[Diritti] ADL 160623 - Inseguimento



L'AVVENIRE DEI LAVORATORI

La più antica testata della sinistra italiana, www.avvenirelavoratori.eu

Organo della F.S.I.S., organizzazione socialista italiana all'estero fondata nel 1894

Sede: Società Cooperativa Italiana - Casella 8965 - CH 8036 Zurigo

Direttore: Andrea Ermano

 

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e-Settimanale - inviato oggi a 45964 utenti – Zurigo, 23 giugno 2016

  

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IPSE DIXIT

 

 

Inseguire una palla - «Gli uomini si interessano a inseguire una palla o una lepre… L'unica cosa che ci consola delle nostre miserie è il divertimento, e intanto questa è la maggiore tra le nostre miserie. Perché è esso che principalmente ci impedisce di pensare a noi stessi e ci porta inavvertitamente alla perdizione. Senza di esso noi saremmo annoiati, e questa noia ci spingerebbe a cercare un mezzo più solido per uscirne. Ma il divertimento ci divaga…». – Blaise Pascal

 

Ridersela della filosofia - «Ridersela della filosofia significa filosofare per davvero». – Blaise Pascal

 

E loro ridevano - «Non si riesce a immaginare Platone e Aristotele se non con gran vesti di pedanti. Erano invece delle persone comuni e ridevano, come gli altri, con i loro amici; e quando si sono divertiti a scrivere le Leggi e la Politica l'hanno fatto per divertirsi; questa era la parte meno filosofica e meno seria della loro vita, mentre la più filosofica era di vivere semplicemente e tranquillamente. Se hanno scritto di politica, l'han fatto come per dar norme per un manicomio; e se hanno finto di parlarne come di cosa seria, l'hanno fatto perché i pazzi a cui si rivolgevano credevano di essere re e imperatori, ed essi si immedesimavano dei princìpi di costoro per rendere la loro follia meno dannosa possibile». – Blaise Pascal

 

La follia necessaria - «Gli uomini sono così necessariamente folli che il non essere folle equivarrebbe a essere soggetto a un'altra specie di follia». – Blaise Pascal

 

Miseria e nobiltà - «La grandezza dell'uomo è così evidente che si deduce anche dalla sua miseria». – Blaise Pascal

 

Entusiasticamente - «Gli uomini non fanno mai il male così completamente ed entusiasticamente come quando lo fanno per convinzione religiosa». – Blaise Pascal

 

La regina del mondo e il suo uso - «La forza è la regina del mondo, non già l'opinione. – Ma l'opinione fa uso della forza». – Blaise Pascal

 

Le lunghe lettere - «Questa lettera è più lunga delle altre perché non ho avuto agio di farla più breve». – Blaise Pascal

 

 

        

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    L'AVVENIRE DEI LAVORATORI contribuisce da oltre 115 anni a tenere vivo l'uso della nostra lingua presso le comunità italiane nel mondo tra quelle persone che si sentono partecipi degli ideali socialisti-democratici di Giustizia e Libertà.

    

    

EDITORIALE

 

Il ritorno di Musonio

 

Notizia della settimana: il revival culturale di Musonio l'Etrusco.

 

di Andrea Ermano

 

Ieri a Roma è stato presentato un libro di Luciano Dottarelli dedicato a Musonio l'Etrusco e alla "filosofia come scienza di vita". Il volume, pubblicato dalla Annulli Editori, approfondisce il pensiero e la condotta esistenziale di uno dei tre grandi filosofi della Tuscia (gli altri due furono Bonaventura da Bagnoregio ed Egidio da Viterbo). Musonio fu soprannominato "l'Etrusco" in quanto nacque, nel primo secolo d.C., da un'influente famiglia di Volsinii, antica città tosca.

    "Etrusco", dunque, ma qui si fermarono i soprannomi affibbiatigli dagli antichi, giacché in quell'epoca ormai lontana nessuno, neppure l'imperatore Nerone, che pure ebbe a perseguitare ed a esiliare il filosofo, ardì intessere giochi di parole derisorii intorno al suo nome, "Musonio", come sarebbe invece da aspettarsi presso i nostri governanti d'oggidì che, inevitabilmente, l’avrebbero ribattezzato "Gufonio". Perché oggidì neanche la decadenza dei costumi è più quella di una volta.

 

 

Che la decadenza dei costumi abbia ormai raggiunto (e superato) il livello di guardia, è ampiamente testimoniato dal disastro in cui versa la capitale d'Italia. Sicché, conquistato il Campidoglio, la neo-sindaca Raggi chiama i suoi concittadini a una sorta di mobilitazione generale per rendere possibile una qualche governabilità municipale.

    E questo ci porta a ragionare sul sovranismo di Barbara Spinelli esposto in un'intervista apparsa sul Fatto di martedì scorso: "Queste elezioni hanno dimostrato la prevalenza della sovranità popolare", ha dichiarato l'eurodeputata, aggiungendo che una volta insediati nei municipi i nuovi sindaci a 5 stelle "dovranno continuare ad appellarsi alla sovranità popolare, e avere un legame forte con i cittadini".

    E allora diciamo con parafrasi calcistica che si può completamente condividere la tesi di Barbara Spinelli… ma solo a metà. Perché la questione del populismo, diversamente da quanto sostiene la celebre giornalista ed europarlamentare, non si riduce affatto a un trucco tendente a occultare la contrapposizione tra masse silenziate e oligarchie onnipotenti, ma rinvia a un rischio vero: il rischio che nuove oligarchie onnipotenti strumentalizzino le masse in una cinica spirale "weimariana".

    Dopo Weimar, ogni richiamo alla "sovranità popolare" sta in luce dubbia: può e deve essere sottoposto a una riflessione critica.

    Barbara Spinelli sostiene che la "sovranità popolare" rappresenterebbe "in tutt'Europa il fondamento della democrazia costituzionale". Ma le cose non ci paiono stare così né sul piano dei fatti né su quello teorico.

    La locuzione "sovranità popolare" equivale non a "democrazia costituzionale", ma a "democrazia", sic et simpliciter. E "democrazia", come si sa, è una parola composta di demos ("popolo") e kratia ("potestà"): la locuzione "sovranità popolare" altro non ne rappresenta che un calco nominale e nessun “fondamento”.

    Il "fondamento" di una "sovranità" – soprattutto se assunta nella sua forma "costituzionale" – non può essere la sovranità stessa, ovviamente. Il fondamento costituzionale è dato dal valore assoluto della persona umana, cioè dalla sua "dignità intangibile" (GG 1), cioè dai "diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove svolge la sua personalità" (Cost. 2).

    La “dignità” è il fondamento, non certo la “sovranità”!

    La nuda e cruda sovranità di un popolo (che per accidente si reputi "superiore" sul piano morale, civile, storico, biologico ecc.) non esclude che questo popolo sovrano raggiunga un punto di scatenamento foriero di lutti e tragedie immani.

    Questo è stato.

    Ma questo, questa "sovranità" nuda e cruda, di sicuro non può considerarsi una forma costituzionale di democrazia, non almeno secondo la dottrina corrente, forgiatasi nelle durissime lezioni della storia novecentesca.

    Pertanto, una decisa opposizione al "populismo" – fenomeno multiforme, certo, ma pur sempre riconducibile alla nozione di sovranità popolare, nuda e cruda, priva cioè del suo fondamento costituzionale nella dignità della persona – continua ad avere ottime ragioni.

    A prova di ciò basti citare il primo articolo, secondo capoverso, della Costituzione della Repubblica Italiana, là dove la nostra carta fondamentale si erge esplicitamente a baluardo contro ogni abuso populistico della sovranità popolare: "La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione" (Cost. 1, corsivo mio).

    Questi "limiti della Costituzione" altro non sono se non per l'appunto i "diritti inviolabili" il cui sussistere la Repubblica "riconosce" all'inizio del già citato Articolo 2, immediatamente successivo. Stiamo parlando di diritti inviolabili, che appartengono anche e soprattutto ai più deboli – ai migranti, ai lavoratori, alle donne – dei quali e delle quali il sovranismo ciclicamente s’è dimenticato ogni qual volta è pervenuto alla fase del suo scatenamento populista.

    Ciò detto, a scanso di equivoci, la mobilitazione civica delle masse cui si appellano le neo-sindaca Raggi e Barbara Spinelli, va benissimo. Una mobilitazione di massa è e sarà necessaria. Non solo allo scopo di garantire un minimo di "governabilità" alla città di Roma.

    In realtà una mobilitazione di massa occorre ed occorrerà su tutti i livelli, dalla dimensione municipale a quella cosmopolitica, in cui si delineano macroscopici problemi, ormai strutturali, di "governabilità". Né c’è soluzione a una lunghissima serie di questioni sociali, economiche, ambientali e di convivenza interculturale senza la partecipazione attiva e, diremmo, "militante" delle grandi masse.

   Questa è una strada obbligata, con buona pace delle oligarchie.

    Ma qualcosa di analogo accadde cento anni fa, a mano a mano che l'incendio europeo si estendeva mutando in guerra mondiale, e a mano a mano che, mutando, il conflitto di potenza si radicalizzava in una guerra “totale”, madre di regimi totalitari.

    Fu così che tutti vennero coinvolti: i maschi adulti spediti al fronte come carne da macello, le femmine abili al lavoro precettate nella produzione bellica, la popolazione civile trasformata in campo di battaglia tra propagande e ostilità e deportazioni contrapposte.

    Non siamo ancora giunti a questo punto. Anche perché (per ora) le strategie belliche prediligono tecniche a bassa intensità. E perciò "siamo di fronte a un nuovo conflitto globale, ma a pezzetti", come denunciava papa Bergoglio nel 2014. Ma, per quanto “a pezzetti”, l’oggetto del contendere, le molte questioni oggi sul tappeto non sono meno drammatiche di quelle di cent’anni fa. La tendenza alla mobilitazione delle masse ha qui una sua ratio.

   E però, a differenza di cent'anni fa, noi oggi possiamo ancora evitare il piano inclinato verso lo stato d'eccezione, d'assedio e di guerra. È ancora possibile “virare” verso forme pacifiche di mobilitazione. L'appello di questi giorni alle cittadine e ai cittadini romani, affinché partecipino alla (e con la loro partecipazione rendano possibile la) "governabilità" dell'Urbe, va perciò nella direzione giusta, purché…

    Purché tale appello alla mobilitazione civile di massa si accompagni a una ferma consapevolezza dei Limiti.

    E quindi noi, per quel poco che vale, continueremo a batterci contro ogni populismo.

       

   

VERSO LA PAUSA ESTIVA

 

Con il prossimo numero la Newsletter dell’ADL, in uscita il 30 giugno 2016, inizierà la consueta pausa estiva, durante la quale procederemo anche ai necessari aggiornamenti tecnici del servizio. Le regolari trasmissioni riprenderanno giovedì 1 settembre 2016.

 

La red dell’ADL

   

SPIGOLATURE 

 

Speriamo ora, almeno, che

Jo Cox non sia morta invano

 

di Renzo Balmelli 

 

SACRIFICIO. Quando questa edizione dell'ADL sarà sotto gli occhi dei nostri affezionati lettori, il Regno Unito starà ancora votando fino alle dieci di sera per decidere il suo destino in seno all'Europa, col conforto dei sondaggi che segnano un netto recupero del NO al Brexit. I risultati arriveranno nel corso delle ore successive, al termine di quella che si preannuncia come una lunga notte elettorale di grande intensità. Tutte le persone di buon senso, le persone ragionevoli che non sono cadute nella trappola della dissennata propaganda anti UE, sperano che i pronostici, avvalorati anche dai bookmaker che raramente sbagliano, trovino conferma nelle urne. Sul verdetto finale peserà sempre comunque il ricordo doloroso della giovane deputata uccisa per le sue idee da uno squilibrato che forse lo era ma che è stato reso ancora più pericoloso dal fanatismo e dall' orribile atto di odio xenofobo ed eurofobico disseminato da coloro che per un voto venderebbero l'anima. A dispetto delle previsioni tutto è ancora possibile, ma se il disastro sarà evitato, è auspicabile che anche gli avversari abbiano almeno il pudore di riconoscere che la morte di Jo Cox, parlamentare laburista, non è stata inutile, ma che il sacrificio di questa donna piena di sogni e di obbiettivi sarà valso a salvarci dalla rovina.

 

SCENARIO. Per certi versi anche le recenti amministrative, che poste sotto la lente dell'osservatore si configurano come un bacino di accumulazione di tutte le tensioni sociali e delle inquietudini che percorrono l'intero continente, sono state una sorta di verifica non soltanto per il governo,ma anche della vocazione europea dell'Italia, fin dall'inizio accolta nel ristretto nucleo dei Paesi fondatori. Visto in quest'ottica, l'esito delle urne è in chiaro scuro e non consente di formulare analisi probanti sulla sorte che nella Penisola verrebbe riservata a un referendum all'inglese. Da un lato infatti è rassicurante il fatto che il "lepenismo" leghista non sia riuscito a sfondare nemmeno nelle sue roccaforti tradizionali. D'altro canto però l'alternativa che promuove i 5 Stelle ancora senza vere radici nel territorio presenta più incognite di quante ne risolva. Anzi, caso mai ne aggiunge se si considera la posizione ondivaga, se non addirittura ambigua, tenuta dai Movimento sui principali temi comunitari, e che certo non concorre a rendere più sereno il prossimo scenario.

 

LUPA. Nella sua colorita imprevedibilità, Roma forma con la storia un binomio indissolubile. A cavallo dei secoli l'antica " caput mundi", purtroppo mal ridotta nel rango di " mafia-capitale", dopo duemila e passa anni di peripezie riesce ancora a sorprendere il mondo intero eleggendo una donna alla carica di sindaco; la prima dopo la Lupa capitolina, balia generosa di due celebri gemelli. Cosa riuscirà a fare Virginia Raggi, parca di parole e prodiga di promesse, resta tutto da scoprire, ma il suo successo che fa il paio con altre due " prime assolute" a Torino e Ancona contribuisce in primis a dare lustro alla causa femminile e alla battaglia per la parità dei sessi come avviene in altre grandi città, da Parigi a Madrid. Stona però la sceneggiata di Beppe Grillo che giocando sul nome della sua candidata Chiara Appendino si presenta con una gruccia per appendere gli abiti, dimentico, lui che come comico dovrebbe saperlo, che mal comincia un periodo con una farsa di pessimo gusto.

 

AUTOCRITICA. Non occorreva essere facili profeti per capire dai tanti indizi disseminati nell'arco dei mesi che le elezioni comunali non sarebbero state una passeggiata di piacere per il Pd. Tra luci e ombre - tante ombre - il partito del premier si trova davanti a un risultato che certamente non lo soddisfa. Senza drammatizzarlo all'eccesso, non può neppure essere minimizzato, considerata l'importanza della posta in palio alle prossime scadenze referendarie. Se la vittoria di Sala rammenda con un solido filo un tessuto che minacciava di sfilacciarsi, ora corre l'obbligo di cambiare rotta per riprendere il contatto con la realtà prima che siano gli altri a farlo con ricette che assomigliano a placebo intrisi di retorica. Fare autocritica è un esercizio senz'altro utile che però non basta se il centro-sinistra non troverà finalmente il coraggio di voltare pagina e di adottare un linguaggio unitario per tornare a entusiasmare il Paese e la base che ora appare piuttosto frastornata.

 

RISCHI. Mentre dilaga ovunque una crisi dei valori che in talune circostanze lascia senza fiato, è stimolante il suggerimento di Angelo Panebianco, autorevole editorialista del Corriere della Sera, che invita a "ipotizzare il peggio" per aiutare ad aguzzare l'ingegno e ricercare le soluzioni adeguate al caso. Nella sua disanima circostanziata, l'autore del servizio parte dal presupposto che nel giro di pochi mesi si realizzino due eventi che da parte nostra non esitiamo a definire funesti: l'addio della Gran Bretagna all'Europa, di cui parliamo in apertura, e la non improbabile elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti. Ne uscirebbe un quadro assai preoccupante, capace di procurare danni ingenti e in grado di rendere difficile la vita dell'intero emisfero occidentale. Forse entrambe le ipotesi non si verificheranno, ma anche in questo caso sarebbe sbagliato pensare che i rischi siano scomparsi dall'orizzonte poiché esisteranno sempre se non si provvederà a prevenirli.

   

    

L'AVVENIRE DEI LAVORATORI - Voci su Wikipedia :

(ADL in italiano) https://it.wikipedia.org/wiki/L'Avvenire_dei_lavoratori

(ADL in inglese) https://en.wikipedia.org/wiki/L'Avvenire_dei_Lavoratori

(ADL in spagnolo) https://es.wikipedia.org/wiki/L'Avvenire_dei_Lavoratori

(Coopi in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo

(Coopi in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo

(Coopi in tedesco) http://de.wikipedia.org/wiki/Cooperativa_italiana

   

    

LAVORO E DIRITTI

a cura di www.rassegna.it

 

Brexit, comunque vada queste politiche non funzionano

 

Durante (Cgil): "Non si sarebbe mai arrivati al referendum se l'Europa non avesse perduto l'anima e il coraggio, se le sue classi dirigenti non si fossero fatte prendere dalla paura e dall'egoismo nazionale"

 

Un giorno fondamentale, quello di oggi non solo per la Gran Bretagna, ma per l'Europa. "Leave" or "Remain": questo dovranno decidere oggi i cittadini del Regno Unito. Nel paese sia il sindacato Tuc che il Labour Party sono per la permanenza nell'Ue.

    "Vedremo il risultato del referendum di oggi – questo il commento, in un post su Facebook di Fausto Durante, responsabile politiche europee e internazionali della Cgil –. Ma intanto una cosa si può dire. Non si sarebbe mai arrivati al referendum se l'Europa non avesse perduto l'anima e il coraggio, se le sue classi dirigenti non si fossero fatte prendere dalla paura e dall'egoismo nazionale. Neanche il più convinto euroscettico britannico avrebbe mai pensato di avere una chance di vittoria, se il processo di integrazione si fosse completato non fermandosi alla sola moneta unica, se il carattere sociale del modello europeo non fosse stato contestato e combattuto".

    "Se ci fosse ancora lo sguardo lungo di Spinelli, Adenauer, De Gasperi, Monnet e dei fondatori dell'Ue, non il fiato corto dei politici di oggi, che mostrano di non avere alcuna capacità di visione e fiducia nel futuro... Politici che sono i responsabili della crisi dell'Europa e delle idee di speranza e progresso che essa ha sempre rappresentato, fino ad oggi. Ecco perché se si vuole salvare l'Europa, bisogna innanzitutto cambiare le politiche dei governi nazionali e delle attuali istituzioni europee", conclude Durante.

       

    

ECONOMIA

 

TTIP – Chi difende

l’interesse dell’Europa?

 

di Mario Lettieri, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)

e Paolo Raimondi, Economista

 

Si sta facendo di tutto affinché in Europa la stessa politica e la società civile non siano in grado di esprimere in modo sovrano e pacato un giudizio consapevole sul Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP), il Trattato di libero scambio tra Stati Uniti e Unione Europea in cantiere da ben tre anni.

    Da una parte è stata imposta una peculiare quanto ingiustificata ed intollerabile segretezza sui documenti, sulle procedure e sul contenuto del Trattato. Dall’altra, avendo radicalizzato l’argomento e avendolo portato nelle piazze con forti dimostrazioni, a volte anche provocatoriamente degenerate in scontri, si tenta di etichettare come “facinoroso” chiunque chiede chiarezza e vuole esprimere la sua democratica opposizione.

    Eppure, dal poco che è trapelato, il TTIP potrebbe avere un impatto profondo, per alcuni anche devastante, sulle nostre produzioni, soprattutto, ma non solo, nel settore agricolo ed agroalimentare, sul nostro sistema sociale di mercato e sul nostro commercio.

    I promotori vorrebbero la sua ratifica prima della scadenza della presidenza Obama, che ne è stato uno dei grandi promotori. Hilary Clinton lo ha già definito la nostra ‘Nato economica’.

    Alcuni parlamentari tedeschi hanno recentemente chiesto di visionare i documenti presso il Ministero dell’Economia di Berlino. Ne hanno fatto un resoconto desolante. Si possono leggere alcuni documenti solo sul computer in una stanza controllata, per poche ore senza consultazioni con altri e senza prendere appunti. Del materiale letto non se ne può neanche parlare pubblicamente.

    E’ grave che il commissario europeo per il Commercio, Cecilia Malmström, sostenga che la stesura del trattato non sia di competenza dei parlamenti nazionali.

    L’obiettivo del TTIP sarebbe la creazione della più grande zona di libero scambio commerciale del pianeta, con circa 800 milioni di consumatori. Questa rappresenterebbe quasi la metà del Pil mondiale e un terzo del commercio globale. L’Ue è la principale economia e il maggior mercato del mondo. In gioco, quindi, ci sono enormi interessi economici. Ma in gioco c’è anche il futuro delle relazioni politiche internazionali.

    Non si tratta di mettere in discussione il rapporto di amicizia con gli Stati Uniti, ma la mancanza di trasparenza fa dubitare della bontà dell’accordo.

    Gli interrogativi che i cittadini e gli operatori economici, non solo italiani, si pongono sono tanti. Gli Usa usano gli ogm in agricoltura. Sarà anche l’Europa costretta a introdurli nelle sue coltivazioni? L'Italia ha 280 prodotti a denominazione d'origine protetta. E' il numero più grande in Europa. Gli Usa li rispetteranno oppure avremo il ‘parmisan della Virginia’ o il ‘san danny del Minnesota’? Eventualmente venduti anche nei nostri mercati?

    Molti, anche negli Stai Uniti, credono che uno dei principali pericoli del TTIP sia la possibilità che investitori privati possano iniziare procedimenti legali e querele milionarie contro gli Stati in tribunali internazionali d’arbitraggio. L’intenzione positiva di proteggere l’interesse pubblico potrebbe essere interpretata dalle multinazionali come una “limitazione dei profitti degli investitori stranieri”, un ostacolo al business e alla libera concorrenza. 

    E’ molto importante notare che questa è anche la maggior preoccupazione della London School of Economics che punta appunto il dito sulle camere arbitrali, i tribunati istituiti dal Trattato. Nel suo studio l’istituto inglese cita come esempio una serie di querele passate, come quelle della Phillips Morris contro l’Uruguay e l’Australia per aver lanciato delle campagne contro il fumo.

    In Europa si sentono voci di grande preoccupazione, anche se ancora espresse troppo sottovoce. Il governo francese afferma che dirà un forte no se il Trattato dovesse mettere in discussione la struttura della sua agricoltura. Ci si augura che l’Italia non si dica soddisfatta di qualche generica garanzia di rispetto del nostro ‘made in italy’.

    Per il sistema agroalimentare italiano, a partire da quello del Sud, il Trattato sarebbe esiziale. La geopolitica ed il business tout court non possono mortificare le prerogative democratiche e indisponibili dei popoli e dei loro parlamenti, a partire dal diritto alla conoscenza.

   

    

Da Avanti! online

www.avantionline.it/

 

LEAVE OR REMAIN

 

Alla vigilia del referendum sulla Brexit nel Regno Unito, l’unica certezza è un “testa a testa” nei sondaggi. Secondo gli ultimi pronostici i Leave sono avanti di un punto davanti ai Remain, 45% a 44%.

 

Da una parte il Premier, David Cameron, che critica i sostenitori della Brexit: “Alimentano l’intolleranza e le divisioni con la loro campagna in materia di immigrazione”. Definisce “assurdo” chiamare “Independence Day” il giorno del referendum e afferma: “Il Paese è pienamente sovrano e questa consultazione popolare ne è la riprova”. Il riferimento è verso Nigel Farage, leaeder dell’Ukip, proprio lui che ha lanciato il suo assalto finale affermando che i britannici stanno per vivere il loro “Independence Day”. È l’altra faccia del referendum, quella che punta sull’euroscetticismo, contro quell’Unione europea, definita da Farage come un “cartello del grande business” che tarpa le ali all’economia del Regno Unito. E ha rincarato la dose affermando che il processo di dissoluzione dell’Unione è inarrestabile: “Anche se noi scegliamo Remain saranno la Danimarca o l’Olanda che voteranno per uscire”.

    In mezzo resta la Regina Elisabetta che non andrà al voto. Buckingham Palace ha ricordato come la sovrana per prassi non voti mai. Sulla carta ne ha il diritto, afferma la Bbc, ma non lo fa per sottolineare il suo ruolo “strettamente neutrale” di fronte ai sudditi, come ha ricordato una fonte di corte. “La Regina non vota per convenzione, non per un impedimento legale”, ha confermato un portavoce della Commissione Elettorale.

    Ma a prescindere dall’esito, ci sarà sicuramente un’Europa del prima e una del dopo referendum. Nel frattempo è la stessa Unione a temere l’effetto domino: l’ondata di sfiducia nei confronti dell’Unione Europea è davanti agli occhi di tutti ed è testimoniata dalle elezioni politiche, amministrative e presidenziali degli ultimi anni che hanno registrato una tendenziale crescita dei partiti euroscettici.

    L’Europa e i suoi Stati membri hanno dato prova di privilegiare gli interessi nazionali a scapito di quelli comunitari, ne è la prova la questione migranti e i muri “ideologici e fisici” costruiti dai Paesi dell’Unione.

    Inoltre i compromessi su cui ha ceduto Bruxelles per Londra danno un segnale forte e chiaro a Paesi come l’Italia e la Grecia, da sempre restii a “fare i compiti assegnati”, ovvero che una contrattazione con l’Europa è possibile.

    Tuttavia proprio per evitare una situazione simile, il Presidente Juncker ha rivolto il suo messaggio ai britannici, cercando anche di metter un freno anche in Europa: “I politici e gli elettori britannici devono sapere che non ci sarà alcuna rinegoziazione. Abbiamo concluso un accordo con il primo ministro: ha avuto il massimo che poteva ricevere e noi abbiamo dato il massimo che potevamo dare. Non ci sarà alcun tipo di rinegoziazione, né sull’accordo trovato in febbraio né per quanto riguarda la negoziazione di altri trattati. Chi è fuori è fuori”. Lo ha affermato il presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker, incontrando brevemente la stampa a palazzo Berlaymont, a Bruxelles, dove ha ricevuto il cancelliere austriaco Christian Kern.

    Diversamente il Presidente dei Socialisti e Democratici, Gianni Pittella, fa sapere che aualunque sia l’esito, dopo il referendum britannico toccherà al Parlamento europeo “lanciare una proposta ambiziosa di riforma dell’Unione europea che vada verso una maggiore integrazione”. Pittella ha spiegato che sarà l’Italia a mettersi alla testa dei Paesi che chiedono più Europa, anche perché le critiche del Governo all’Ue “sono sacrosante e ampiamente condivise”.

    Infatti l’appello di Matteo Renzi pubblicato sul Guardian va proprio in questo senso: “Perché non canalizzare l’impeto di questo voto nella richiesta di un’Unione Europea più efficiente, che funzioni meglio e riconosca meglio le caratteristiche individuali dei mercati dei suoi paesi costituenti?”. “Il problema della Ue non è che fa troppo ma che fa troppo poco, i singoli paesi sono lasciati troppo spesso soli a gestire i loro problemi”, scrive ancora Renzi, “siamo di fronte a sfide di immense proporzioni. Finanziarie ed economiche, con il potere e il denaro che si spostano a Est; sociali, con la disuguaglianza che aumenta di nuovo e la povertà che morde settori sempre più vasti della popolazione. Sul fronte della sicurezza, le minacce terroristiche arrivano dalle nostre stesse città e quartieri più che da remoti angoli del mondo”. “Quindi non fatelo per noi, fatelo per voi stessi”, conclude Renzi, “esulteremo per la Gran Bretagna in Europa. Non solo perché starete con noi ma perché, come dicevano gli antichi romani, ‘sibi constet’, restate voi stessi. Restate”.

 

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Da l’Unità online

http://www.unita.tv/

 

Wikipedia, raduno mondiale a Esino Lario

 

Wikimania in un paesino montano, al pari della stessa

Wikipedia, è un "errore di sistema"

 

Maurizio Boldrini   

@MaurizioBoldrin

 

Metti insieme oltre mille wikipediani (che non sono extraterrestri ma volontari che contribuiscono alla famosa libera enciclopedia on line) e falli confluire in un piccolo paese della Lombardia, Esino Lario, ottocento abitanti, ed otterrai un “doppio errore di s i s t e m a”. La definizione è di Iolanda Pensa, colei che più di tutti ha operato perché questa che poteva sembrare una follia diventasse realtà. La prima edizione del raduno mondiale dei volontari di Wiki si è svolta, nel 2005, a Francoforte e l’ultima edizione a Città del Messico, dopo essere passata per Londra, Harvard e Hong Kong.

    Il piccolo paese, nei monti sopra il Lago di Como, che l’ha spuntata su Manila, è già stato invaso dai wikipediani che oltre a trovar posto negli alberghi e nelle strutture turistiche della zona sono stati ospitati anche nelle case degli abitanti. Oggi e domani e il 27-28 giugno saranno i giorni dedicati rispettivamente alle conferenze tematiche mentre dal 24 al 26 si svolgeranno gli incontri più importanti, a cui si può partecipare registrandosi sul sito ufficiale. A Rosita Rijtano, de la Repubblica, la ricercatrice Iolanda Pensa ricorda che non è stato difficile far vincere una location così complicata, visti i gusti degli interlocutori: «Esino Lario, essendo una località turistica, ha una grande capacità ricettiva, ma non è fatta per iniziative di questo genere così come un’enciclopedia scritta da non esperti in realtà non dovrebbe esistere. Invece, queste cose accadono e sono eccezionali.

    Wikimania in un paesino montano, al pari della stessa Wikipedia, è un errore di sistema. Volevamo dimostrare che le cose possono funzionare diversamente: che non ci sono un centro e una periferia del mondo, del sapere e della produzione culturale. Ma ogni voce può avere lo stesso peso, senza considerarsi inferiore solo perché più remota. Basta rimboccarsi le maniche, schiacciare il tasto modifica, e anche un luogo lontano dalla metropoli può vivere nel presente e dire la propria». Nuove sfide si prospettano per l’enciclopedia che ha compiuto da poco i 15 anni e che negli ultimi tempi ha rischiato di perdere la propria leadership nel settore: dall’aumento degli utenti attivi allo sviluppo delle tecnologie usate, soprattutto d’immagini e video. Sarà interessante leggere le conclusioni alle quali giungerà il grande summit nel piccolo paese.

 

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Da MondOperaio

http://www.mondoperaio.net/

 

Cinque stelle

e cinque caveat

 

Dilagano i commenti ai risultati elettorali. Generalmente vanno in soccorso dei vincitori (compresi quelli degli sconfitti). Tutti comunque sono accurati, e molti condivisibili. Inutile quindi aggiungersi al coro. Più utile, forse, tentare qualche esile contrappunto.

 

di Luigi Covatta

 

Nell’autunno del 1993 i ballottaggi li vinse la sinistra, e diventarono sindaci Rutelli, Bassolino, Cacciari, Castellani, Bianco, Orlando. Occhetto ne trasse auspici favorevoli per il successo della sua gioiosa macchina da guerra, e  finì come finì: un caveat indirizzato a quanti già vedono Di Maio a palazzo Chigi.

    Un altro caveat potrebbe riguardare quanti scrutano alla maniera di Lombroso i tratti somatici degli  homines novi che occuperanno le stanze del Campidoglio e di Palazzo Civico. E’ già successo, e proprio in seguito all’errore di valutazione di Occhetto: quando nel 1994 Berlusconi riempì le aule parlamentari di pubblicitari, manager e avvocati d’affari (per i penalisti ci sarebbe stato tempo), mentre Bossi le riempiva di attacchini.

    Del resto Ezio Mauro, sulla Repubblica di ieri, invita Renzi a “non rottamare la storia”. E questa è storia. Il caveat, comunque, non può non essere condiviso da chi, come noi, ha fatto rivivere un’antica testata e proprio in questi giorni distribuisce un numero monografico che purtroppo rischia di essere l’unico a celebrare adeguatamente il 70° della Repubblica.

    Un caveat, però, che non può essere rivolto solo a Renzi. La storia, come Mauro sa benissimo, è stata già rottamata un quarto di secolo fa: ed è stata rottamata innanzitutto da quanti oggi lamentano l’abbandono delle vecchie bandiere, ed allora pensarono di liberarsi della storia del Pci accodandosi ad una “carovana” che non si sapeva da dove veniva e dove andava.

    Dopo la storia, la geografia: quella urbana, almeno, usata a piene mani per denunciare la sconfitta della sinistra nelle periferie “operaie”, definizione comunque discutibile, perché molto approssimativa in epoca postfordista. Ma anche prendendola per buona come metafora di tradizionali insediamenti sociali, essa induce a formulare un altro caveat. Sono almeno vent’anni che a Mirafiori vince la destra (per non parlare della marcia dei quarantamila che nel 1980 pose fine alla deriva operaista del Pci d’allora). Mentre alle periferie romane (mai state “operaie”) ci pensavano Buzzi e Odevaine, sputtanando due simboli (le cooperative e i Comuni) del primo riformismo socialista.

Infine un caveat a quanti stanno rovistando nelle librerie per ripescare qualche copia delle opere di Rousseau. Siamo sicuri che la democrazia diretta sia il sistema più adatto a governare società complesse ed interdipendenti? Che per esempio il referendum sulla Brexit, comunque finisca, sia il mezzo più efficace per decidere del futuro di una nazione e di un continente? E che Churchill abbia avuto torto nel coartare la “volontà generale” quando promise al suo popolo lacrime e sangue? O non è che, lasciando al popolo il diritto di decidere direttamente sui parchi giochi e sulla raccolta differenziata, si lascia campo libero alle corporations ed alle burocrazie per governare tutto il resto?

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Dalla Fondazione Rosselli di Firenze

http://www.rosselli.org/

 

Il restauro del monumento ai Rosselli di Bagnoles de l'Orne e le prossime iniziative  del 27-28-29 giugno

 

di Valdo Spini

 

Nell’agosto dello scorso anno 2015 ero stato a Bagnoles de l’Orne e avevo trovato il monumento, opera di Carlo Sergio Signori, ivi collocato nel 1949, ben tenuto e in buone condizioni. Lo scorrere del tempo però aveva offuscato il biancore del marmo di Carrara mentre l’iscrizione era diventata praticamente illeggibile.

   Avevo quindi rivolto un appello per il suo restauro e questo appello era stato accolto da Francesca Nicòli, direttore dell’omonimo laboratorio di scultura di Carrara, proprio quello in cui l’opera era stata scolpita e da dove era partita nel 19549 alla volta di Bagnoles de l’Orne. Il laboratorio Nicòli aveva inviato un suo operatore, che aveva proceduto al restauro con il supporto del Comune di Bagnoles , restituendogli tutto il bianco proprio del marmo di Carrara e ripristinando la scritta.

    Si avvicinava il 79esimo anniversario dell’uccisione dei fratelli Rosselli (9 giugno 1937) e l’inaugurazione del restauro mi sembrava il modo migliore di ricordarlo.

    Nell’occasione avevo anche accettato l’offerta di Giovanna Cec­catelli Gurrieri  (Edizioni Clichy) di curare  per i fratelli Rosselli uno dei volumetti della sua collana Sorbonne, ciascuno dei quali è dedicato a personaggi di rilievo. Ne è scaturito Carlo e Nello Rosselli. Testi­mo­ni di Giustizia e Libertà  a cura di Valdo Spini, Firenze Clichy 2016..

    Lo abbiamo presentato a Parigi il 3 giugno, alla Maison d’Italie della Cité Internationale Universitaire di Parigi. Sono intervenuti Michele Canonica (Presidente del Comitato di Parigi della Società Dante Alighieri), Roberto Giacone (Direttore della Maison de l'Italie), Stefano Montefiori (Corrispondente a Parigi de Il Corriere della Sera), Eric Vial (Professore di storia contemporanea all’Université de Cergy-Pontoise) e, naturalmente, l’autore.

    Sabato 4 giugno, alle ore 15. OO a Bagnoles de l'Orne, sul luogo dell'uccisione di Carlo e Nello Rosselli, è stato inaugurato il restauro del monumento ai Rosselli, compiuto dallo studio Nicòli di Carrara, dove il monumento, opera di Carlo Sergio Signori, venne scolpito nel 1949.

 

 

A Bagnoles per il restauro

del monumento ai Rosselli

 

Da Parigi, per parteciparvi, è partito un pullman con quattordici per­so­ne a bordo: Maria Paola Antolini; Francesca Nicòli con la figlia Be­renice e Vittorio Prayer; Giuseppe Giorgetti con la moglie Veronica e il loro figlio; Maria Cristina Morello e Mariachiara Verrigni , rispet­tivamente Presidente e Segretaria del Circolo Anpi di Parigi intitolato ai fratelli Rosselli, Michele Mioni dottorando alla Sorbonne Francesca Tortorella ricercatrice a Strasburgo ; Ibis Ismail, Lucilla e Valdo Spini.

    In macchina sono arrivati Monica Rosselli, in rappresentanza della famiglia Rosselli insieme al cugino Ca’ Zorzi e la sua famiglia. Con la loro vettura, sono pure arrivati. l’ambasciatore d’Italia Giandomenico Magliano e il Console a Parigi, Andrea Cavallari.

    All’ora prevista si è svolta una cerimonia sobria ed essenziale sul luogo dell’uccisione, il bosco di Couterne, a quattro chilometri da Bagnoles,  con discorsi dell’Ambasciatore Magliano, mio, e un saluto di Monica Rosselli a nome di tutta la famiglia. Sono stati deposti fiori dall’Ambasciata e il consolato d’Italia, dalla Fondazione Circolo Rosselli, dal Comune di Bagnoles, dall’Anpi di Parigi.

    Presenti le autorità locali e municipali. Regia inappuntabile della Direttrice Generale dei Servizi della Municipalità, Marie-Christine Delage

    Una grande emozione!

    C’è un filmato delle varie fasi della cerimonia, ripreso da Giuseppe Giorgetti

    Dopo la cerimonia, ci siamo recati a piedi nel vicino castello di Couterne (XVI-XVII secolo) dove il proprietario, erede della famiglia originaria, Monsieur Edouard de Frotte ci ha invitato per il vin d’honneur che ci è stato offerto, presenti i consiglieri municipali. Hanno preso la parola le Maire Olivier Petitjean, le Maire deleguè e consigliere dipartimentale, Jean Pierre Bloue, lo stesso Monsieur de Frotte. Questi, bambino piccolo all’epoca dei fatti, poteva comunque ricordarsi dell’eco che ne era seguita. Ha anche aggiunto di avere avuto due fratelli morti in deportazione in Germania.

    Ci ha mostrato il libro d’onore del 1949, con gli intervenuti alla cerimonia di inaugurazione del monumento (con emozione abbiamo visto la firma di Ferruccio Parri) e abbiamo firmato la nostra pagina del 2016.

    Terminato il vin d’honneur abbiamo ripreso il viaggio alla volta di Parigi.

    Come giornali ci hanno seguito La Stampa, Il Corriere Fiorentino, il Manifesto, La Nazione, e i francesi l'Ouest e Le publicateur libre. Come televisioni il programma Rai Storia e il Tg3 della Toscana, Ha parlato di noi anche la rubrica della mattina di Italia 7. L’Ansa e La Presse e l’Adn Kronos hanno fatto comunicati di agenzie e così Stamptoscana..

    La documentazione cartacea e iconografica, è disponibile sul sito della Fondazione www.rosselli.org o sulla pagina fb della Fondazione o comunque presso la Fondazione:tel 055 2658192.

       

   

FONDAZIONE NENNI

http://fondazionenenni.wordpress.com/

 

Quelle due crisi in attesa

di risposte a sinistra

 

Il risultato delle elezioni amministrative è in linea con una tendenza ormai diffusa in tutto l’Occidente: il crescente consenso a forze che vengono definite “populiste”. L’aggettivo è usato con intendimenti critici, ma l’etichetta rischia di nascondere la realtà, occultandola in un giudizio negativo che serve a poco.

 

di Cesare Salvi

 

Anzitutto esistono diverse varianti di “populismo”, come spiega la letteratura in argomento. Ciò che le accomuna è un nuovo tipo di ideologia, che considera la società come divisa in due gruppi contrapposti: il popolo omogeneo e onesto contro un’élite corrotta e interessata solo a conservare il potere. Ma oltre questo dato comune, le proposte politiche si differenziano, e si collocano in uno spettro che va da destra a sinistra.

    Il populismo di destra contrappone al “popolo” determinati gruppi etnici, religiosi, culturali e di conseguenza alimenta la paura per il diverso, l’immigrato soprattutto. La rappresentano Trump, le destre francesi e austriache, i partiti al governo in alcuni paesi dell’Est, da noi la destra di Salvini.

    Per il populismo di sinistra (pensiamo a Podemos, ma anche a Sanders) l’avversario sono le oligarchie economiche, la tecnocrazia sovranazionale, le banche e Wall Street.

    C’è poi un populismo “inclusivo”, interclassista, come quello dei 5 stelle, che critica soprattutto le classi dirigenti politiche, e si propone come rappresentante della grande maggioranza dei cittadini, e per questo raccoglie voti (dicono le ricerche) a destra come a sinistra.

   Ma che cosa spinga il successo elettorale di queste forze, al di là delle differenze, peraltro come è chiaro molto importanti? I fattori comuni sono due: la preoccupazione di larghi settori della popolazione (ceti medi e lavoratori) per il peggioramento della loro condizione economica e sociale e la crescente disoccupazione, e la sfiducia nei confronti della classe politica di governo, considerata incapace di reagire a questo declino, e anzi corresponsabile di esso.

    Venendo all’Italia, il voto a Roma e a Torino, nella sua distribuzione sui territori comunali, conferma questa tendenza: sono stati soprattutto i giovani e i ceti popolari, i soggetti colpiti da una crisi che continua a mordere, a decretare la sconfitta del PD; e la narrazione ottimistica di Renzi non è affatto servita, anzi, probabilmente ha determinato un’opposta reazione di rabbia e di protesta.

    D’altra parte, continua a crescere il “populismo del rifiuto”: l’astensionismo, che porta all’elezione di sindaci che spesso rappresentano poco più del 20% dei cittadini aventi diritto al voto.

    Il PD di Renzi si mostra geneticamente incapace persino di comprendere il problema: Quando si sente parlare della ricerca di volti nuovi, giovani e magari femminili, si dimentica il risultato di Napoli (e, sul versante opposto, quelli di Trieste o Benevento).

    Perché non ci si interroga invece sul peso che hanno avuto, soprattutto nell’astensionismo a sinistra, il Jobs act e gli attacchi al sindacato, la “buona scuola” e la delegittimazione degli insegnanti, la (non) gestione delle crisi bancarie, per la quale nessuno ha finora pagato, tranne piccoli risparmiatori spesso imbrogliati?

    Trovo incomprensibile che la minoranza del PD concentri la sua attenzione sul doppio incarico segretario-premier, o sulla richiesta di non chiariti ritocchi alla legge elettorale (temi che interessano molto il ceto politico, ma per nulla i cittadini) e non sulla necessità di nuovi indirizzi di politica economica e sociale, come quelli indicati da Corbyn e da Sanders.

    È chiaro infatti che se la causa del successo dei populismi, e della parallela crescita dell’astensionismo, sono in tutto l’Occidente quelle prima indicate, é solo dando risposte sia alla crisi sociale (aumento della diseguaglianza e della povertà, tagli delle prestazioni sociali, disoccupazione giovanile elevatissima), sia alla crisi di legittimazione delle istituzioni pubbliche, che la sinistra può provare a riprendere peso e ruolo.

    Quanto alla sinistra a sinistra del PD, il risultato, diciamolo chiaramente, è molto al di sotto delle aspettative.

    Continua da un decennio ad apparire più un aggregato di politici che cercano di superare la soglia di sbarramento, che la portatrice di un progetto (economico, sociale, democratico) capace di parlare al paese.

    Forse ci sono lezioni da apprendere dai 5 stelle, andando naturalmente oltre i limiti e la criticità del loro modello organizzativo: chiarezza e semplicità delle parole d’ordine e del linguaggio, compattezza interna, modalità di partecipazione politica democratiche e innovative (non solo la rete; Livia Turco ha detto dei 5 stelle: l’ho visti dappertutto in campagna elettorale, come ai tempi del Pci).

    In realtà, di una più ampia rappresentatività delle istituzioni, di un ricorso ben strutturato agli strumenti di democrazia diretta (anche attraverso la rete), hanno bisogno tutte le forze politiche, ma soprattutto le istituzioni democratiche.

    L’esatto opposto, insomma, della legge costituzionale voluta dal governo e dell’Italicum. Anche per questo sarà molto importante il voto referendario di ottobre.

       

           

L'AVVENIRE DEI LAVORATORI - Voci su Wikipedia :

(ADL in italiano) https://it.wikipedia.org/wiki/L'Avvenire_dei_lavoratori

(ADL in inglese) https://en.wikipedia.org/wiki/L'Avvenire_dei_Lavoratori

(ADL in spagnolo) https://es.wikipedia.org/wiki/L'Avvenire_dei_Lavoratori

(Coopi in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo

(Coopi in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo

(Coopi in tedesco) http://de.wikipedia.org/wiki/Cooperativa_italiana

   

    

LETTERA

 

La lirica di Franco Fortini sull’Ipse Dixit del 16 giugno

 

Il "Coro di deportati" è bellissima lirica. Non ho capito l'Ipse dixit: suona ironico. O no?

 

Riccardo Faucci, e-mail

 

 

Franco Fortini Lattes (1917-1994)

        

    

L'AVVENIRE DEI LAVORATORI

EDITRICE SOCIALISTA FONDATA NEL 1897

Casella postale 8965 - CH 8036 Zurigo

 

L'Avvenire dei lavoratori è parte della Società Cooperativa Italiana Zurigo, storico istituto che opera in emigrazione senza fini di lucro e che nel triennio 1941-1944 fu sede del "Centro estero socialista". Fondato nel 1897 dalla federazione estera del Partito Socialista Italiano e dall'Unione Sindacale Svizzera come organo di stampa per le nascenti organizzazioni operaie all'estero, L'ADL ha preso parte attiva al movimento pacifista durante la Prima guerra mondiale; durante il ventennio fascista ha ospitato in co-edizione l'Avanti! garantendo la stampa e la distribuzione dei materiali elaborati dal Centro estero socialista in opposizione alla dittatura e a sostegno della Resistenza. Nel secondo Dopoguerra L'ADL ha iniziato una nuova, lunga battaglia per l'integrazione dei migranti, contro la xenofobia e per la dignità della persona umana. Dal 1996, in controtendenza rispetto all'eclissi della sinistra italiana, siamo impegnati a dare il nostro contributo alla salvaguardia di un patrimonio ideale che appartiene a tutti.

  

     

 

 

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