Primo Maggio. Favole, pietre e ciliegie



Primo Maggio. Favole, pietre e ciliegie

Torino - Primo Maggio 2012
Appuntamento in piazza Vittorio
alle ore 9
distro libri e stampa
spezzone rosso e nero al corteo
poi… dalle 13
Pranzo e festa del Primo Maggio in corso Palermo 46.
Benefit antirazzisti, antifascisti, no tav sotto processo
Prenotatevi!
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Ci raccontano che viviamo nel migliore dei mondi possibili, che liberismo
e democrazia sono il cocktail che garantisce pace, libertà, benessere.
Intanto piovono pietre.
Ci raccontano le favole e pretendono che ci crediamo, anche se arrivare a
fine mese è sempre più difficile, anche se le loro leggi condannano i
nostri anziani ad una vecchiaia senza dignità, i nostri giovani alla
precarietà a vita. Ci raccontano le favole e intanto spendono per la
guerra e le grandi opere i soldi che sottraggono alla sanità, ai
trasporti, all’istruzione.

La litania è la solita: c’è la crisi e bisogna rinunciare a qualcosa per
non rischiare di perdere tutto. Un ricatto. O fai come ti dico o affondi.
Ce lo dice il governo e ce lo dicono i padroni. Peccato che il potere di
chi governa diventi ogni giorno più forte, peccato che chi lucra sulle
nostre vite diventi ogni giorno più ricco.
Peccato che le stesse ricette anticrisi abbiano ridotto alla miseria i
lavoratori e i pensionati in Grecia, dove chi va in ospedale si deve
comperare persino gli aghi.
Chi dice no, chi non accetta di chinare la testa, chi si oppone alla
libertà di licenziare, chi è stanco di pagare la crisi dei padroni, chi
lotta contro la devastazione del territorio, contro l’imposizione di
scelte non condivise, viene additato come sovversivo e delinquente.
Contro chi lotta si scatenano la polizia e la magistratura. Non si contano
più i procedimenti giudiziari contro lavoratori, immigrati, no tav,
oppositori politici, non si contano più cariche e pestaggi di polizia.

Ci vogliono divisi per poterci meglio comandare e sfruttare.
Nei posti di lavoro, nelle periferie, in ogni dove la crisi morde con
forza soffiano sul fuoco della guerra tra poveri, per mettere i lavoratori
italiani contro quelli immigrati, più ricattabili e quindi più disponibili
ad accettare salari e ritmi e condizioni di lavoro peggiori.
La solidarietà di classe tra stranieri e italiani, la lotta comune contro
le leggi razziste che trasformano in schiavi gli immigrati, può mettere in
difficoltà i padroni, che quando si tratta di guadagnare, non badano al
colore della pelle ma a quello dei soldi.

Con la retorica delle grandi opere fomentano lo scontro tra chi difende il
territorio e si batte contro le grandi opere inutili a chi non ha lavoro e
spera di trovarne uno. Tutela del territorio, ospedali, trasporto
pubblico, scuole possono garantire lavoro e qualità della vita. Basta
volerlo, basta mandare a casa tutti quanti, e decidere di fare da soli.

Le anime belle della democrazia sempre da “riformare”, sempre da
“ripulire” ci raccontano che basta cambiare la legge elettorale e tutto
andrà a posto, basta un poco di democrazia “partecipata” e la democrazia
manterrà le sue promesse.
La democrazia può decidere di “ascoltare” chi ha abbastanza forza per
pretenderlo ma alla fine prevale il principio gerarchico, e si impone la
logica dell’interesse generale che coincide con quello di padroni, banche
e classe politica.
Il gioco è truccato all’origine. La democrazia garantisce solo
l’interscambio delle elite: quale che sia il sistema di rilevamento, è
comunque dominio.
E, come tale, mira a rendere inoffensivo chi lotta contro un sistema
sociale ingiusto e predatorio. Gli illusi della socialdemocrazia ci
raccontano che è possibile un nuovo welfare, un nuovo compromesso tra
capitale e lavoro. Sperano di arraffare voti promettendo che qualche
briciola in più cada dalla tavola imbandita dei potenti. Promesse vane,
quando le decisioni le prendono altrove, quando il “pareggio di bilancio”
è entrato a far parte della costituzione.
Oggi i padroni, che la lotta di classe non l’hanno mai abbandonata, si
sentono forti e non sono disponibili a concessioni, nemmeno minime.
Ma non è il caso di rimpiangere la socialdemocrazia, poiché altro non era
che un sistema di ammortizzamento del conflitto sociale, un sistema per
sopire le lotte, garantendo un poco di servizi e tutele.
Ma la partita, quella vera, quella che fa paura a chi ci sfrutta ogni
giorno, a chi si mangia le nostre vite, imponendo ritmi e condizioni di
lavoro come non conoscevano più, è un’altra.

Questa partita si gioca altrove.
Via dai palazzi del potere, via dalla democrazia, via dalle compatibilità
con quello che c’è.
Si tratta di porre al centro la questione sociale. Si tratta di dire,
senza timore di anacronismi, che la lotta di classe finisce solo quando
finisce lo sfruttamento, e lo sfruttamento finisce se spariscono i
padroni.
Possiamo fare a meno di loro. Possiamo fare a meno di chi sfrutta e
comanda. Possiamo e dobbiamo fare da noi, costruendo l’autogestione e
sviluppando il conflitto che la estende, la moltiplica, la scaglia
nell’orizzonte di una storia che non è già scritta.
Una prospettiva inattuale? Non credete alle favole.
I padroni lanciano pietre, ma ogni primavera di lotta è stagione delle
ciliegie.

Buon Primo Maggio di lotta a tutti e tutte!

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