Torino. Punto info sui CIE e chi ci lucra



Torino. Punto info sui CIE e chi ci lucra

Venerdì 11 novembre ore 17
Punto info sui CIE e chi ci lucra
in via Po 16

Lunedì 14 novembre
processo a due anarchici
accusati di aver scritto sui muri della sede della Croce Rossa in via Bologna
“CRI complice dei pestaggi al CIE. Rompere le gabbie!”
Appuntamento alle ore 9 al Palagiustizia
corso Vittorio Emanuele 130
L’udienza si terrà in aula 55 ingresso 22


I CIE, i Centri di Identificazione ed Espulsione per immigrati, sono le
galere che lo Stato italiano riserva a quelli che non servono più. Sono
posti dove finisci per quello che sei, non per quello che fai. Come nei
lager nazisti. Raccontano che nei CIE stanno i delinquenti, ma mentono
sapendo di mentire. Nei CIE rinchiudono chi ha perso il lavoro e, quindi,
anche le carte, oppure chi un lavoro a posto con i libretti non l’ha mai
avuto e quindi nemmeno le carte in regola.
Pensate se succedesse a voi. Perdete il lavoro - di questi tempi non è
difficile - e un giorno venite intercettati da una pattuglia e poi
“ospitati” in un CIE, per sei mesi, in attesa di essere deportati lontano
dalla vostra vita, dai vostri affetti, dai vostri figli.

Da sempre nei CIE – ieri CPT - soprusi, pestaggi, cure negate, sedativi
nel cibo sono pane quotidiano.
Chi gestisce un CIE, come la Croce Rossa a Torino, è complice di una
macchina fatta per rinchiudere ed eliminare braccia in eccesso, per
disciplinare con la sua stessa esistenza le vite di tutti gli altri.
Nel maggio del 2008 un immigrato tunisino, Fathi, nel CIE di Torino ci è
morto. Stava male ma non è stato curato, stava male ma è stato lasciato
morire senza cure nella sua cella.
I suoi compagni chiesero aiuto per tutta la notte, ma nessuno li ascoltò.
“Gridavano” – diranno poi – come “ma nessuno ci ascoltava, come cani al
canile”
Il giorno dopo il colonnello e medico Baldacci, responsabile della Croce
Rossa, dichiarò alla stampa che “non bisogna badare a quello che dicono
gli immigrati, perché mentono sempre”.

Nella Germania nazista si chiamavano kapò, nell’Italia democratica sono
“operatori umanitari”. Per gli operatori umanitari della Croce Rossa la
gestione del CIE è un lucroso affare. Un affare per cui val la pena
chiudere un occhio davanti a pestaggi e umiliazioni. E quando ci vuole si
da pure una mano, come accaduto più volte al CIE di Torino.

Oggi, quelli che si salvano dal mare, dai trafficanti d’uomini, dalle
guardie di frontiera ma non da uno Stato che li definisce “illegali”
vengono rinchiusi nei CIE, i Centri di Identificazione ed Espulsione. I
piemontesi che andavano in Argentina finivano negli “Alberghi” degli
immigrati. Felicia Cardano riporta i racconti sentiti in famiglia: “Mio
padre arrivò a Buenos Aires nel 1889 a bordo del 'Frisca'. Durante il
viaggio morirono il suo migliore amico e altre trenta persone. Lo misero
all'Hotel della Rotonda, un enorme baraccone di legno, dove si stava
stipati come sardine insieme ai pidocchi e alla puzza.”.

Sono storie di ieri, storie dei tanti piemontesi che partirono alla volta
del Sudamerica per cercare “suerte”, fortuna, ma videro la morte in
faccia, poi le baracche/prigioni, il disprezzo, lo sfruttamento bestiale.
Tanti scappavano dalla guerra, la prima, quella che si mangiò la vita di
tanti giovani contadini ed operai mandati a morire per spostare un
confine.
Tanti di quelli che oggi arrivano qui, da noi in Piemonte, fuggono le
guerre e la miseria come i nostri bisnonni. Chi arriva ha negli occhi il
deserto, le galere libiche, il mare, i pescherecci che passano senza
fermarsi, i militari che vanno a caccia di uomini. Hanno negli occhi il
ricordo dei tanti lasciati per strada, morti senza tomba né umana pietà.
Pochi di loro trovano “suerte”, fortuna: per i più c’è lavoro nero, salari
infimi, paura, discriminazione. Chi viene pescato finisce nei CIE e di lì
via, indietro, ancora verso l’inferno.

Il diritto legale di vivere nel nostro paese è riservato solo a chi ha un
contratto di lavoro, a chi accetta di lavorare come qui nessuno più era
obbligato a fare. Oggi i migranti, con permesso o in nero, sono i nuovi
schiavi di quest’Europa fatta di confini e filo spinato. Gente la cui vita
vale poco o nulla.
È scritto nelle leggi. Leggi razziste.

Le lotte degli immigrati rinchiusi nei CIE hanno segnato l’ultimo
decennio. Una lunga resistenza, spesso disperata, fatta di braccia
tagliate, bocche cucite, lamette o pile ingoiate. Qualcuno ha preferito la
morte alla deportazione e l’ha fatta finita. In tanti si sono ribellati,
bruciando materassi, distruggendo suppellettili, salendo sul tetto. Un po’
ovunque ci sono stati tentativi di fuga.
Ovunque, nelle gabbie per immigrati, si levano urla. Urla nel silenzio.
È tempo di rompere il silenzio.

Viviamo tempi grami, tempi feroci e folli, tempi di guerra. La guerra
contro i poveri e gli immigrati, la guerra contro chiunque si opponga alla
barbarie.
Ci vogliono nemici dei lavoratori immigrati, per farci dimenticare che il
nemico, quello vero, sfrutta e comanda le nostre vite, siede nei consigli
di amministrazione delle aziende, sui banchi del governo.
Il filo spinato e le mura dei CIE sono il simbolo concreto della frontiera
d’odio che attraversa la nostra società. Una delle tante frontiere da
abbattere.

Se un giorno ci chiederanno “dov’eravate quando la gente moriva in mare e
nel deserto? Dov’eravate ai tempi dei lager e delle deportazioni? Vorremmo
poter rispondere “ero lì, con gli altri, a resistere”.

Per info e contatti:
Federazione Anarchica Torino
Corso Palermo 46 – ogni giovedì dalle 21
338 6594361 fai_to at inrete.it