Fronte del CIE. Fiamme, rivolte e fughe



Fronte del CIE. Fiamme, rivolte e fughe

Brindisi, Bari, Milano, Torino, Gradisca. Tornano ad infiammarsi i CIE
italiani. Nell’ultima settimana si sono susseguite rivolte, incendi, atti
di autolesionismo, fughe.
Protagonisti delle proteste sono quasi sempre gli immigrati tunisini,
molti dei quali imprigionati dopo lo sbarco a Lampadusa. Assaggiato il
sapore aspro e seducente della libertà non sanno più farne a meno. Hanno
abbattuto il satrapo Ben Alì e non vogliono rassegnarsi alle gabbie in cui
li rinchiude lo Stato italiano.

Restinco, 21 marzo. Sono inagibili buona parte delle camerate del CIE
brindisino, teatro di una rivolta scoppiata nella notte tra lunedì 14 e
martedì 15 marzo. Buona parte delle camerate sono state investite dalle
fiamme: per bloccare i tunisini protagonisti della sommossa, la questura
ha dovuto inviare, oltre ai vigili del fuoco, anche poliziotti
dell’antisommossa e della digos.
I giornali danno notizia dell’incendio che ha distrutto il CIE solo sabato
19 marzo.
Gli immigrati sono stati ammassati nella sala mensa. Il modello Gradisca
che fa scuola: come nel CIE isontino gli immigrati non vengono trasferiti
o liberati ma costretti a dormire e mangiare in terra come bestie.
Lo dimostra la mancata chiusura del centro salentino pur annunciata nei
giorni scorsi da numerosi giornali. Il capo di gabinetto della prefettura,
Erminia Cicoria, dice testualmente: “Restano lì dove sono”.
Nella tarda serata di domenica 20 marzo un ragazzo tunisino si è tagliato
la gola, dopo una discussione molto animata con l’ispettore del centro,
che lo aveva preso di mira, con amenità del tipo “mi scopo tua sorella”.
L’ambulanza venuta a soccorrere il ferito è stata mandata indietro dal
medico del CIE. Il ragazzo si troverebbe ora in infermeria. Gli altri
reclusi hanno annunciato uno sciopero della fame.

Bari. Nel pomeriggio del 15 marzo un tunisino di 29 anni ingoia delle
lamette: trasportato d’urgenza all’ospedale fugge, riguadagnando la
propria libertà. In serata altri sei tunisini danno fuoco a materassi e
suppellettili e vengono arrestati e tradotti in carcere per danneggiamento
aggravato. Nella notte altri reclusi distruggono alcune suppellettili.

Milano. Nella notte tra sabato 19 e domenica 20 marzo al CIE di via
Corelli ci sono stati ben cinque tentativi di suicidio. Tre ragazzi hanno
bevuto detersivo e sono stati male, altri due avrebbero cercato di
impiccarsi. Pare che ora tutti stiano bene. Forse i cinque speravano di
essere liberati o di riuscire a fuggire. Forse la disperazione di vedersi
negato ogni futuro è diventata contagiosa in una serata di inizio
primavera.

Torino. Domenica 20 marzo. L’area verde del CIE di corso Brunelleschi è
stata gravemente danneggiata da un incendio. Intorno alla mezzanotte i
reclusi avrebbero dato alle fiamme materassi e suppellettili.
Secondo quanto riferito da quotidiani ed agenzie il fuoco avrebbe reso
inagibili tre dei cinque moduli abitativi. Il quotidiano La Stampa
riferisce che i protagonisti della rivolta sarebbero una ventina di
tunisini trasferiti qualche settimana da Lampedusa.
I reclusi, secondo l’ormai collaudato “modello Gradisca” non sarebbero
stati trasferiti altrove ma ammassati nell’area mensa.
A poco più di venti giorni dalla rivolta del 28 febbraio, quando andò in
fumo la sezione gialla, il CIE torinese torna ad infiammarsi.

Gradisca. Non è durata a lungo la quiete al CIE. A poco più di quindici
giorni dall’ultima protesta, domenica 20 marzo un gruppo di prigionieri
avrebbe tentato la fuga. Il sequestro dei cellulari impedisce da tempo i
contatti diretti e, quindi, il condizionale è d’obbligo.
Secondo le agenzie sei immigrati sono riusciti a far perdere le proprie
tracce mentre sette sono stati arrestati. In serata altri quattro o cinque
sarebbero saliti sul tetto ma sono stati obbligati a scendere.
Il 21 marzo a Gorizia ci sarà una riunione del comitato per l’ordine e la
sicurezza, che discuterà anche del CIE di Gradisca. Da ormai quasi un mese
i cento reclusi del CIE sono accampati nelle aree comuni del Centro, ormai
quasi completamente distrutto dalle continue rivolte ed incendi.
Intanto nel vicino CARA sempre più forte è il timore che da un giorno
all’altro i richiedenti asilo vengano deportati a Mineo.

Per info e approfondimenti: http://senzafrontiere.noblogs.org/