Anarres-info. Elezioni , No Tav, antirazzismo, Tunisia, l’ultima partit a di Ratzinger



Anarres-info. Elezioni, No Tav, antirazzismo, Tunisia, l’ultima partita di Ratzinger

Nella tana del Grillo. Il governo a 5 stelle di Parma
Il sindaco del M5S di Parma, Pizzarotti, venne eletto con la promessa di fermare l’inceneritore. Tante brave persone impegnate nei movimenti e stanche di dover subire scelte che arricchiscono pochi ed avvelenano, uccidono, derubano tutti gli altri diedero fiducia al Movimento 5 Stelle e gli delegarono la lotta contro l’inceneritore.
Il prossimo marzo, pochi giorni dopo la consultazione elettorale nella quale alla gente viene chiesta ancora una volta un delega in bianco sul proprio futuro, il nuovo inceneritore di Parma sarà inaugurato.
Sul fronte delle politiche abitative a Parma, dopo una ventata di speranza, i senza casa, gli sfrattati hanno scoperto che nulla era cambiato. La resistenza agli sfratti e il moltiplicarsi delle occupazioni abitative, che ha Parma ha una storia ultradecennale, era ed è ancora la sola prospettiva possibile per chi fatica ad arrivare a fine mese.
La giunta Pizzarotti ha fatto quello che l’amministrazione di centrodestra finita nel mirino della magistratura non era riuscita a fare. Aumentare le rette per gli asili nido, abolendo le detrazioni concesse ai figli dei detenuti. Solo la lotta dal basso ha bloccato un analogo provvedimento contro i genitori soli.
Chi si illude sulle scelte concrete dell’Italia in salsa M5S, si guardi nello specchio nero di Parma a cinque stelle.
Pare siano tante le brave persone che in Val Susa e altrove vogliono ancora una volta delegare il proprio futuro al guru di turno. Ancora una volta saranno i fatti a spazzare via le teorie, tuttavia in Val Susa c’è già una ricchezza che sarebbe stolto dissipare.
Chi ambisce al potere dice che solo lo Stato con la sua polizia, il suo esercito e il suo governo può fare funzionare la società.
L’esperienza di partecipazione della Val Susa dimostra il contrario.
Le assemblee popolari, i presidi di lotta, i comitati di paese, le Libere Repubbliche di Venaus e della Maddalena sono un piccolo grande esempio di autogoverno popolare. In tanti anni tra un pranzo condiviso e una barricata in tanti abbiamo imparato a costruire spazi politici non statali. La politica dal basso, fatta di confronto e di ricerca paziente dell'accordo tra tutti, è la sola strada possibile perché le decisioni siano condivise, perché prevalga davvero il bene comune contro la logica del profitto e del comando.
In una rete di assemblee popolari federate e solidali si coniugano libertà e organizzazione.
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Libertà o voto?

Il grande rito elettorale è ormai in corso. Sui media impazzano le previsioni, si fanno i possibili scenari, si calcolano le alleanze possibili.
Nella concretezza della vita quotidiana la democrazia reale si mostra sempre più per quello che è: un sistema di ricambio tra elite che hanno perso in buona parte il controllo dei propri sudditi e non hanno altro modo per mantenerne il simulacro che l’adozione di politiche rigidamente disciplinari per imporre scelte fatte nei non luoghi della governance mondiale, tra banca mondiale, fondo monetario internazionale, banca europea.
Persino la tensione moralizzatrice si scontra con un sistema di corruttela che, al di là del malaffare diffuso nel ceto politico, investe nel profondo l’intera società.
Oggi più che mai non vi sono margini di correzione dall’interno del sistema. La pratica dell’esodo conflittuale, che mette in campo la sottrazione all’istituito e la lotta contro di esso offre una prospettiva che può coniugare la spinta alla distruzione dell’esistente con la necessità di esperire nell’oggi relazioni egualitarie e libere.
Anarres ne ha discusso con Salvo Vaccaro.
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Striscione a casa Baldacci
Sabato 23 febbraio. Nel primo pomeriggio un gruppo di antirazzisti ha fatto visita alla casa del colonnello e medico Antonio Baldacci, responsabile per la Croce Rossa militare del CIE di Torino. Davanti alla villetta di via Zandonai 8 a Chieri è stato steso uno striscione con la scritta.
“Baldacci ti ricordi di Fatih? Croce Rossa assassina!”.
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Grillo, Pinocchio e gli altri
(…) Chi scrive non sa come andranno le elezioni, ma sa già chi è il vincitore morale di questa partita elettorale.
Quando si dimise, poco più di un anno fa, diversi editorialisti scrissero che era finita un’epoca, che il berlusconismo era morto. Un anno dopo, persino se dovesse perdere malamente le elezioni, Berlusconi avrebbe vinto, perché la sua Italia è più viva che mai.
Se la Milano di Craxi era da bere, l’Italia di Berlusconi è da mangiare, digerire, sputare per poi affondare nuovamente i denti nella carne viva. (…)
Monti, come Bersani, Ingroia e, in parte, anche Maroni, sono comunque irretiti dalla tela di ragno di una strategia di marketing politico che ha bisogno del corpo dei leader per poter incarnare i sogni e le favole che vende. Oggi sarebbe impossibile immaginare un manifesto con il simbolo del partito e uno slogan, come ai tempi della prima repubblica.
Oggi serve una faccia, un corpo, che riempia di se la scena vuota di un’agire politico che si riproduce eguale da una legislatura all’altra.
È il trionfo del berlusconismo, dello spettacolo che si fa politica.
Chi poteva interpretare meglio questa parte di un attore? Negli Stati Uniti negli anni ottanta ne scelsero uno serioso e di second’ordine come Ronald Reagan.
In Italia il ruolo tocca ad un comico. L’unico capace di riempire la scena saturandola di se, facendone un tutt’uno con se stesso. Nei manifesti dell’M5S il suo faccione deborda, il suo grido esplode in faccia a chi guarda.
Grillo è come il vinile, ricercato come i mobili di legno della nonna dopo l’overdose dei ripiani di formica e delle sedie di plastica. Guida spirituale, guru, caudillo, Grillo “ha sempre ragione”, come un padre amoroso che consiglia, incoraggia, sorregge, protegge i suoi figli. Finché obbediscono. Poi sono schiaffoni, e, nei casi estremi, la cacciata dalla famiglia.
Grillo, una sorta di Juan Peron post moderno, rappresenta l’apoteosi della politica post ideologica, mettendo insieme illusione partecipativa e il dirigismo più esasperato, corteggia i movimenti localisti e fa dichiarazioni razziste, vuole moralizzare la politica, tagliando stipendi e privilegi, ma gioca il proprio ruolo di garante per decidere, senza confronto alcuno, la linea politica del “suo” movimento.
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La banca del papa. Segreti e veleni
Se qualche genio della consolle ne facesse un gioco, sarebbe una storia di veleni, pugnali e soldi. Roba violenta e crudele.
La storia dell’Istituto per le Opere di Religione, meglio noto come IOR, fornirebbe abbondanti spunti a qualunque creativo.
Lo scontro nello IOR e per lo IOR divenne esplicito nel maggio scorso quando Ettore Gotti Tedeschi, l’uomo voluto da Ratzinger alla guida della banca dei papi venne obbligato alle dimissioni. Da allora i rapporti tra Joseph Ratzinger e il suo segretario di Stato, il cardinale Tarcisio Bertone, non sono più stati gli stessi. Il papa è arrivato a congelare Bertone, senza tuttavia rimuoverlo.
La vicenda dello IOR ha probabilmente influito sulla
decisione di Ratzinger di indossare le vesti di Pietro da Morrone, preferendo un fine partita da Celestino V ad uno da Bonifazio VIII.
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Memoria di Stato
L’Italia non ha mai fatto i conti con la propria storia coloniale, con il fascismo, con la guerra in Jugoslavia, in Grecia, in Africa. Il mito degli “italiani brava gente”, assunto in modo trasversale a destra come a sinistra, fonda il nazionalismo italiano, un nazionalismo che si nutre di un’aura di innocenza e bonarietà “naturali”.
In Italia la memoria è la prima vittima del nazionalismo, che impone una sorta di memoria di stato, che diviene segno culturale condiviso. Una sorta di marchio di fabbrica. Si sacrificano le virtù eroiche ma si eleva l’antieroismo dei buoni a cifra di un’identità collettiva.
Peccato che sia tutto falso. Falso come i fondali di cartone dei film di qualche anno fa. Eppure, nonostante le ricerche storiche abbiamo mostrato la ferocia della trama sottesa al mito, che sopravvive e si riproduce negli anni.
La gestione delle giornate della “memoria” e del “ricordo” assunte in modo bipartisan dalle varie forze politiche ha contribuito ad alimentare questa favola rassicurante, impedendo una riflessione collettiva che individuasse nei nazionalismi la radice culturale del male.
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Susa. Assedio al Castello
Sabato 16 febbraio. Il sindaco di Susa accoglie sulla porta i suoi ospiti, tutti selezionati con cura tra si tav di provata fede, imprenditori che cambiano nome alle società al ritmo di un fallimento all’anno, qualche amministratore locale e un pugno di segusini, scelti tra coloro che avevano inviato la mail filtro al comune. In sala il mago Virano illustra il miracolo del supertreno che rende sempre più verde la valle.
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Danno di immagine
Giovedì 14 dicembre. Nell’aula bunker delle Vallette è andata in scena la seconda puntata del processo ai 53 No Tav, accusati di aver partecipato alla resistenza allo sgombero della Libera Repubblica della Maddalena e alla giornata di lotta del 3 luglio 2011.
Gli imputati hanno deciso che solo un piccolo gruppo partecipasse all’udienza, mentre tutti gli altri disertavano l’aula per un presidio in piazza Castello.
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L’ultima partita di Ratzinger, il grande Inquisitore
Le dimissioni di Benedetto XVI hanno scatenato una ridda di ipotesi e analisi sui media, che hanno dedicato ampio spazio alla decisione di Joseph Ratzinger di ripercorrere le orme di Celestino V.
C’è chi avalla la tesi di un papa stanco e anziano che lascia per debolezza, chi lo esalta per il coraggio e chi teme che l’aura del nocchiero della barca di Pietro possa uscirne offuscata.
Altri dipingono più realisticamente il durissimo scontro di potere che squassa la curia romana, leggendo la scelta del papa come protesta e monito.
Nessuna di queste ipotesi si attaglia a Ratzinger, l’uomo che per trent’anni ha governato quella stessa curia. Nella veste di Prefetto per la Congregazione della Dottrina della Fede, l’ex Santo Uffizio, Ratzinger ha sistematicamente demolito la chiesa conciliare, cacciando i teologi della liberazione e riabilitando i lefevriani.
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Livorno. Assalto alla prefettura: 36 indagati
Nella mattinata di lunedì 11 febbraio è scattata la rappresaglia delle istituzioni per i tre giorni di lotta del 30 novembre e 1 e 2 dicembre.
Il 30 novembre una trentina di attivisti che manifestavano in solidarietà ai No Tav al comizio per le primarie del PD del segretario Bersani vengono caricati e manganellati dalla polizia. Il giorno successivo stessa sorte capita ad un presidio itinerante attaccato dalla polizia. Il due dicembre un corteo di 500 persone attraversa il centro cittadino, facendo sì che le forze dell’ordine optino per un profilo decisamente basso.
A tre mesi dai fatti i PM incaricati chiedono 8 arresti e sei detenzioni domiciliari, il Gip firma solo 8 obblighi di firma ed alcune perquisizioni.
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Matti da slegare. Serata antipsichiatrica
Il collettivo antipsichiatrico “Francesco Mastrogiovanni” nasce dall’incontro di persone diverse che hanno sentito l’urgenza di dar voce, corpo e forza alla propria indignazione.
Un’indignazione di chi sa che nel nostro paese basta la firma di un medico, quella di un sindaco ed il gioco è fatto. Uomini e donne smettono di essere uomini e donne, liberi di scegliere la propria vita, liberi di decidere se assumere o meno dei farmaci, liberi di scegliere una cura. Uomini e donne vengono presi con la forza, rinchiusi in un repartino psichiatrico, riempiti di psicofarmaci e spesso legati ai letti. Prigionieri senza possibilità di parola, perché la parola di chi finisce in repartino è parola alienata. In tutti i sensi. Parola priva di senso, parola privata di senso perché chi parla non è ragionevole. Non è ragionevole, perché la ragione è fuori dal repartino, perché la ragione è solo del potere che imprigiona, lega con corde chimiche e di cotone.
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Tunisia. I giochi non sono ancora fatti
Un milione di persone è sceso in piazza nella sola Tunisi per i funerali di Chokry Belaid, uno dei leader dell’opposizione laica istituzionale, ucciso mercoledì scorso da un gruppo di sicari.
Un
assassinio politico, un assassinio annunciato nel clima di crescente violenza instaurato dai Comitati in Difesa della Rivoluzione in mano ai salafiti. La rivolta, scatenatasi spontaneamente in tutto il paese dopo il diffondersi della notizia dell’assassinio, è continuata venerdì 8, giorno delle esequie di Belaid e dello sciopero generale che ha paralizzato il paese.
Chi credeva che la partita in Tunisia – e in Egitto – si fosse chiusa con l’accesso al potere di Hennada e dei Fratelli musulmani si è dovuto ricredere.
In Tunisia la situazione è molto instabile e rischia di sfociare in nuove rivolte e in una repressione durissima.
Anarres ha intervistato Karim Metref, scrittore, insegnante di origine algerina che vive da molti anni nel nostro paese.
Con lui abbiamo ripercorso la vicenda di una rivoluzione che ha avuto il suo prologo nel distretto minerario di Gafsa, dove gli scioperi e le lotte radicalissimi dei lavoratori dello zolfo, vennero repressi nel sangue dal governo. Ci furono morti, feriti, arrestati, torturati. Moltissimi scelsero poi la via dell’esilio, prendendo la via del mare verso l’Europa.
Ed è proprio a Gafsa che sono stati più duri gli scontri con il nuovo regime islamista, che, pur marginale nella rivoluzione dei Gelsomini di due anni fa, è riuscito a conquistare il potere con i voti della Tunisia profonda e con l’alleanza con il vecchio regime.
Il rischio forte è quello di uno scenario simile a quello che si verificò in Algeria negli anni ’90, quando il GIA, il Fronte Islamico Algerino, decise di islamizzare a forza la società civile, facendo migliaia di morti. Nel mirino c’erano i gruppi laici, le donne, i giovani insofferenti ai diktat degli integralisti.
Sempre dall’Algeria ci giunge tuttavia l’esempio di una rivolta tanto radicale, da meritare il silenzio tombale dei media e della politica internazionale. Gli eventi del 2001 in Kabilia, la regione berbera dell’Algeria, sono sconosciuti ai più. La rivolta assunse le caratteristiche di un’insurrezione dal basso, con grandi capacità di autogoverno territoriale.
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Grecia. Lo Stato tortura e se ne vanta
Quattro giovani anarchici vengono arrestati in seguito ad una rapina in una banca a Kozani, un piccolo centro nel nord della Grecia. Trascorrono quattro ore nei locali della polizia dove vengono selvaggiamente picchiati. I loro volti tumefatti ripresi dalle telecamere al momento del trasferimento in tribunale fanno il giro del mondo. La notizia rimbalza anche sui nostri media, Amnesty International denuncia l’ennesimo caso di tortura nelle stazioni di polizia dello Stato ellenico.
I quattro compagni rifiutano di sporgere denuncia, dichiarando che di non volersi considerare vittime, poiché “non si aspettavano niente di diverso dai nemici della libertà”.
Nel movimento greco è convinzione diffusa che i volti pesti dei quattro anarchici siano stati mostrati deliberatamente, per lanciare un monito alla vasta opposizione politica e sociale che, nonostante la repressione crescente, lotta contro la macelleria sociale che ha ridotto alla povertà ampi strati della popolazione greca.
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Il popolo No Tav con i partigiani di Clarea 
Domenica 10 febbraio. A Mattie si arriva dopo due stretti tornanti, al culmine della provinciale che si dipana dalla statale 24 poco dopo Bussoleno. All’ingresso del paese c’è il bar trattoria dove ci si ferma ogni volta che si capita qui: si beve un caffè e si fanno due chiacchiere. Sui muri del locale tutto parla della lotta No Tav. Anche qui c’è la foto di Cristian ed Emanuele, i due No Tav arrestati nella notte di venerdì, quando le truppe di occupazione che presidiano il cantiere/fortino in Clarea sono state colte alla sprovvista e se la sono data a gambe di fronte ai No Tav che si erano introdotti nell’area tagliando le recinzioni e abbattendo i jersey.
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No Tav all’assalto del cantiere
Da mesi i media raccontano del cantiere che avanza, dei No Tav ridotti a minoranza e sconfitti, dei lavori ormai avviati, dei processi contro i “violenti” che hanno difeso la libera Repubblica della Maddalena, contrastato le trivelle, assediato gli occupanti.
Da mesi i No Tav vanno al cantiere del Tunnel geognostico. Chi di giorno, chi di notte.
C’è chi scatta foto e chi va in cerca di Giacu, il No Tav che si è perso in Clarea e che nessuno trova mai. Non sono certo nottate tranquille per le truppe di occupazione.
La notte dell’8 febbraio è stata la peggiore per gli uomini in divisa, colti alla sprovvista e messi in fuga dai No Tav che hanno tagliato le recinzioni e sono entrati nel cantiere.
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Prossime iniziative

Appuntamenti fissi

 

Ogni lunedì – ore 18,30 – incontro degli “Antirazzisti contro la repressione. Ti ricordi di Fathi?” presso la sede di radio blackout in via Cecchi 21°

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Ogni martedì riunione del collettivo antipsichiatrico “Francesco Mastrogiovanni” ore 21 in corso Palermo 46. Il numero contro gli abusi psichiatrici funziona tutti i giorni con segreteria telefonica. Il martedì – dalle 19 alle 21 - rispondiamo direttamente.

Segnati il numero e fallo girare. 328 7623642

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Ogni giovedì – ore 21 in corso Palermo 46 - riunione degli anarchici della FAT aperta a tutti gli interessati

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Ogni venerdì – dalle 13 alle 15 – anarres va in onda sui 105,250 delle libere frequenze di radio blackout. Se sei lontano puoi sentire anche in streaming accedendo dal sito della radio
www.radioblackout.org

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Processo agli antirazzisti
Mercoledì 27 febbraio prima udienza del processo contro 67 antirazzisti torinesi.
Aula 46 ingresso 17 del tribunale di Torino.
Negli ultimi vent’anni il disciplinamento dei lavoratori immigrati è stata ed è tuttora una delle grandi scommesse dei governi e dei padroni, che puntano sulla guerra tra poveri per spezzare il fronte della guerra di classe.
Nel nostro paese è stata costruita una legislazione speciale per gli immigrati, persone che, sebbene vivano in questo paese, devono sottostare a regole che ne limitano fortemente la libertà.
Chi si oppone alle politiche e alle leggi discriminatorie e oppressive nei confronti degli immigrati entra nel mirino della magistratura.
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Il CIE nel salotto di Torino
Sabato 2 marzo “Il CIE nel salotto della città” presidio itinerante per il centro cittadino. Appuntamento ore 15 in piazza Castello
Sono due i processi contro gli antirazzisti che, tra il maggio del 2008 e il maggio del 2009, attraversarono l’esperienza dell’Assemblea Antirazzista Torinese.
La lotta contro i CIE ha segnato alcuni momenti importanti di quell’anno ed è oggi un fronte sempre più caldo di resistenza al razzismo di Stato nella sua concreta, quotidiana, materialità.
La morte di Fathi, un immigrato tunisino lasciato senza cure nell’allora “nuovo” CPT di Torino, fu il banco di prova di una relazione politica ancora embrionale.
La lotta che ne seguì fece da catalizzatore per quelle che seguirono.
Oggi le protesta di fronte alla casa del colonnello e medico Antonio Baldacci, responsabile per la Croce Rossa militare della struttura detentiva di corso Brunelleschi, è entrata nel fascicolo del processo.
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