Allo apologo di Agrippa,don MILANI risponde.



 A una parità culturale così intesa si può ben portare i poveri senza che per questo si avveri la catastrofe prevista nell'infame apologo di Menenio Agrippa. Non si tratta infatti di fare di ogni operaio un ingegnere e ogni ingegnere un operaio. Ma solo di far sì che l'essere ingegnere non implichi automaticamente anche l'essere più uomo.
Ma il classismo della scuola del prete non deve limitarsi al contrasto delle due classi tradizionali.
Entro la classe dei poveri c'è ancora modo di far dell'altro classismo ancora: per esempio innalzare i montanari a scapito dei campagnoli, i campagnoli a scapito dei cittadini, i contadini a scapito degli operai. E di nuovo in ognuna di queste sottoclassi. innalzare i meno dotati intellettualmente a scapito dei «geni».
Un'anziana nobildonna fiorentina, che venne a sapere che a S. Donato i ragazzi avevano studiato a lungo l'Apologia di Socrate e che ne erano rimasti enormemente compresi, domandava: «Ma come? Dei giovani contadini possono intendere l'Apologia?».
Quando lo raccontai ai ragazzi scoppiarono in una risata cordiale: «Come? Una marchesa può intendere l'Apologia?».
Un'ispettrice scolastica che aveva potuto constatare e ammirare il modo e i frutti della nostra scuola, mi fece poi in disparte con convinta serietà questa domanda: «Ma lei non teme di farne poi degli spostati?».
È una donna d'altovalore. Tra quelli che ho conosciuto in quella carica era l'unica persona di valore. Eppure la sua educazione le impediva come una cappa d'ovatta di accorgersi che gli «spostati» non son quelli che scodella la scuola, ma quelli che scodella questo mondo spostato davvero che manda a votare cittadini sovrani che non intendono un giornale e che per l'80% ignorano quali partiti siano al governo.
Queste due donne sono rappresentanti di una società che ha fatto sempre della cultura un privilegio di casta e che solo ora va allargando le proprie anguste prospettive fino a proporre di farne in futuro un privilegio da estendere anche a elementi di classi inferiori, ma personalmente dotati. [...]
Si cerca l'efficacia prima che la giustizia. Il progresso della scienza e il benessere di tutti prima di aver assicurato a ogni singolo la dignità d'uomo.
E domani, quando avranno strappato dalla classe dei poveri alcune decine di migliaia di individui scelti tra i migliori e li avranno trapiantati nell'orto chiuso del privilegio per arricchirlo ancora di nuovi fiori, impoverendo ulteriormente con quest'atto stesso la classe dei tagliati fuori, cioè scavando ancora più fondo e più largo il fossato del dislivello culturale, quel giorno diranno che la D.C. ha fatto un'opera d'alto significato sociale.
Ma noi preti non possiamo ragionare così (e neanche lo dovrebbe fare un partito che si fregia del nome di cristiano).
Queste son cose da lasciarsi fare ai nazisti, ai sovietici, agli americani, a tutti quelli che vivono per l'efficacia e che nell'efficacia dei loro atti pongono l'unica ragione di vita.
Non noi che abbiamo per unica ragione di vita quella di contentare il Signore e di mostrargli d'aver capito che ogni  anima è un universo di dignità infinita.
«Borse di studio ai deficienti e un branco di pecore da badare ai più dotati! » ecco uno slogan che sarebbe degno di un partito cristiano e mostrerebbe che tra i cristiani e il mondo c'è poche parentele.
Ma se un partito che tenesse per statuto il «Magnificat» è irrealizzabile, resta al prete la possibilità di far lui scuola con questo classismo ferreo.
Un «classismo» da far paura al più ortodosso dei comunisti.
Camillo Coppola
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