[Diritti] Sgombero in via Borgoticino. Catalin portato in questura



Sgombero in via Borgoticino. Catalin portato in questura

10 dicembre. Sono arrivati a “Casa Catalin e Romeo” intorno alle 9,30 del
mattino. Blindati, digos, Amiat e vigili del fuoco hanno bloccato
l’accesso a via Borgoticino, impedendo a tutti di avvicinarsi.
Questa mattina, nonostante i blocchi, un gruppo di solidali è riuscito a
passare dal cortile del Lidl. Dopo un lungo tira e molla una di noi è
riuscita ad entrare. Poi sono arrivati anche gli avvocati.
Al momento dell’irruzione tanti occupanti erano fuori a lavorare o a
scuola. Nella casa c’erano solo una quindicina di persone, qualche
anziano, alcuni ragazzi e un bambino di cinque mesi.
Tutti sono stati fotografati e identificati. Catalin, il ragazzo portato
al CIE e poi espulso in Romania dopo lo sgombero di via Asti dello scorso
12 novembre, è stato ammanettato e portato in questura.
Ha la testa dura Catalin. Non si è rassegnato agli sgomberi e alla
deportazione. Ha deciso di tornare e raggiungere parenti e amici che il 20
novembre avevano occupato una casa in via Borgoticino. Una casa che si
chiamava come lui e Romeo, l’altro ragazzo espulso per aver occupato in
via Asti.
La Questura gioca la carta della paura, per costringere le persone a
diventare invisibili, a nascondersi nei fabbriconi gelati e fatiscenti, in
baracche invisibili ai margini del nulla urbano. Non sempre ci riesce. C’è
sempre qualcuno come Catalin che si gioca la libertà per avere un tetto.
C’è sempre qualcuno che alza la testa e occupa una casa.

Il Comune vuole chiudere i conti con i rom di Lungo Stura Lazio. Ha deciso
lo sgombero dei locali di via Borgoticino, nonostante siano abbandonati e
non vi sia alcun progetto per il loro riutilizzo. L’idea di farne un
dormitorio è naufragata due anni fa, perché il comune sempre sull’orlo
della bancarotta dopo il grande buco nero delle Olimpiadi, non aveva i
soldi necessari.
La struttura di via Borgoticino è stata blindata dagli operai del comune
al termine dello sgombero. Resterà vuota tutto l’inverno, mentre un gruppo
di famiglie con figli piccoli ed anziani è di nuovo in strada.
Quell’occupazione periferica era un affronto che l’amministrazione
comunale non poteva tollerare. Era la dimostrazione pratica che il
progetto “la città possibile” è stato un fallimento. La gran parte degli
abitanti della Baraccopoli di Lungo Stura Lazio è stata buttata in strada
senza alternative abitative.

Due anni fa in lungo Stura c’erano oltre mille persone. Una polveriera
sociale che l’amministrazione comunale torinese è stata abile a
disinnescare. Cinque milioni di euro affidati alle sapienti mani di una
cordata di cooperative ed associazioni che tra promesse e minacce,
illusioni e violenza hanno trasformato l’area in un cumulo di macerie.
L’amministrazione Fassino mirava a sgomberare tutti, facendo leva sulla
complicità degli sgomberati illusi dal miraggio di una casa che non è mai
arrivata, dividendo i sommersi dai salvati.
Alla fine i nodi sono arrivati al pettine.
Si è frantumata la narrazione – intrinsecamente razzista – “sull’emersione
dal campo”, come se il campo, la baracca fossero una scelta e non una
necessità.
La trama logora del progetto la “città possibile”, si è lacerata del tutto
in questi mesi, in cui tra cortei, occupazioni, sgomberi e nuove
occupazioni, la gente delle baracche, stanca di inganni e false promesse,
ha deciso di prendersi una casa.

Assemblea questa sera alle 19 in corso Palermo 46.

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