consegnarla integra e completa a chi ha oggi più intelligenza ed energia di noi perché vivemmo quella vicenda e quel tempo con passione e profitto - proprio noi abbiamo questa responsabilità conclusiva nella nostra vita: consentire o comunque almeno facilitare che la continuità di una esperienza storica non venga abbandonata, dimenticata o addirittura misconosciuta. Ma sia trasmessa e trasferita, nella sua positività ed utilità, a chi verrà dopo di noi.

    Soprattutto abbiamo l’obbligo morale di garantire che la scansione temporale e vitale di idealità e di visioni del mondo che innerva e garantisce verità e forza alla politica seria non si tronchi ingiustamente, non si disperda o si appanni anche per nostre colpe o omissioni, ma possa permanere nella continuità e nella fruibilità di un percorso umano e storico che è di per se stesso fonte di progresso, di sviluppo, di partecipazione.

    Quando il vecchio Nenni ci ricordava (secoli fa!) che il nostro ap­passionato combattere giovanilistico per il socialismo “di Craxi” dove­va pur sempre “ritornare alla sorgente”, intendeva proprio questo. Vo­leva cioè richiamarci alla semplice verità che un movimento storico che si intesta l’ambizione di cambiare il mondo, se vuole sperare di farcela deve agire e continuare a pensare inevitabilmente in coerenza con il suo spirito originario: deve ricordarsi sempre del come e perché era nato, deve “ritornare alla sorgente”.

    Che il movimento socialista riformatore e quello cattolico sociale na­scano, nelle loro origini ottocentesche, dalla stessa base popolare e prendano ragione e forza dalla medesima condizione di bisogno e di in­giustizia degli uomini e delle donne del loro tempo è fuori di dubbio. Quel popolo sfruttato e misero che emerge nella prima costruzione del­la nazione italiana è un popolo unito dai medesimi bisogni, ma anche contemporaneamente accompagnato da una identica speranza in un futuro di riscatto, di liberazione, di progresso. Quello che Pelizza da Volpedo racconta nel suo quadro celeberrimo non ha pugni alzati contro il cielo, non presenta il volto adirato di chi vuole marciare nel segno della violenza. Lì c’è splendidamente rappresentata una plebe misera ma dignitosa che cammina lenta e composta, serena pur senza un sorriso, dirigendosi con passo sicuro verso un futuro che sa in partenza essere di liberazione e di cittadinanza, per sé e per i propri figli.

    Che le vicende della storia e i destini delle nazioni d’Europa, l’ambizione a volte diabolica dei dotti come l’egoismo cattivo degli uomini (anche dei preti clericali e non solo dei frammassoni) abbiano portato per cent’anni questi due popoli a separarsi ed a combattersi gli uni contro gli altri non dovrebbe oggi essere sufficiente a farci dimenticare che le forze di progresso della sinistra italiana – quelle cattoliche progressiste, quelle laico-socialiste, come quelle del riformismo liberale –con l’avvento della Repubblica hanno pur colto l’occasione storica per cambiare finalmente la condizione del popolo da cui nascevano, ma anche per presentare, se non realizzare, quella riforma del sistema politico che desse la possibilità, anch’essa storica, di coniugare finalmente l’assetto di un paese che attraverso il lavoro voleva diventare finalmente moderno, evoluto e anche benestante, con l’utilità grande, la necessità assoluta di essere anche ben governato.

    Era questo il tema che, sul finire degli anni ’60, impegnava gli eredi storici delle due anime della vicenda così ben rappresentata nel quadro di Pelizza: e cioè i figli un po’ più evoluti ed anche moderni di quella plebe misera e malnutrita, ma dignitosamente cosciente dei propri diritti,  che in quel tempo era finalmente vicina al traguardo di stabilizzare il progresso fondato sul benessere e l’uguaglianza con un buon governo. Questi cattolici riformatori avevano naturalmente sostenuto l’azione del centro-sinistra; ma dopo averne constatato la limitata influenza (per non dire il fallimento), la Cisl, le Acli e i progressisti che vivevano nella Dc di Forze Nuove, insieme ad una diffusa rappresentanza delle migliori intellettualità cattoli - che del tempo, capirono che per andare avanti occorreva porsi il problema della riforma del sistema che ci governava: perché esso era quello, forzatamente sbilenco, che ci era stato consegnato dalle vicende della politica del 1947-48.

    In particolare noi che venivamo dalle Acli, ed eravamo un po’ più liberi e meno vincolati degli altri soprattutto perché non ci trovavamo nella necessità di rispondere ad una disciplina formale da “status di appartenenza”, dichiarammo a voce più alta degli altri membri del cattolicesimo sociale che era giunto il momento di agire affinché si costruissero le condizioni elementari per realizzare quella che era la riforma necessaria e preliminare per la funzionalità della democrazia rappresentativa. Seguivamo uno schema semplice, basato sulla “scomposizione-ricomposizione” delle forze del sistema politico, in particolare quelle che nascevano dal mondo del lavoro. Uno schema che poi finalizzammo traducendolo nello slogan “conservatori con i conservatori – progressisti con i progressisti”.  Partendo da esso prendemmo atto che per realizzare questo processo (e per costruire le basi della governabilità democratica) occorresse arrivare alla rottura dell’unità politica dei cattolici, cioè della regola finalizzata al sostegno esclusivo della Dc: liberando così, innanzitutto nel voto, quella base cattolica sociale e progressista da cui nascevamo e che ci sentivamo di interpretare nei suoi bisogni più seri e maturi. Una realtà, ricordo, in quel tempo non solo molto forte e diffusa, ma anche ricca di presenze volenterose e generose, di elevata preparazione, di solida fede democratica, di alta affidabilità etico-morale.

    Questo progetto, vorrei aggiungere, nasceva anche dal rapporto molto positivo che le diverse componenti del “sociale” cattolico che prima richiamavo vivevano tra loro sia in termini di confronto che di dialogo, pur nella diversità dei protagonismi e delle stesse provenienze culturali dei soggetti più rappresentativi. Questa operazione social-politica – che se realizzata avrebbe indubbiamente aperto a scenari imprevedibili – fallì, come è noto, agli inizi degli anni ’70, per precipue e decisive valutazioni e comportamenti dei due protagonisti maggiori. Essi erano da un lato Livio Labor, il leader delle Acli degli anni ’60 che aveva lasciato la presidenza dell’organizzazione nel 1969 per costruire appunto il nuovo partito di cui ho detto, e dall’altro Carlo Donat Cattin, che da ministro del Lavoro successore di Brodolini decise, nell’estate del 1970, di non dar corso all’operazione per quello che essa comportava e cioè l’inevitabile scissione della Democrazia cristiana.

    Le ragioni che a mio parere motivarono e mossero Donat Cattin in quella occasione decisiva vanno precipuamente ricercate nella sua volontà di concorrere a mantenere, al contrario, l’unità “granitica” del partito dei cattolici, nella logica “continuista” di quella che fu costantemente la linea perseguita da Moro: vincolando la sua posizione anche rispetto all’incontro “di potere” con il partito che si dava per scontato che dovesse rimanere egemone nella sinistra, il Partito comunista, riconosciuto e quindi premiato (pur se indirettamente) dalla linea morotea quale unico e intangibile rappresentante di quell’area politica. Ho ritenuto di fare questo fin troppo lungo richiamo alla condizione “strategica” che agli inizi del 1970 investiva e compromet­teva la corrente di Forze Nuove – l’organizzazione cioè che esprimeva, in quel tempo, la maggiore e più ricca esperienza sociale del mondo cattolico nella Dc - perché in molti dei testi e delle testimonianze di cui è ricco il volume da cui sono partito di essa non v’è traccia alcuna: non se ne parla quasi mai, come se questa vicenda cruciale per la storia politica dei cattolici  progressisti non fosse mai accaduta.

    Nel testo che ho scritto per l’occasione e che compare nel volume io ne parlo naturalmente con molta ampiezza e particolarità. Su questo stesso punto si dilunga anche la lunga testimonianza di Ruggero Orfei, che in quegli anni dirigeva Settegiorni, il settimanale promosso allora da Labor e da Donat Cattin e che doveva, nei nostri intendimenti, rappresentare la punta avanzata della operazione politica che ho sopra descritto. Ma per il resto del libro buio pesto e silenzio: parecchie assenze colpevoli condite qua e là da qualche piccolo accenno-parentesi rispetto al punto cruciale che ho sopra richiamato.

    Forse sarebbe stato opportuno – innanzitutto da parte dei curatori del volume, ma anche degli altri testimoni presenti con un loro testo nel volume – domandarsi perché questo sia potuto accadere: immagino non solo per ignavia e trascuratezza. Comunque il problema che sto qui avanzando avrei voluto proporlo io stesso, quel pomeriggio del 18 gennaio, in occasione del confronto allo Sturzo da cui sono partito: ma non c’è stato purtroppo modo di presentarlo in quella circostanza. Il caso però ha voluto che l’intervento di uno degli interlocutori chiamati a presentare una valutazione del libro ha aperto uno spiraglio proprio sul tema che oggi mi interessa e di cui ho appena detto: segno che esso era pur sempre vivo e presente tra quelli che non avevano da indossare i paraocchi.

    Mi riferisco ad un cattolico assai più giovane di noi, antichi testimoni del tempo di Donat Cattin: un personaggio politico di oggi, parlamentare autorevole del Pd, che però si era formato nella Fuci degli anni ’80: Giorgio Tonini. Questo nostro compagno, proprio facendo riferimento al suo passato e riportando una ricostruzione di Stefano Ceccanti, ha voluto ricordare la testimonianza di un giovane spagnolo, capo allora delle organizzazioni cattoliche del suo paese, che in un incontro da lui avuto proprio con Donat Cattin alla metà degli anni ’70 aveva informato candidamente gli autorevoli cattolici italiani della sinistra sociale del tempo che il loro destino di cattolici progres­sisti impegnati nella rifondazione della democrazia nel loro paese era di collaborare attivamente, da cofondatori, alla rinascita del Psoe: alla costituzione cioè del rinnovato e moderno partito che proprio in quel tempo Felipe Gonzales stava lanciando con il sostegno anche di molti compagni socialisti dell’Europa [3].

    Debbo aggiungere che questo interessante ricordo proposto da Tonini in quell’incontro all’Istituto Sturzo non mosse allora l’interesse di nessuno: e non solo degli altri illustri partecipanti al dibattito ma anche da parte del numeroso pubblico presente in platea e tra cui vi erano, attenti ascoltatori, molti vecchi, nuovi democristiani, a partire da Castagnetti seduto proprio davanti a me.

    Per concludere. La crisi straordinaria che oggi è di fronte alla società italiana e che incide così fortemente sulle sue possibilità di sviluppo può essere affrontata e forse anche avviata a soluzione se qualcuno riuscirà a spiegare ed a convincere i suoi attori principali, e cioè i cittadini, che ne potremo uscire unicamente se riusciremo a convincerci che ce la possiamo fare guardando in avanti tutti insieme.

    La politica cammina sulle gambe degli uomini. E questi giovani cittadini, questi uomini e donne italiane, anche se sono capitati a vivere in un tempo difficile ed ambiguo qual’ è questo, debbono poter credere in qualcosa che vada oltre le loro pur sane ambizioni individuali: che li spinga ad un loro impegno a sostegno degli altri. Devono convincersi cioè del fatto che la politica democratica è il solo mezzo capace di promuovere il bene sociale, garantire la libertà ed il benessere di tutti ed anche riempire le loro vite di speranze e fiducia.

    Questa è la ragione fondamentale che fa agire con passione, ancora oggi, gente come noi, individui e famiglie politiche che possono ancora cercare di testimoniare e di far vivere nel presente le ragioni del tempo di Livio Labor e di Carlo Donat Cattin. In quel tempo lontano la realtà consistente e viva che anch’essi avevano contribuito a costruire fu spin­ta ad impiantare una rete umana e solidale perché erano coscienti del fatto che potevano farcela,  sapendo di riconoscersi in una comune “intuizione del mondo”, come aveva scritto Max Weber tanti anni prima.

    Il caso volle che, a cavallo tra i ’60 ed i ’70, cattolici progressisti e socialisti riformatori trovarono difficoltà e ostacoli insormontabili nella realizzazione di quello che essi ritenevano andasse fatto per il bene di tutti, per costruire una democrazia compiuta e governante. Allora l’egoismo oscurato dalle buone tradizioni e l’opportunismo nascosto dietro il rischio del nuovo prevalsero sulle ragioni della riforma indi­spen­sabile (forse anche possibile, e comunque pretesa e quasi deter­mi­nata dalla coscienza di un popolo).

    Quella esperienza, quegli obiettivi, anche quelle modalità di azione sono oggi ancora utilizzabili, sono ancora utili per capire e per agire? Forse è possibile, anche se non ne ho la certezza. Il mio cruccio è che anche se potessimo e volessimo provare a farlo non possiamo conti­nuare a raccontarci male o parzialmente quella premessa, annullando in partenza una esperienza e una storia gloriosa e positiva.

 

[1] La Sinistra Sociale. Storia, testimonianze, eredità, a cura di G. Merlo e G. F. Morgando, Studium, 2016.

[2] Mondoperaio, 4/2016, pag. 86-89.

[3] Aggiungo che quella operazione ebbe successo anche perché il Psi (e non tra gli ultimi) la sostenne fortemente, con uomini e programmi, ma anche con cospicui finanziamenti.

       

                     

25 anni fa

 

L’arresto del “mariuolo”.

 

“Dobbiamo rivoltare l’Italia come un calzino”, disse allora il magistrato Camillo Davigo. 25 anni dopo il suo giudizio è questo: “Oggi rubano senza vergogna, è peggio di tangentopoli”.

 

di Franco Astengo

 

Venticinque anni fa, 17 febbraio 1992, l’arresto del “mariuolo” Mario Chiesa rappresentò l’avvio del rotolarsi di una valanga che travolse tutto il sistema politico italiano (in combinato disposto, è bene ricordarlo, con la caduta del muro di Berlino avvenuta due anni e mezzo prima).

    Naturalmente, a questo proposito, abbiamo avuto (e continueremo ad avere) articolate ricostruzioni e analisi, ma in questo momento mi farebbe piacere prendere atto di una sintesi contenuto nel libro di Giuseppe Tamburrano (uno degli “sconfitti”) “La Sinistra Italiana 1892 – 1992”, recentemente pubblicato dalla Fondazione Nenni.

    Queste le ultime righe del testo: “Dobbiamo rivoltare l’Italia come un calzino” disse il magistrato Camillo Davigo.

    E’ stata rivoltata l’Italia ne è uscito Berlusconi.

     Dopo Berlusconi, aggiungiamo, è arrivato addirittura Renzi con il suo tentativo di cambiare non solo la Costituzione ma addirittura la natura Parlamentare della Repubblica (e fianco di Renzi il “tragico” M5S).

    Una fase, quella tra il 1992 e oggi che rappresenta un monumento all’insipienza, l’arroganza, il pressapochismo di un’intera classe politica.

   Una fase di arretramento culturale, crescita abnorme delle diseguaglianze sociali, sottrazione di democrazia.

    Ritorniamo alle conclusioni di Tamburrano: “Ventiquattro anni dopo, lo stesso Davigo, diventato nel frattempo presidente dell’Associazione nazionale magistrati, ha detto in un’intervista al “Corriere della Sera” (22 aprile 2016): “I politici oggi rubano senza vergogna, è peggio di tangentopoli”.

    Quest’ affermazione del magistrato già componente del Pool “mani pulite” e ricordato da Tamburrano non è certo tacciabile di qualunquismo, almeno a nostro giudizio, ma dettata dell’evidenza del fallimento della velleità di rispondere al malaffare con i partiti personali culla di quella che è stata definita “antipolitica”, con le liste civiche e i Sindaci eletti senza simbolo di partito.

    E’ stato un grande abbaglio quello di pensare di rispondere al procedere e all’intensificarsi del processo corruttivo avvenuto in assoluta continuità con il periodo dei grandi processi e dell’implosione del sistema attraverso l’invenzione di figure salvifiche provenienti dalla cosiddetta “società civile”.

    Nel frattempo la corruzione è diventata sistema coinvolgendo giurisdizioni diverse, P3, P4, imprese e funzionari, faccendieri di vario ordine e grado: anche in virtù della divisione tra responsabilità amministrative e responsabilità politiche attuata attraverso le leggi “Bassanini”.

    Dietro alle nuove forme di corruzione non c’è più la vecchia mappa dei partiti: oggi operano veri e propri comitati d’affari a conduzione privata che invadono il campo dell’amministrazione pubblica, sfruttando anche nuovi campi d’intervento offerti dall’emergenza, come nel caso delle calamità naturali e delle ondate di migrazione.

    Si sono così create delle potenze private che operano nella gestione del pubblico intendendola come una sfera economica da conquistare al fine di sviluppare le proprie possibilità di lucro.

     “La corruzione odierna (Michele Prospero “Il nuovismo realizzato”) è figlia non tanto dell’invadenza dei partiti ma della debolezza estrema dei partiti che nei territori sono soppiantati da figure spregiudicate indifferenti a colori politici”. Essi conquistano lo spazio di governo in ragione delle risorse che mobilitano a proprio sostegno e dell’odore di affari che promettono di annusare una volta insediati al potere”.

    La differenza con tangentopoli può essere così individuata, in conclusione, nell’ emergere, in luogo dell’antica logica di scambio, di una commistione inestricabile tra imprese, politici, “società civile”, faccendieri, rappresentanti di organi statali in un coacervo nel quale gli affari sono – appunto – il tratto comune distintivo.

    La sola risposta sarebbe quella di ricostruire soggetti collettivi capaci di sviluppare spazi per l’esercizio di una politica democratica: ma tutti gli indicatori sembrano dimostrarci che l’establishment, al centro come in periferia, si muove esattamente in direzione contraria.

        

 

FONDAZIONE NENNI

http://fondazionenenni.wordpress.com/

 

Uniti e solidali con la Grecia

 

Un appello per cambiare l’Europa

 

La Grecia ha intrapreso la strada per uscire dalla crisi. Il Fmi e la Commissione Europea pretendono nuove misure di austerità per dopo il 2018, peraltro in contraddizione tra di loro, che non sono previste né dai Trattati europei né nella costituzione di nessun paese al mondo, e per questo assolutamente ingiuste, dannose ed inaccettabili. Non solo la Grecia, ma anche altri Paesi, subiscono le conseguenze nefaste delle politiche di austerità, nuove richieste di sacrifici e contro riforme. Sessant’anni dopo la firma dei Trattati di Roma, l’Europa deve tornare alle sue radici democratiche, di pace, di solidarietà e di giustizia sociale. L’Europa deve riprendere il processo di integrazione, all’insegna di unità e solidarietà. Ciò significa archiviare la stagione dell’austerità con le sue ricadute negative, oltre che mettere in discussione la cultura del Patto di stabilità e del Fiscal Compact.

    L’austerità ha scatenato la frammentazione dell’Europa, ha sfregiato le costituzioni democratiche con l’assurdo Patto di stabilità, ha creato disoccupazione di massa in tanti paesi, impoverimento e marginalizzazione.

    L’Europa non deve tornare nei suoi nazionalismi egoistici, i fili spinati, la divisione dei suoi popoli e dei suoi lavoratori, la xenofobia e il razzismo.

    L’Europa deve e può uscire dalla crisi unita e solidale cambiando politica e riscrivendo i Trattati ingiusti, creando un grande programma di investimenti pubblici e privati per far ripartire le sue economie e creare posti di lavoro veri per la prosperità di tutti i suoi cittadini. È necessario che l’Europa avvii una politica di contrasto al dumping salariale e sociale e faccia di questo il fondamento del Pilastro europeo dei diritti sociali attualmente in discussione, rilanciando un’idea di welfare inclusivo e di protezione sociale su scala continentale. Si tratta di scelte urgenti soprattutto per restituire speranza e fiducia nel futuro si giovani europei.

 

Facciamo un appello a tutte le forze democratiche a prendere po­sizione e a mobilitarsi e al governo italiano di sostenere la Grecia nella riunione dell’Eurogruppo del 20 di febbraio e chiediamo che già il Consiglio Europeo del 25 di marzo per il 60° anniversario dei Trattati istitutivi dell’UE sia l’occasione per rivendicare un’Eu­ro­pa diversa e migliore, quella dei suoi popoli e dei suoi principi de­mocratici.

 

L’Europa, il suo e il nostro futuro, sono nelle nostre mani!

 

PRIMI FIRMATARI - Susanna Camusso, segretario generale CGIL, Francesca Chiavacci, presidente ARCI, Andrea Camilleri, scrittore, sceneggiatore e regista, Stefano Rodotà, giurista, politico ed ac­ca­demico, Vezio De Lucia, urbanista, Luigi De Magistris, sindaco di Napoli, Olga Nassis, presidente delle comunità greche in Italia, Re­na­to Accorinti, sindaco di Messina, Monica Di Sisto, giornalista, cam­pa­gna contro il TTIP, Anna Falcone, avvocato, costituzionalista, Pao­lo Favilli, storico, Carlo Freccero, c.d.a RAI, Tomaso Monta­nari, sto­rico dell’arte, vicepresidente di Libertà e Giustizia, Moni Ovadia, at­tore teatrale, drammaturgo, scrittore, compositore e cantante, Mar­co Revelli, storico, sociologo e politologo.

       

         

L'AVVENIRE DEI LAVORATORI - Voci su Wikipedia :

(ADL in italiano) https://it.wikipedia.org/wiki/L'Avvenire_dei_lavoratori

(ADL in inglese) https://en.wikipedia.org/wiki/L'Avvenire_dei_Lavoratori

(ADL in spagnolo) https://es.wikipedia.org/wiki/L'Avvenire_dei_Lavoratori

(Coopi in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo

(Coopi in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo

(Coopi in tedesco) http://de.wikipedia.org/wiki/Cooperativa_italiana

   

                

LETTERA

 

Reddito di cittadinanza?

 

Sono profondamente contrario al reddito di cittadinanza senza una tassazione fortemente progressiva. La gente non si rende conto che sarebbero quelli che lavorano a sussidiare quelli che il lavoro non debbono averlo per tenere sotto schiaffo quegli altri. Una guerra tra poveri.

    La nostra Repubblica è fondata sul lavoro (Art.1 Cost.). La Repubblica promuove l'elevazione economica e sociale del lavoro (Art 46 Cost.). Ovvero il lavoro ha una missione di emancipazione sociale. E infine (Art. 4  Cost.) il lavoro è un diritto. E la Repubblica promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.

    La Costituzione parla di progresso materiale o spirituale. Ponendo quindi il benessere materiale e quello spirituale sul medesimo piano. Il combinato disposto di questi articoli si traduce in Economia in "piena occupazione".

    Non è una chimera, il legislatore costituente non udiva "le voci". Sappiamo invece cosa produce l'assistenzialismo indiscriminato ed è curioso che nessuno salvo Karl Polanyi, faccia una riflessione seria su questo. Si chiamava Speenhamland system.

 

V.A., Roma

        

    

L'AVVENIRE DEI LAVORATORI

EDITRICE SOCIALISTA FONDATA NEL 1897

Casella postale 8965 - CH 8036 Zurigo

 

L'Avvenire dei lavoratori è parte della Società Cooperativa Italiana Zurigo, storico istituto che opera in emigrazione senza fini di lucro e che nel triennio 1941-1944 fu sede del "Centro estero socialista". Fondato nel 1897 dalla federazione estera del Partito Socialista Italiano e dall'Unione Sindacale Svizzera come organo di stampa per le nascenti organizzazioni operaie all'estero, L'ADL ha preso parte attiva al movimento pacifista durante la Prima guerra mondiale; durante il ventennio fascista ha ospitato in co-edizione l'Avanti! garantendo la stampa e la distribuzione dei materiali elaborati dal Centro estero socialista in opposizione alla dittatura e a sostegno della Resistenza. Nel secondo Dopoguerra L'ADL ha iniziato una nuova, lunga battaglia per l'integrazione dei migranti, contro la xenofobia e per la dignità della persona umana. Dal 1996, in controtendenza rispetto all'eclissi della sinistra italiana, siamo impegnati a dare il nostro contributo alla salvaguardia di un patrimonio ideale che appartiene a tutti.

  

     

 

 

Allegato Rimosso
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