[Diritti] ADL 170202 - Terzo step



L'AVVENIRE DEI LAVORATORI

La più antica testata della sinistra italiana, www.avvenirelavoratori.eu

Organo della F.S.I.S., centro socialista italiano all'estero, fondato nel 1894

Sede: Società Cooperativa Italiana - Casella 8965 - CH 8036 Zurigo

Direttore: Andrea Ermano

 

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e-Settimanale - inviato oggi a 45964 utenti – Zurigo, 2 febbraio 2017

  

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PER IL TERZO STEP

 

Bologna

Sabato, 4 febbraio - ex Sezione Vancini - via Elisabetta Sirani 3

 

Incontro politico dei movimenti e delle associazioni

che hanno sostenuto ricorso contro l’Italicum

 

Mattino - ore 10.00-13.30

Discussione sull'esito del Referendum

e sul pronunciamento della Consulta

 

Pausa pranzo ore 13.30

 

Pomeriggio - ore 14.30-17.00

Discussione documenti politici

e programmazione iniziative successive

 

Termine dei lavori - ore 17.00

 

   

Conformemente alla Legge 675/1996 tutti i recapiti dell'ADL Newsletter sono utilizzati in copia nascosta. Ai sensi del Codice sulla privacy (D.L. 30.6.2003, 196, Art. 13) rendiamo noto che gli indirizzi della nostra mailing list provengono da richieste d'iscrizione, da fonti di pubblico dominio o da E-mail ricevute. La nostra attività d'informazione politica, economica e culturale è svolta senza scopi di lucro e non necessita di "consenso preventivo" rivestendo un evidente carattere pubblico come pure un legittimo interesse associativo (D.L. 30.6.2003, 196, Art. 24).

    L'AVVENIRE DEI LAVORATORI contribuisce da oltre 115 anni a tenere vivo l'uso della nostra lingua presso le comunità italiane nel mondo tra quelle persone che si sentono partecipi degli ideali socialisti-democratici di Giustizia e Libertà.

    

    

Editoriale

 

Populismi

 

Per Matteo Renzi occorrerebbe un ritorno anticipato alle urne, diciamo entro giugno: "Per me votare nel 2017 o nel 2018 è lo stesso. L'unica cosa è evitare che scattino i vitalizi". Se la legislatura andasse avanti, infatti, i parlamentari di prima nomina (per lo più grillini) potrebbero maturare certi diritti pensionistici, fatto che l'ex premier giudica "molto ingiusto verso i cittadini".

    Lasciamo in pace i cittadini, e lasciamo da parte anche se esistano ancora questi "vitalizi", o se sia così importante "evitare che scattino". Lasciamo stare tutto. Ma sorge ugualmente un interrogativo: l'ex premier non avrebbe potuto pensarci prima, modificando la legge? Altrimenti qui le legislature durano ufficialmente cinque anni, ma poi vanno interrotto sei-sette mesi prima per evitare lo “scatto”.

    Ma qual è il senso politico di tutto ciò? È un fatto che l'attuale leader del PD reputi conveniente andare a elezioni anticipate massimo entro giugno. Ma conveniente per chi? Per l'Italia? Non parrebbe. Con­ve­nien­te per il PD? No, dato che questo partito rischierebbe una scis­sio­ne. Conveniente almeno per Renzi? Neanche, dato che – se subisse una scissione nel PD – l'ex premier perderebbe le elezioni, la segreteria e ogni prospettiva di ritornare a Palazzo Chigi in tempi prevedibili.

    La prospettiva delle elezioni anticipate – alti i rischi, nulli i vantaggi – appare senza senso. A meno che essa non descriva il modo in cui il rottamatore va rottamando se stesso in un confuso gesticolio senza costrutto. Sarebbe assurdo.

    Non potrebbe, allora, il leader del PD, se ne fosse capace, formulare le sue posizioni politiche in modo meno populista e un po’ più logico, affinché il popolo sia messo in grado di capire razionalmente che cosa sarebbe da fare?

 

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E veniamo al nuovo Potus (abbreviazione per President Of The United States). "Sarebbe ingenuo", dichiara il nuovo Potus, proibire torture tipo il Waterboarding quando ciò rientrasse in certe valutazioni securitarie dei funzionari preposti.

    Bloccare tutta una serie di viaggiatori – vecchi, donne e bambini inclusi –  in quanto facenti parte di questa o quella nazione o religione, "fa grande l'America", decreta il nuovo Potus.

    Ecco altri due casi di populismo virulento, forma che il potere talvolta assume, quando vellica gli istinti più bassi della gente senza indietreggiare nemmeno dinanzi alla violazione dei diritti umani.

    Il populismo merita di essere combattuto. Non importa se il potere profitta del consenso che ha per scatenare una persecuzione contro i propri avversari, oppure se scatena la persecuzione contro i primi malcapitati per procacciarsi il consenso che non ha. Questo è populismo e va combattuto.

    Ma qualcuno dice, giustamente, che i popoli si sono stufati. Dopo un quarto di secolo di prese in giro subite da parte delle élites, i popoli si sono stancati. Alla buon'ora, diciamo noi. Ma ciò rende ancora più oscena la tattica miliardaria di chi punta a trarre profitto anche dalla rabbia delle masse, manipolandone i sentimenti verso un qualche capro espiatorio di turno. Tattica da apprendisti stregoni, ma non priva di rischi a medio termine né di vantaggi a breve...

    Riflettiamo.

    Pare che un muro anti-messicano sia divenuto absolutamente necessário, per dirla alla maniera di "Sotto il Vulcano". Il nuovo Potus lo annuncia. E all'indomani il Peso messicano si deprezza.

    Il nuovo Potus annuncia che l'Euro è sottovalutato. E all'indomani l'Euro si apprezza.

    Il nuovo Potus decreta che i musulmani non sono bene accetti negli USA. E all'indomani, il Dollaro si deprezza.

    Riassumiamo: il Peso si deprezza, l'Euro si apprezza, il Dollaro si deprezza.

    E beati coloro i quali nel Regno di Wall Street già conoscevano la Parola del Potus, perché ora di costoro è una gran montagna di soldi. Amen.

    Alla faccia del muro anti-messicano, alla faccia degli alleati europei e alla faccia anche dei non alleati musulmani.

    Ma soprattutto alla faccia del popolo, se si ubriaca di populismi.

 

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"Superciuck", celebre personaggio di Max Bunker

       

         

Da Avanti! online

www.avantionline.it/

 

IL FRENO DI NAPOLITANO

 

“Nei paesi civili – ha detto il Presidente emericto – alle elezioni si va a scadenza naturale e a noi manca ancora un anno. In Italia c’è stato un abuso del ricorso alle elezioni anticipate”.

 

di Ginevra Matiz

 

Renzi le elezioni le vuole proprio. Tanto che non esita a cercare la sponda di Lega e Movimento 5 Stelle. Con loro infatti ha trovato un accordo sul calendario per intavolare l’inizio della discussione sulla legge elettorale a fine febbraio. Alla determinazione di Renzi risponde Pier Luigi Bersani: “Se Renzi forza, rifiutando il Congresso e una qualunque altra forma di confronto e di contendibilità della linea politica e della leadership per andare al voto, è finito il Pd. E non nasce la cosa 3 di D’Alema, di Bersani o di altri, ma un soggetto ulivista, largo plurale, democratico”. “Non incontro Renzi, parlo in pubblico. E mi piacerebbe farlo nel Pd, dove è preoccupante il restringimento degli spazi democratici”, ha detto ancora Bersani. Che ha aggiunto: “Il governo deve governare. Gentiloni vuole governare? Un presidente del Consiglio giura sulla Costituzione, non facciamo vedere un autolicenziamento in streaming alla direzione del Pd”.

    Chi cerca di porre un freno è l’ex presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. “Nei paesi civili – ha detto – alle elezioni si va a scadenza naturale e a noi manca ancora un anno. In Italia c’è stato un abuso del ricorso alle elezioni anticipate”. Napolitano ha poi aggiunto: “Bisognerebbe andare a votare o alla scadenza naturale della legislatura o quando mancano le condizioni per continuare ad andare avanti. Non si fa certo per il calcolo tattico di qualcuno…”. Per togliere la fiducia a un governo deve accadere qualcosa”, ha ribadito l’ex presidente della Repubblica, conversando con i giornalisti a Palazzo Madama. “Non si fa certo per calcolo tattico di qualcuno”, ha sottolineato riferendosi, pur senza citarlo, all’ex premier Renzi.

    Parole che hanno subito illuminato la fervida fantasia di Salvini che ha replicato con i modi che gli sono più consoni: “Nei Paesi civili chi tradisce il proprio Popolo viene processato, non viene mantenuto a vita come parlamentare, presidente e senatore”. Un attacco che il segretario del Psi Riccardo Nencini ha definito “scriteriato”. “Se c’è un traditore – ha aggiunto – quello è proprio Salvini, addirittura da quando lavorava per anteporre gli interessi della fantomatica Padania all’Italia”.

    Le parole di Salvini sono definite rivoltanti anche dal presidente dice della commissione Esteri della Camera Fabrizio Cicchitto: “Quello che dice Salvini su Napolitano è rivoltante e  dovrebbe far riflettere chi addirittura fa con lui intese istituzionali e parlamentari”.  Salvini conosce i propri elettori. E sa cosa dire per farli contenti. Parlare alla pancia serve a pescare consensi, anche quando si rimesta nel torbido di affermazioni poco eleganti. “Per il Pd – dice Lorenzo Guerini  – sono inaccettabili e offensive le parole di Salvini contro il presidente Napolitano”. Mentre per Vannino Chiti “ci sarebbe da stupirsi il giorno in cui Salvini facesse affermazioni dotate di equilibrio e di saggezza. Anche in questi difficili tempi la rozzezza e la violenza verbale non sono una virtù. Le ingiurie contro il presidente Napolitano sono ricorrenti e gratuite, ma non per questo si può far finta di niente. A Napolitano vanno la mia stima e la massima solidarietà”.

     “Un arruffapopolo inconcludente” lo ha invece definito Maurizio Lupi, presidente dei deputati di Area popolare. “Nei paesi civili chi accusa di tradimento un capo dello Stato e lo vuole portare a processo dovrebbe provare quello che dice, o imparare a misurare le parole. Sempre che voglia fare il leader politico e aspirare a guidare il paese”. Le parole spesso vengono sparate al vento senza riflettere troppo, ma chi vuole votare subito dovrà sedersi al tavolo con Salvini per trovare una intesa.

 

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L'AVVENIRE DEI LAVORATORI - Voci su Wikipedia :

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SPIGOLATURE 

 

Nere minacce e una

straordinaria opportunità

 

di Renzo Balmelli 

 

ERESIE. Se non ora, quando? Già, quando se non ora, con le nere minacce che incombono all'orizzonte, l'Europa troverà in sé la forza e la motivazione per tornare alle origini, per riaffermare le ragioni che l'hanno portata a unirsi dopo la macelleria di due guerre mondiali. In quest'ordine di idee, al Vecchio Continente si offre ora la straordinaria opportunità di rispondere punto per punto ai vari Trump, ai vari profeti di sventura che seminano paura e studiano leggi discriminatorie. Di rispondere come fosse una vera e unica realtà politica e culturale, attingendo ai suoi valori, che non sono soltanto quelli contabili del bilancio e dello spread. E' così d'altronde che si forma e si consolida l'identità della casa comune in grado di contrastare le eresie che stanno scardinando i pilastri della società americana e potrebbero fare vacillare anche i nostri.  Sarebbe un danno irreparabile se venisse messo a repentaglio quanto è stato fatto per non ricadere negli orrori del passato.

 

SCELTA. Tra i paesi fondatori e primi firmatari del Trattato di Roma figura l'Italia che in virtù degli accordi comunitari è diventata una delle più grandi economie industriali del pianeta. Tuttavia la vocazione europeista che la collocava tra le nazioni virtuose, ora sembra scemare vistosamente. Taluni attribuiscono l'inversione di tendenza alla drammatica recessione degli ultimi anni. C'è del vero in questa analisi. Ma l'origine della metamorfosi risiede anche altrove ed è da ricercare nell'incessante logorio delle forze ostili  che sfruttando il malessere incrementano l'inquietudine in modo sconsiderato fino a proporre l'uscita dall'euro. Una tale ipotesi sarebbe un disastro sia dal punto di vista monetario che per il sistema di alleanze che fa dell'Italia una tessera fondamentale per la tenuta dell'UE.  A tutela della democrazia e delle sue imprescindibili conquiste, l'Unione, malgrado le sue imperfezioni, rimane -  verrebbe da dire reinterpretando la famosa frase di Churchill -  il solo sistema valido fino a quando non se ne troverà una migliore. Quindi ora più che mai l'unica scelta è dirsi europei.

 

AZZARDO. Alea jacta est. Alla Casa Bianca il dado e tratto. Ma se il Rubicone di Cesare si è ormai perso nei meandri della storia, quello della nuova presidenza sembra incamminare l'America verso un futuro carico di incognite.  Ciò che si dipana non è che una accozzaglia di provvedimenti " malvagi e illegali " secondo il severo giudizio dell'ONU, che ignorano i diritti umani. Tanto da lasciare perplessi persino numerosi repubblicani. Con queste premesse è lecito avere ben più di un dubbio su come si prefigurerà il nuovo ordine mondiale con la Russia, dopo lo scalpore sollevato dal decreto della Duma (nauseante secondo Amnesty International) che in buona sostanza assolve le botte alla moglie.  A questo punto i senatori di Washington, anche se privi del laticlavio, dovranno cominciare a porsi qualche domanda sull'azzardo elettorale che sta addensando nuvoloni carichi di tempesta nel cielo della capitale. Ovviamente - ça va sans dire - senza scomodare Bruto. 

 

SPIRALE. Occhio per occhio, dente per dente. La famigerata legge del taglione, le cui origini risalgono alla notte dei tempi, semina morte tra le vittime innocenti raccolte in preghiera. Non sembra vi sia altra chiave di lettura della strage ordita alla moschea di Québec City da un simpatizzante dell'estrema destra xenofoba, mosso dallo spirito di vendetta aizzato dalle predicazioni dei cattivi maestri. Si delinea così il rischio di innescare una spirale perversa che fa il gioco del terrorismo di matrice jihadista vile e odioso incitandolo ancora di più a colpire nel mucchio.  A esserne toccato nei suoi sentimenti più profondi è il Canada " liberal", convinto fautore del multiculturalismo riportato in auge dal premier Justin Trudeau quale modello di società costruita sulla tolleranza e l'accoglienza.  Lo stato nord americano si era conquistato   la copertina dell'Economist che mostra il disegno della Statua della Libertà con la foglia d'acero canadese. In quel ritratto ora si è aperta una ferita dolorosa. 

 

RINTOCCHI. Per chi suona la campana? Rivolta alla sinistra, la risposta potrebbe ricalcare il verso del poeta John Donne citato da Hemingway per il suo famoso romanzo: "Non chiedere mai per chi suona, essa suona per te". Per la sinistra, includendo nel suo variegato schieramento anche i liberal americani, è tempo di ascoltare i rintocchi e di capirne il significato. Senza indugi è arrivata l'ora di formare una linea di resistenza in grado di porre un argine alla dilagante deriva populista onde sventare il pericolo di avere sempre meno voce in capitolo nelle scelte strategiche. Non si tratta di una rivoluzione, ma di voltar pagina, di archiviare non tanto la dialettica interna, che fa sempre bene, bensì di mettere da parte l'inconcludente litigiosità del passato che, come molti passati - ha scritto un acuto e autorevole osservatore - non vuole passare neanche a sinistra. Con esiti a volte assai deludenti.

 

CORAGGIO. In politica la partita si chiude all'ultimo voto. Nel calendario del 2017 fitto di appuntamenti elettorali, il motivo ricorrente del populismo europeo è la certezza di avere la vittoria in tasca. Certezza o sicumera? Si temeva avvenisse in Austria e invece si è verificato esattamente il contrario con il successo del verde Van der Bellen, una speranza per l'Europa, in carica da pochi giorni. In Francia l'estrema destra e la destra, scosse dallo scandalo Fillon, non sono più così sicure di riuscire a fare saltare il banco. Dal canto suo Benoit Hammon il leader della sinistra progressista si aggiudica le primarie socialiste ispirandosi a Sanders, l'arzillo senatore del Vermont, che ha perso non per demerito suo, ma per gli errori di un partito al quale è venuto a mancare un po' di coraggio. E oggi è proprio di scelte coraggiose che si avverte il bisogno per rintuzzare l'effetto maligno e ipnotico degli incantatori di serpenti.

 

ESPEDIENTE. Già ai tempi di Peppone e Don Camillo il latinorum era motivo di accese discussioni tra i due battaglieri capi-popolo di Brescello. Se il sovente citato viaggiatore dello spazio capitasse in Italia e chiedesse lumi sul sistema elettorale, si accorgerebbe, con sua grande meraviglia, che la situazione non è poi cambiata gran che rispetto alla saga di Guareschi. Dalle risposte faticherebbe a immaginare come riesca il cittadino a districarsi nella foresta di norme tanto complicate da risultare spesso incomprensibili. Dal Mattarellum al Bersanellum, dal Porcellum al Consultellum, dal Democratellum al Tatarellum, dal Toninellum per i critici Complicatellum, ogni stagione è stata tutto un fiorire di sigle che non esistono in nessun altro Paese. L'impressione è che il ricorso al latino sia soltanto un espediente per aggirare l'unica domanda che davvero conta. Questa: una legge elettorale con un nome normale sarebbe chiedere troppo?

   

    

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LAVORO E DIRITTI / Storia

a cura di www.rassegna.it

 

A fianco degli ebrei italiani

 

di Giuseppe Di Vittorio

 

Fu tra i pochi a comprendere, negli ambienti dell'emigrazione anti­fa­scista in Francia, la gravità di quel che stava accadendo. Era il set­tem­bre 1938: ad appena due giorni dalle leggi razziali decise dal re­gi­me fascista, Giuseppe Di Vittorio, futuro leader della Cgil, pub­bli­cò su La Voce degli italiani, giornale dei nostri conna­zio­nali d'ol­tral­pe, un forte appello contro l'odiosa iniziativa di Mus­so­lini. "In aiuto degli ebrei italiani!": questo il titolo dello scrit­to, che il mensile Pa­gi­ne ebraiche (www.paginebraiche.it) ha avuto il merito di ri­pub­blicare già nel marzo dello scorso anno (con due note degli storici Alberto Cava­glion e Silvia Berti, nipote del sindacalista di Ceri­gno­la), e che, in occasione della Giornata della memoria, è stato riproposto ai let­to­ri di Rassegna.it. In anni in cui le leggi razziali diventano per alcuni (forse non pochi) un incidente di per­corso di un regime tutto som­ma­to tollerabile – tanto da mandare gli oppositori in "vil­leg­giatura", co­me diceva con spirito osceno l'uomo di Arcore a pro­po­sito degli ita­lia­ni costretti al confino –, è una pa­gina da meditare, questa di Di Vit­torio: sembra davvero scritto nel tempo presente. G.Ri.

 

Mentre la situazione internazionale si aggrava di ora in ora, sotto le minacce intollerabili degli aggressori fascisti, il delirio razzista è giunto al parossismo in Italia. Tutti i mezzi, potentissimi di pressione morale e materiale di cui si è munito il regime, sono stati messi in azione per creare un'atmosfera di pogrom. Nella disonorante campagna di odio contro gli ebrei – contro gli stessi ebrei italiani, che sono nati in Italia, che hanno compiuto il loro servizio militare in Italia, che sono degli onesti cittadini – non vi è ritegno, non vi sono limiti, né pudore La vigliaccheria garantita dalla protezione senza riserve dello Stato, si ammanta della pelle del leone e si accanisce con estrema ferocia contro i deboli, contro coloro che sono stati spogliati d'ogni diritto e messi al bando come lebbrosi!...

    Gli ebrei sono divenuti gli "untori" di manzoniana memoria. Nessuno degli omonzoli del regime ha il coraggio civico di dire almeno una parola di moderazione; nessuno di costoro mostra di possedere ad un grado qualsiasi il senso di misura, né sentimenti d'umanità. Al contrario, i gerarchi arricchiti sul sangue e sulle lacrime del popolo, fanno a gara, a chi più può mostrarsi "intransigente", feroce e spietato verso i deboli, gli isolati, i paria, messi nell'impossibilità di reagire e difendersi. Tutti partecipano "coraggiosamente" a questa gara della più abbietta viltà. E quei gerarchi che hanno vissuto alla greppia di ebrei capitalisti, e si sono magari arricchiti, sono oggi fra i più infuriati cacciatori di ebrei; cioè, fra i più vili.

    Coloro che arzigogolavano su pretese differenze fra i due massimi dittatori fascisti d'Europa, sforzandosi di scorgere in Mussolini il fa­mo­sis­simo "latin, sangue gentile" – per cui il boia del nostro popolo sa­reb­be stato più misurato, più equilibrato, più sensibile, più umano, ecc. ecc., del suo collega germanico – sono ormai ben serviti. Mussolini, l'uo­mo di tutti i rinnegamenti e di tutti i tradimenti; Mussolini, che an­cora nel 1934 ripudiava con veemenza il razzismo e rivendicava come un grande onore per il fascismo italiano l'essere immune da questa lue barbarica e di trattare i cittadini italiani ebrei alla stessa stregua di tutti gli altri cittadini, portandoli anche alle più alte cariche in tutte le bran­che dell'attività nazionale, secondo i loro meriti; Mussolini, diciamo, è sceso così in basso, sotto l'influenza, la pressione e gli ordini di Hitler, da superarlo, nella brutalità e nella ferocia.

    Mussolini si è distinto, sì, ma nel bruciare le tappe. In questa lotta selvaggia e codarda contro le poche migliaia di ebrei italiani – già perfettamente assimilati e fusi col nostro popolo – Mussolini ha fatto in poche settimane ciò che Hitler ha fatto in quattro anni. Tutti gli ebrei stranieri residenti In Italia – perché, poveretti, avevano creduto all'antirazzismo di Mussolini di ieri – sono espulsi in massa. Tutti gli ebrei residenti in Italia da meno di vent'anni sono espulsi dall'Italia, anche se avevano acquistato la cittadinanza italiana. Tutti gli ebrei italiani sono stati esclusi dall'insegnamento e dagli impieghi pubblici. Gli alunni ebrei italiani, nati in Italia da cittadini italiani, sono esclusi da tutte le scuole pubbliche e pareggiate.

    L'esclusione degli ebrei anche dagli impieghi privati, dall'esercizio delle professioni liberali, dal commercio, ecc. ecc, è già in corso su tutta la linea, senza bisogno d'alcun decreto. Del resto, è stata già an­nun­ciata l'esclusione degli ebrei dal partito fascista; forse anche da altre organizzazioni del regime. E tutti sanno che in Italia chi non ha la tessera fascista non può lavorare. I cittadini italiani ebrei sono prati­ca­mente cacciati da tutti gli impieghi, avulsi da ogni attività produttiva, esclusi da ogni posto di lavoro. Come deve vivere questa massa di cir­ca 80.000 ebrei italiani? Agli stessi capitalisti ebrei – o anche a quei cit­tadini ebrei che possiedono qualche economia – è impedito di e­spatriare coi loro beni. Ma più crudele e veramente drammatica è la si­tua­zione degli ebrei poveri, che sono la grande massa. Ripetiamo: co­me deve vivere questa massa di cittadini italiani, spogliati d'ogni diritto e privati d'ogni possibilità di guadagnarsi la vita col proprio lavoro? Ancora: cosa avviene delle decine di migliaia dl fanciulli e di studenti italiani ebrei, odiosamente esclusi dalle scuole pubbliche e pareggiate?

    A questi drammatici interrogativi, il regime non si preoccupa affatto di rispondere. E non se preoccupa nemmeno il re, il quale ha dimenti­cato che lui e la sua famiglia riscuotono decine di milioni all'anno dal popolo italiano affamato, per il titolo di "guardiano della Costituzione italiana". Ora, secondo la detta Costituzione, i cittadini italiani – com­presi quelli ebraici – "sono uguali davanti alla legge", per cui nessun governo ha il diritto di farne una categoria di cittadini inferiori, privati d'ogni diritto e d'ogni possibilità di vivere. Il popolo italiano, però, non rimane indifferente di fronte all'ondata di più vergognosa barbarie scatenata dal regime.

    Che nessuno s'inganni! La lotta contro gli ebrei non è che un aspetto della lotta dei grandi trust e della loro dittatura fascista contro l'intero popolo italiano. Col parossismo razzista scatenato contro gli ebrei, il governo fascista mira a far passare gli ebrei come responsabili della miseria spaventosa in cui il regime ha gettato il nostro popolo, specialmente per le sue guerre d'aggressione contro l'Abissinia e la Spagna; il governo fascista mira a creare una ideologia e una mentalità imperialista nelle masse popolari, per farne uno strumento docile della sua politica di guerra, della guerra generale nella quale i grandi criminali dell'asse fascista stanno forse lanciando l'Europa, nel momento stesso in cui scriviamo.

    Ma noi non possiamo limitarci a deplorare le malefatte e le barbarie del regime. La democrazia italiana ha il dovere di unirsi e d'agire. Dobbiamo agire per esigere che le misure decise dalla Conferenza Internazionale di Evian per proteggere gli ebrei austriaci e tedeschi, siano automaticamente applicate anche agli ebrei italiani. Dobbiamo esigere che la Società delle Nazioni intervenga per proteggere la vita e gli averi degli ebrei italiani. Dobbiamo unirci d'urgenza ed agire contro la guerra che le dittature fasciste stanno scatenando e per portare l'emigrazione e il popolo italiano a schierarsi nei ranghi dei popoli che lottano per la democrazia e la libertà! Unione! Unione! Unione!

   

    

FONDAZIONE NENNI

http://fondazionenenni.wordpress.com/

 

DUE BORSE DI STUDIO

 

La Fondazione Pietro Nenni ha indetto un concorso per due Borse di Studio per ricerche sulla figura di Pietro Nenni. L’ammontare di ciascuna borsa è di € 4.000,00, come previsto dal Progetto “Nenni Padre della Repubblica, 1946-2016”, cofinanziato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

    Possono prendere parte al concorso i cittadini italiani che non abbiano superato i 35 anni di età al momento della pubblicazione del bando sul sito web della Fondazione www.fondazionenenni.it (30 gennaio 2017) e siano in possesso di laurea specialistica (o di dottorato di ricerca) conseguita nelle seguenti discipline: Storia, Lettere, Filosofia, Sociologia, Giurisprudenza, Scienze Politiche, Scienze della comunicazione o equipollenti.


Le Borse verranno assegnate per finanziare due ricerche:

1) “Pietro Nenni Giornalista”.

2) “Pietro Nenni e i socialisti nell’assemblea costituente”.

 

Scadenza 10 marzo 2017


Di seguito il link con il Bando e gli allegati da compilare:

BANDO BORSE DI STUDIO

       

 

Da l’Unità online

http://www.unita.tv/

 

Il corto circuito di Vasto: dall’odio

sui social alla giustizia "fai da te"

 

Il caso di Vasto scuote le nostre coscienze perché racconta di un uomo accecato dall’odio, abbandonato a sé stesso. Pochi mesi fa la morte improvvisa della giovane moglie lo aveva distrutto e portato in un profondo stato di depressione da cui non si è riuscito a liberare. Secondo le prime ricostruzioni, in molti, invece di aiutarlo, lo avrebbero trascinato ancora più giù, fomentando la sua rabbia.

 

di  Agnese Rapicetta - @rapicettola

 

Non vogliamo cadere nella corrente di pensiero per cui “E’ tutta colpa dei social” ma certo in questa storia, l’uso spregiudicato del mezzo non ha aiutato.

    Dopo l’incidente della moglie, Fabio Di Lello aveva infatti aperto una pagina su Facebook per chiedere verità e giustizia. Sacrosante parole. Ma questa giustizia tardava ad arrivare e la verità veniva minacciata ogni giorno. E la pagina Facebook così, si è trasformata in un Tribunale del Popolo.

     “Mi chiedo, dov’è giustizia? Mi rispondo, forse non esiste! Non dimentichiamo, lottiamo, perché non ci sia più un’altra Roberta”, scriveva Fabio su Facebook.

    Erano già evidenti gli attriti virtuali tra famiglie che proteggevano i propri cari ad ogni costo, avallati dalle note degli avvocati e dalle perizie di parte. Secondo il legale di Italo D’Elisa, l’avvocato Pompeo Del Re, il suo assistito non era “un pirata della strada” in quanto “subito dopo il sinistro, pur essendo anch’egli ferito e gravemente scosso, non ha omesso soccorso, ma ha immediatamente allertato le autorità competenti e chiesto l’intervento del personale medico-sanitario”.

    Una tesi sempre rigettata dalla famiglia di Roberta Smargiassi che replicava come “il capo di imputazione a carico dell’uomo fosse omicidio stradale aggravato dalla violazione delle norme sulla circolazione stradale relative all’eccessiva velocità e al mancato rispetto del segnale con luci rosse dell’impianto semaforico”.

    Probabilmente però, a tracciare un solco insuperabile tra le due famiglie, ha contribuito quel cordoglio che la famiglia Smargiassi attendeva per la morte della loro Roberta e che, come scriveva l’avvocato Cerella, “nessun componente della famiglia del 21enne, indagato compreso, ha mai espresso”, così come le dichiarazioni fatte dalla famiglia del giovane, ritenute dai congiunti di Roberta “offensive e dolorose”. Addirittura l’avvocato di Di Lello ha dichiarato che “Italo D’Elisa era strafottente con la moto (che aveva ripreso dopo soltanto tre mesi dall’incidente n.d.r.). Dava fastidio al marito di Roberta. Quando lo incontrava, accelerava sotto i suoi occhi”.

    Una situazione che deve essere sembrata a Di Lello insostenibile, aggravata e fomentata dai commenti che leggeva sulla rete. Secondo Pompeo Del Re, il legale di D’Elisa: “C’è stata una campagna di odio da parte dei familiari di questa ragazza. Ora ne vediamo le conseguenze. Vedevamo manifesti dappertutto. Continui incitamenti anche su Internet a fare giustizia. Alla fine c’è stato chi l’ha fatta. Si è fatto giustizia da sé. Tra l’altro dopo tempo, quindi una premeditazione. Il percorso della giustizia stava andando avanti. Italo D’Elisa sarebbe dovuto comparire nei prossimi giorni davanti al GUP”.

    Anche il procuratore della Repubblica di Vasto Giampiero Di Florio non ha nascosto la sua amarezza per quel luogo virtuale che troppi danni fa anche al paese reale e “dove la gioventù si affida a commenti spregiudicati” senza pensare alle conseguenze e all’effetto che possono avere su una mente fragile come quella di Di Lello. In quel luogo ancora adesso ci si interroga e ci si confronta sull’accaduto: c’è chi lo condanna e chi invece lo giustifica. Ma scandagliare la mente umana in 140 caratteri è davvero un’impresa impossibile.

    Ciò che rimane oggi sono soltanto macerie: la vita di tre famiglie distrutte e un gran senso di inutilità. E’ quello che succede quando verità e giustizia non vincono.

 

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Da MondOperaio

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La guerra è guerra, si dirà…

 

Pubblichiamo di seguito uno stralcio dall'editoriale del direttore

Covatta per il numero 1 / 2017 della storica rivista socialista.

 

di Luigi Covatta

 

Dunque non c’è nulla da fare? Poco, oltre che sperare e pregare. Anche perché il progresso tecnologico ha ovviamente moltiplicato le possibilità di offesa, mentre non può moltiplicare allo stesso modo quelle di difesa se non a prezzo di intollerabili restrizioni della libertà individuale: e pazienza se gli stessi beoti che negano l’opportunità di controllare internet (che si potrebbe fare) poi esigono poliziotti ad ogni angolo di strada (che non servono a molto). Del resto solo l’esercito di Franceschiello pensava che per allontanare il pericolo bastasse fare la faccia feroce.

    Resta l’opzione di alimentare lo “scontro di civiltà”, crimina-lizzando etnie e confessioni religiose in quanto tali, e se del caso sparando nel mucchio. Per la verità bisognerebbe prima stabilire di quali “civiltà” stiamo parlando, visto che poco più di settant’anni fa le “radici cristiane” dell’Europa non evitarono l’uso delle tecnologie allora disponibili per sterminare sei milioni di ebrei e per bombardare a tappeto prima Coventry e Dresda, e poi, con ben altra tecnologia, Hiroshima e Nagasaki: e che neanche gli attacchi suicidi utilizzati dal terrorismo arabo sono inediti, tanto che ancora ora ne vengono definiti kamikaze i protagonisti.    

    La guerra è guerra, si dirà. Vero. E vero anche che le guerre di re­ligione sono fra le più lunghe e feroci. In Europa ce ne fu una che durò trent’anni. Nessuno la vinse sul campo. Finì con la conferma di un di­scutibile compromesso, quello del cuius regio, eius­religio: l’e­satto op­posto dello “scontro di civiltà”, ma anche l’esaltazione della supre­ma­zia della politica…

 

Continua la lettura sul sito di Mondoperaio, dove si possono leggere due testi tratti dal nuovo numero della rivista:

 

L’Editoriale di L. COVATTA, Buon anno

 

Il saggio di S. VECA, La libertà eguale

 

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L'AVVENIRE DEI LAVORATORI - Voci su Wikipedia :

(ADL in italiano) https://it.wikipedia.org/wiki/L'Avvenire_dei_lavoratori

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(Coopi in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo

(Coopi in tedesco) http://de.wikipedia.org/wiki/Cooperativa_italiana

   

            

Dalla Fiei/Filef (Roma) riceviamo

e volentieri pubblichiamo

 

Nuova emigrazione

italiana in Germania

 

Per il secondo anno consecutivo superati i 70mila arrivi.

 

di Rodolfo Ricci, responsabile Fiei/Filef

 

Lo Statistisches Bundesamt di Wiesbaden ha rilasciato il 13 gennaio scorso gli ultimi dati sui flussi di immigrazione verso la Germania (Rapporto 2016) che registrano gli afflussi dal 1 gennaio al 31 dicembre 2015.

    Il dato più significativo è che nel 2015 si è raggiunto il picco di arrivi assoluto nella storia tedesca superiore perfino al dato del 1992 quando erano giunti in Germania 1.502.198 in gran parte Ausiedler e Uebersiedler di origine tedesca provenienti dai paesi dell’est Europa e dall’ex Unione Sovietica.

    Gli arrivi registrati nel 2015 sono invece ben 2.136.954.

    Quanto ai paesi di provenienza vi è la novità della Siria, al primo posto con oltre 320mila arrivi, seguita però da Romania, Polonia, Afganistan, Bulgaria e Italia, con 74.105 arrivi, l’unico paese dell’Europa occidentale che manifesta un trend di crescita anche rispetto al 2014, quando gli arrivi dal nostro paese erano stati poco più di 70mila. Mentre diminuiscono gli arrivi da Grecia e Spagna.

    E’ il secondo anno consecutivo che gli arrivi dall’Italia superano la quota di 70.000; l’ultimo anno in cui si registrò un afflusso paragonabile fu il 1966, con poco più di 75mila arrivi.

    Il dato conferma la permanenza di un grande flusso di nuova emigrazione italiana composta in parte anche da immigrati precedentemente insediati in Italia che hanno lasciato il paese.

    Dei 74.105 arrivati, infatti, solo 57.191 sono di nazionalità italiana.

    Anche in questo caso vi è uno scostamento molto significativo tra i dati rilasciati recentemente dall’Istat che ha registrato per il 2015 la cancellazione di residenza per la Germania di 17.299; la differenza è di 58.806; Il dato tedesco è circa 4,3 volte più alto del dato Istat.

    Nel corso del quinquennio 2011-2015 (dati rilasciati dal 2012 al 2016) mentre per l’Istat risultano complessivamente 60.700 cancellazioni di residenza per l’espatrio verso la Germania, per lo Statistisches Bundesamt risultano 274.285 arrivi dall’Italia. Con una differenza di 213.585.

    Come noto, la differenza è spigabile con la mancata iscrizione all’Aire di molti connazionali e con la tardiva cancellazione di residenza in Italia prima di trovare una collocazione lavorativa accettabile ed aver definitivamente optato per la residenza all’estero. Analogo è il differenziale con un altro paese meta privilegiata dei nostri nuovi flussi di espatri, la Gran Bretagna, i cui dati sul 2015 sono attesi per il prossimo mese di aprile.

    I dati dello Statistiches Bundesamt mostrano con evidenza la imponente progressione dei flussi di arrivo in Germania, evolutisi nel corso del decennio, come segue: 661.000 (2006), 680.000 (2007), 682.000 (2008), 721.000 (2009), 798.000 (2010), 958.000 (2011), 1.080.000 (2012), 1.226.000 (2013), 1.464.000 (2014), fino agli attuali 2.136.954 del 2015.

    E’ importante tenere presente che circa due terzi di questi flussi provengono da altri paesi europei, mentre meno di un terzo proviene da paesi extracomunitari, a parte quest’ultimo anno, dove l’emergenza per la guerra in Siria ha relativamente influito su questo rapporto portandolo a circa 3/5 dall’Europa e ai restanti 2/5 dal resto del mondo.

    Prosegue quindi la crescita dei flussi in ingresso verso la Germania secondo quanto programmato da questo paese  con l’obiettivo di far entrare circa 20 milioni di persone da qui al 2050 per ottenere un saldo immigratorio positivo e stabilizzato di circa 10 milioni di persone, così da mantenere sui livelli attuali (oltre 80 milioni), la popolazione del paese, afflitto, come la gran parte degli altri paesi europei da un consistente calo demografico.

       

   

Dal Naga (Milano) riceviamo

e volentieri pubblichiamo

 

Anni Migranti

 

Grande successo dell’incontro del Naga

alla Casa della Cultura di Milano

 

Grazie a tutte le persone che sono venute ieri sera alla Casa della Cultura di Milano per l’incontro "Anni Migranti", grazie ai due relatori venuti da Roma che hanno portato punti di vista diversi e preziosi, grazie ai ragazzi venuti dal Centro di Bresso, grazie a tutti coloro che sono intervenuti e che hanno ascoltato, riflettuto e posto domande.

    Vedere la sala traboccante ci fa pensare che il bisogno di confronto sia forte e vero. Andiamo, quindi, avanti; avanti a “camminare domandando”!

    Ci scusiamo moltissimo con tutte le persone che non sono riuscite a entrare, alcune delle quali, venute da lontano. Ma la capienza della sala era davvero oltre ogni limite…

    Per chi fosse interessato al video completo: CLICCA QUI o sulla foto o vai sulla pagina Facebook del Naga


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DA 30 ANNI CI ARRICCHIAMO CON GLI IMMIGRATI
Perché le loro storie e la loro forza sono la nostra ricchezza.
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Cultura

 

Tu e Aristotele

 

di Andrea Ermano

 

Un contributo d’idee del direttore dell’ADL: il testo del discorso sul grande pensatore “maestro di color che sannno” tenuto il 24 maggio 2014 in lingua tedesca al Lyceum Club di Zurigo per iniziativa della Società di cultura greca Akroteama. La conferenza è stata replicata in lingua italiana il 4 dicembre 2016 al Coopi di Zurigo nell'ambito delle giornate della cultura “Zurigo in Italiano”.

 

1. Aristotele

 

Nacque 24 secoli fa a Stagira nel 384/383 a.C. Morì 62 anni dopo, a Calcide, nel 322 a.C. Ma la sua fama non lo seguì nella tomba. Fino al 20E secolo non si contano le rivisitazioni del suo pensiero. E anche all'inizio di questo 21E secolo ricercatori di gran vaglia (Berti, Buchheim, Flashar e King) hanno esposto plausibilmente in qual modo la sua opera possa essere resa fruttuosa.

    Nel medio evo s'incominciò a guardare a lui come all'ideale di un pensatore com'è e dovrebbe essere. Egli fu per il gran padre Dante "maestro di color che sanno". Fu la personificazione del Sapere Indiscusso, dell'ipse dixit, della "nuda autorità": sclerosi lontanissima dal suo sentire, criticata da Galilei (criticata a buon diritto, ma anche a proprio rischio e pericolo, come sappiamo).

    E bisogna immaginarsi la situazione di questo mega‑fantasma che, più di millecinquecento anni dopo la morte, occupa il centro della cultura europea, nella forma di una dominazione dai caratteri sempre più totalizzanti e ossessivi: Aristotele, il Filosofo!

 

Il tramandamento dei filosofi, come si sa, era stato iniziato verso la fine del 5E secolo a.C. da Socrate. Impresa che gli costò la vita. Accusato di empietà (ἀσέβεια, impïetas), Socrate venne condannato alla pena capitale. L'esecuzione ebbe luogo ad Atene nel 399 a.C. Quale alternativa ufficiosa fu offerta a Socrate la possibilità di riparare in esilio, emigrare. Vuotò il calice di cicuta che era stato condannato a bere, volendo così testimoniare il suo rispetto per le leggi della città e la sua fede per l'immortalità della Psyche. Così riferisce Platone che fu il maggior allievo di Socrate.

    Aristotele fu il più eccellente degli allievi di Platone e appartiene quindi alla terza generazione dei filosofi. Di quale tradizione stiamo parlando? Con la parola 'filosofia' intendiamo anzitutto una tradizione imperniata su un certo modo di vivere, all'interno del quale l'amore per la sapienza è posto e raccolto nel nucleo del nostro agire, laddove l'agire è la nostra vita: "La vita è un agire" (ὁ δὲ βίος πρᾶξις).

    Ma la vita, la nostra vita, è visitata da questioni sul bene sommo della vita buona e dunque sull'agire giusto che a essa dovrebbe condurre e dunque anche sul sapere veridico che a tale agire dovrebbe introdurre, rispondendo alla domanda: Che cosa devo fare per 'agire' una buona vita?

    Di qui si dipanano per noi enigmi che noi mortali (βροτοί) non riusciamo a signoreggiare. Forse perciò, in ragione di questa nostra finitudine, la filo‑sofia non intende sé stessa come una sapienza (σοφία), ma come una forma di amichevolezza verso di essa (φιλο-σοφία).

     Da Socrate, Platone e Aristotele si sono avvicendate sulla scena del mondo circa settanta generazioni di filosofi e, non dimentichiamolo, di filosofe. Questa filosofia, delle filosofe e dei filosofi, è un grande parto della grecità, nata nella dimensione aperta della Polis, del culto di Apollo, del teatro di Dioniso.

    Difficilmente potremmo immaginare oggi il nostro mondo senza questo ingrediente: la filosofia greca. Dalla logica alla matematica, fino alle arti e alle grandi religioni, dalle mille università fino al modo di pensare della maggior parte degli individui e della maggior parte delle istituzioni sul nostro pianeta: l'orizzonte degli eventi condizionati dal pensiero filosofico è immenso. Ma l'amicizia per la sapienza rappresenta una parte soltanto del lascito della grecità alla storia universale.

 

Già tra i dotti del mondo antico, dalla Cina alla Spagna, dall'Egitto all'Inghilterra, Aristotele era celebre. Non solo però in quanto studioso, o in quanto allievo di Platone, bensì anche in quanto maestro di Alessandro il Grande. Ecco un altro homo celeberrimus che ha esercitato un'influenza storicamente decisiva, a dir poco. L'Occidente, infatti, nel suo statuto cosmopolitico si rifà, in fin dei conti, ad Alessandro, e a lui si è sempre richiamato, esplicitamente o implicitamente, nel perseguimento di un'egemonia globale, che è poi lo specifico modo in cui l'Occidente ha inteso sé stesso. Questo vale, ovviamente, per l'Ellenismo e per Roma, vale per l'idea di Cristianità, che informa di sé il medio evo, ma vale poi anche in rapporto al dispiegamento della globalizzazione d'impronta anglosassone e nordamericana.

    Che cos'è, dunque, un impero mondiale o un'egemonia globale. Certo, non semplicemente l'effetto di una conduzione bellica molto efficace, perché ovviamente una cosa è trionfare in una guerra, o anche in molte guerre, altro è governare terre e popoli, porre in vigore leggi, riuscire ad applicarle, gestire amministrazioni, comprendere lingue e costumi, aprire strade e relazioni commerciali, fondare città, realizzare misurazioni, carte geografiche. E così via.

    Da un punto di vista macro‑storico, che ci piaccia o non ci piaccia (e a molti di noi, in effetti, questo non piace affatto), la vicenda umana appare finora caratterizzata dalla costituzione di imperi. Su questo fatto, sgradevolissimo, possiamo solo aggiungere che sono durati più a lungo e in modo più stabile quegli imperi che in qualche maniera hanno perseguito un certo grado di apertura, riconoscendo la pluralità delle culture e la libertà dei modi vivendi.

    In tal prospettiva il rapporto tra sapere e potere, tra vantaggio competitivo nel sapere e nel potere, è una chiave interpretativa del primato globale: perché la politica in grande stile, la dominazione del mondo, detta oggi anche governance, presuppone un ampliamento consistente dell'idea di ciò che è uomo, e di ciò che è mondo.

    Il vantaggio specifico della grecità quanto al sapere si chiamava: 'filosofia'. Insieme alle eccellenze che da essa derivavano nell'organizzazione delle conoscenze e delle esperienze, la filosofia fu indubbiamente una condizione di possibilità della conquista del mondo da parte di Alessandro. E l'imperatore stesso dovette esserne consapevole, giacché forniva ricco sostegno alle ricerche filosofiche, ai filosofi e, in mondo particolare, ad Aristotele che ad Atene poté aprire il Liceo godendo dell'alta protezione del suo imperiale ex discepolo.

    Sono cose che si possono leggere, oggi, anche su Wikipedia. Ieri si trovavano in ogni manuale. Ne citerò qui uno per tutti, quello di August Messer, su cui si formarono nel primo Novecento generazioni di liceali tedeschi. Messer nota che una certa distanza insorse tra l'anziano pensatore e il giovane imperatore: «soprattutto perché Alessandro tendeva a una equiparazione, se non addirittura a una fusione, tra Greci e Asiatici, mentre Aristotele rimase sempre fedele alla concezione greco‑classica per cui tra essi si spalancava un insuperabile iato. E gli uni, i Greci, erano destinati a dominare, gli altri a servire».

    Gli uni destinati a comandare, gli altri a servire? Destinati da che? Da chi? Desidero distanziarmi. Che Aristotele abbia professato questo genere di antropologia differenziale è opinione mediamente diffusa tra gli studiosi. Ma, attenzione, per favore, in quel modo differenziale pensava forse un Aristotele cinquantenne, e anche il cinquantenne non senza ambivalenze. Non così il giovane studente immigrato, l'Aristotele diciasettenne giunto ad Atene in procinto d'iscriversi all'Accademia platonica.

    Il giovane Aristotele quanto meno al tempo della redazione delle Categorie, su cui poi tornerò, era dell'opinione che: «Un essere umano () non è in maggior misura di un altro». Dunque, il giovane Aristotele la pensava all'incirca come il giovane Alessandro, poiché cito un altro passaggio: «Un essere umano (anthropos) non può essere né più anthropos né meno anthropos, né in rapporto a sé stesso né in rapporto a un altro anthropos». Ecco, dunque, un metro che non muta: l'anthropos?

 

Allorché il giovane Aristotele giunse all'Accademia di Atene, in quell'intorno temporale Platone intraprese una profonda revisione della sua Dottrina delle Idee. Su questo tema, sulla krisis platonica, sono state scritte intere biblioteche. Qui vorrei cercare di riassumere una linea di causazione che mi pare abbastanza importante.

    Secondo la prima dottrina platonica, un individuo è schiavo (δούλος) in forza della sua partecipazione all'idea dello schiavo. In questa prospettiva, a uno non capitava accidentalmente di essere schiavo, lo era invece per natura, nasceva schiavo o lo diveniva necessariamente, essendo essenzialmente "meno uomo" in rapporto, per esempio, al suo padrone. In questa logica differenziale, anche i bambini, le donne, i barbari erano considerati "meno uomini" in paragone con l'uomo ideale: il maschio adulto, aristocratico, ateniese. Così pensava Platone. E così pensò stessero le cose fino alle sue brutte esperienze siracusane, allorché lui stesso, uomo nobilissimo, venne arrestato e poi venduto e comprato in una condizione del tutto assimilabile a quella di uno schiavo.

    Che cos'è uno schiavo? Cito dal primo Libro della Politica: «Uno schiavo è una cosa animata che si possiede.» È una cosa animata. È una cosa. Ma allora chiediamoci che cos'è una "cosa", dando finalmente inizio al gioco essenzialistico del "che cos'è questo?"

    Per esempio: questa è una cattedra. E che cos'è una cattedra? È un mobile. Ma che cos'è un mobile? È un manufatto. Che cos'è allora un manufatto? È una cosa fatta da uomini. E quindi che cos'è una "cosa"? Una cosa, alla fine dei conti, è un qualcosa che "è".

    Fine della corsa. Ricominciamo dall'altra parte. Ricominciamo dallo "è". Che cos'è "è"? Che cosa intendiamo dicendo che la stella del mattino "è" la stella della sera, cioè Venere? Che la balena "è" un sottoinsieme dell'insieme dei mammiferi? Che Aristotele "è" un elemento dell'insieme dei pensatori? Che Bob Dylan "è" pallido? Che qui "è" (c'è) un piccolo gruppo di esseri umani?

    In ognuno degli esempi citati la parola "è" assume un significato diverso: essenza definitoria, uguaglianza, inclusione, appartenenza, esistenza. A tutta questa importante gamma di significati disgiunti può rinviare la parola "è". Dunque, la parola "è" significa troppe cose. E, ad un tempo, la parola "è" significa però anche drammaticamente troppo poco. (1/3. Continua)

 

 

P.S. 2.2.2017: Per illustrare la strana situazione dell'essente in generale, per la quale esso significa essenzialmente "troppo" e "troppo poco", ho usato esempi tratti da Günther Patzig (cioè in ultima analisi da Gottlob Frege) perché mi sembra che essi illustrino bene l'implicazione di crisi per la razionalità matematica europea. Dramma­ti­cità che – da un punto di vista platonico, metretico e politico – ritengo fosse ben presente anche ai grandi pensatori del IV secolo a.C., e ciò in conseguenza di questo eccesso-difetto ontologico, il "troppo" e il "troppo poco" in quanto dismisura 'inerente' (per così dire) all'essente stesso. Inerenza paradossale, che non può non destabilizzare ogni "giusta misura", ogni "giusto mezzo" e persino l'Uno stesso, in quanto "misura esattissima". Dopodiché sia l'Uno sia l'essente, per Aristotele, dovranno dirsi "in molti modi". Probabilmente, quasi certamente, non abbiamo ancora finito di pensare le conseguenze di questo 'discernimento' aristotelico della pluralità nell’essente e nell’uno.

    

    

L'AVVENIRE DEI LAVORATORI

EDITRICE SOCIALISTA FONDATA NEL 1897

Casella postale 8965 - CH 8036 Zurigo

 

L'Avvenire dei lavoratori è parte della Società Cooperativa Italiana Zurigo, storico istituto che opera in emigrazione senza fini di lucro e che nel triennio 1941-1944 fu sede del "Centro estero socialista". Fondato nel 1897 dalla federazione estera del Partito Socialista Italiano e dall'Unione Sindacale Svizzera come organo di stampa per le nascenti organizzazioni operaie all'estero, L'ADL ha preso parte attiva al movimento pacifista durante la Prima guerra mondiale; durante il ventennio fascista ha ospitato in co-edizione l'Avanti! garantendo la stampa e la distribuzione dei materiali elaborati dal Centro estero socialista in opposizione alla dittatura e a sostegno della Resistenza. Nel secondo Dopoguerra L'ADL ha iniziato una nuova, lunga battaglia per l'integrazione dei migranti, contro la xenofobia e per la dignità della persona umana. Dal 1996, in controtendenza rispetto all'eclissi della sinistra italiana, siamo impegnati a dare il nostro contributo alla salvaguardia di un patrimonio ideale che appartiene a tutti.

  

     

 

 

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